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Animali d'inverno

Animali d'inverno

Osservare, registrare, riflettere, confrontare, formulare delle ipotesi, azzardare delle conclusioni.

Quante volte nell’arco di una giornata la nostra mente esegue meccanicamente queste operazioni senza che noi quasi ne abbiamo la percezione.

Tutto è spunto di lavoro per il nostro pensiero, e la maggior parte di questo operare va a sedimentarsi nell’immenso e profondo vortice della memoria, una sorta di “Maelstrom” che tutto ingoia, per restituirne spesso irriconoscibili spezzoni difficili da assemblare.

Riflettere sul come l’evoluzione ha diversificato, attraverso i millenni, in miliardi di modi diversi, le trasformazioni delle specie animali e vegetali, è un po’ come immergersi in un oceano di conoscenze con la presunzione di riconoscere e distinguere le gocce che lo hanno formato.

Per chi ama andarsene per boschi e sentieri è comunque piacevole godere di queste diversità e conoscenze, senza rinunciare alla soddisfazione di azzardare delle libere ipotesi, spesso più vicine alla verità di quanto si possa immaginare.

Nel mondo dei bisogni degli esseri viventi, le scelte effettuate per difendersi dalle inclemenze del tempo e dai pericoli dei predatori hanno senza dubbio, dopo quelle alimentari, un’importanza vitale per tutti.

Per soddisfare questi bisogni primari sono state imboccate, nel corso dell’evoluzione, strade assai diverse, a volte convergenti e  a volte opposte, che hanno portato all’insuccesso e all’estinzione delle specie, oppure, come per tutti gli esseri viventi che ci stanno attorno, ad un pieno successo, consentendo loro di superare i complessi e diversi problemi esistenziali.

Il freddo gennaio, il mese più inclemente dell’anno, ci invita a spiare la natura con sguardi curiosi e un po’ indiscreti, standocene magari a casa in una comoda poltrona accanto al “caldo buono”, come lo chiama Ungaretti, per conoscere quali strade abbiano imboccato i nostri amici del bosco, che durante la bella stagione abbiamo osservato indaffarati con i loro piccoli, per rispondere in maniera adeguata alle mutate situazioni ambientali ed atmosferiche.

Ci possiamo avventurare in questo mondo di segreti e di misteri stimolati da immagini rubate, oppure da flash di ricordi, e in punta di piedi visitare chi dorme il lungo sonno del letargo invernale.

Questa strategia biologica è una sorta di orologio interno che regola e guida con estrema precisione, nel succedersi delle stagioni, il processo vitale e i ritmi ormonali delle specie che lo hanno adottato come strategia di sopravvivenza, con stimolazioni che hanno cadenze immutate da secoli.

Il mondo variegato di questi sognatori invernali è quasi sempre strettamente legato alla vita del bosco, e va a braccetto con il successo evolutivo delle piante da fiore, che legano e subordinano a loro volta il loro ritmo riproduttivo  all’annuale succedersi delle belle stagioni, quando i fiori ingentiliscono il verde e i frutti l’adornano.

La grande quantità di cibo dell’autunno permette a queste specie di disporre di un’enorme varietà di scelte alimentari.

I nostri dormiglioni trasformano direttamente le provviste autunnali in uno strato di grasso sottocutaneo, e le grandi abbuffate non creano loro né problemi estetici né problemi digestivi; si piacciono così perché l’accumulo di grasso è vitale per il successivo e lento processo di riassimilazione che avverrà nel corso del lungo sonno.

Nelle praterie d’alta montagna hanno trovato rifugio, in ampie e intricate gallerie sotterranee, le Marmotte, finalmente al sicuro dal pericolo improvviso dell’aquila, il loro nemico naturale, grasse quanto basta per riuscire ancora a passare attraverso gli stretti cunicoli delle tane, e ricoperte di una sofficissima pelliccia rinnovata nel tardo autunno.

Le avevamo sorprese ad ottobre, prima delle nevi invernali, indaffaratissime a raccogliere  erba secca per preparare, nell’ampia stanza sotterranea dedicata al riposo collettivo, dei comodi giacigli per l’intera famiglia.

Buffe nell’aspetto, con quei ciuffi d’erba in bocca che le facevano sembrare a baffuti generali impellicciati d’altri tempi; l’andatura ballonzolante, con le curve delle cosce esagerate, ondeggianti, ci ha fatto pensare al passo goffo dei pinguini sulla terraferma, o alla danza allegra dell’orso Baloo.

I dormiglioni per eccellenza restano comunque i Ghiri, tanto che il detto popolare dice proprio  “dormire come un ghiro”, anche se i Moscardini, simpatici funamboli del bosco,  e i Quercini, simpatiche mascherine curiose del sottobosco, loro primi cugini, non sono certo da meno.

Dopo essersi ben ingrassati con frutta secca, castagne e bacche di ogni specie, raggomitolati in posizione fetale dentro le loro tiepide tane o avvolti in elaborati “nidi” di foglie secche ed erbe intrecciate, con la temperatura corporea scesa a pochi gradi, hanno ridotto il loro metabolismo al minimo necessario, raggiungendo soglie di sopravvivenza estreme che solo la vivace immaginazione di un grande disegno poteva realizzare.

Le risorse della natura non hanno confini definiti: le meraviglie del creato ci possono dire come si sono evolute le cose ma non certo il perché, che resta il più grande mistero per l’uomo.

I codici di lettura delle leggi naturali saranno sempre la curiosità e lo stupore, la meraviglia, attraverso i quali potremo penetrarne i segreti.

La temperatura esterna, per chi se ne va in letargo, è solamente il campanello che fa scattare la molla che innesca il meccanismo del sonno profondo, le cui leggi sono invece legate, per trasmissione ereditaria delle specie, ad un patrimonio individuale complesso e per certi versi ancora misterioso, subordinato ai ritmi stagionali e con cadenze precise, tanto che un freddo improvviso fuori stagione non è, da solo, in grado di innescarlo, ma può solo creare all’animale grossi problemi.

Lasciati questi simpatici roditori, una rapida escursione nei dintorni ci fa subito incontrare altri animali che hanno scelto il letargo come arma di difesa e come strategia di sopravvivenza contro il gelo invernale.

I Pipistrelli, appesi a gruppi con la testa in giù, spesso addossati gli uni agli altri alle volte di tiepide caverne, dove la temperatura invernale non scende mai a livelli eccessivi come all’esterno, oppure appesi alle travi dei solai di vecchie case, dove la parola “ospitalità” è ancora sacra, non danno segni di vita.

I Ricci, anch’essi insettivori come i mammiferi volanti, che non trovando più disponibilità di cibo, hanno adottato, con un percorso parallelo, la stessa tecnica di sopravvivenza, li possiamo trovare nascosti, ben avvolti dentro un comodo e tondo giaciglio di erbe e foglie, in cavità ricavate tra le contorte radici degli alberi o sotto qualche vecchio mucchio di rami secchi o cataste di legna, lasciate a seccare per la successiva stagione, magari in un angolo del nostro giardino. Tutti sognatori che attendono i prossimi caldi raggi del sole primaverile per riprendere il loro notturno girovagare.

A questi dobbiamo aggiungere i rettili e gli anfibi, per i quali il sangue freddo crea certamente meno problemi metabolici.

Chissà poi se sognano davvero!

La tecnica di realizzazione del letargo consiste nella capacità acquisita dalla specie di ridurre in maniera eccezionale il consumo di energia, partendo dalla riduzione di assunzione dell’ossigeno, che è il comburente del sistema metabolico, per cui il respiro di questi animali durante questa fase risulta quasi impercettibile.

Ne deriva che il loro consumo di combustibile, quella discreta quantità di grasso che sono riusciti ad accumulare nel periodo autunnale, deve essere sufficiente per alcuni mesi!

Mi piace ricordare il paragone che Fabre utilizza per i suoi studenti-lettori, ricordando loro come si adottava la stessa tecnica anche per le braci del camino, quando il risparmio dei fiammiferi era cosa importante e le si volevano conservare accese per il mattino seguente: si coprivano di cenere affinché l’apporto d’aria, che ravviva la combustione, fosse ridotta al minimo, e i tizzoni continuassero a rimanere accesi per tutta la notte quel tanto necessario che impedisse loro di consumarsi del tutto. Un ricordo ancora vivo nella memoria collettiva di molti.

Questa tecnica così sofisticata non è però l’unica che ci stupisce.

I Migratori, coloro che hanno scelto di andarsene lontano, facendo viaggi anche di migliaia di chilometri, seguendo gli adulti senza conoscere assolutamente il percorso da compiere poiché nati da pochi mesi, hanno anch’essi qualcosa di speciale.

Leggi scritte nei loro cromosomi, al sopraggiungere dell’autunno e prima che torni la primavera, attivano dentro di loro meccanismi precisi, che li rendono irrequieti.

Le migrazioni sono fenomeni complessi, che interessano in genere il mondo alato, ma sono riscontrabili anche presso alcune specie di mammiferi per la ricerca di nuovi pascoli, come per alcuni grossi ungulati africani, per i bisonti del nordamerica e le renne dei paesi nordici o, sempre a causa della scarsità stagionale di cibo, per alcune specie di pipistrelli.

Anche il mondo degli insetti è interessato al fenomeno migratorio, come avviene per le temute cavallette in Africa, ricordate anche dalla Bibbia come “piaghe” temibili.

Nel nordamerica sappiamo che la farfalla Monarca compie migrazioni annuali di oltre 2000 km., dal Canada al Messico, tornando puntualmente ogni primavera dove era nata.

Ma anche in Europa sono note migrazioni di farfalle da e verso l’Africa, come avviene per la Vanessa del cardo, e per le più appariscenti Sfingi, come quella dell’oleandro e la testa di morto .

In certe regioni del nord Europa, come in Inghilterra, delle specie di farfalle diurne presenti stabilmente più della metà sono migranti; raggiungono queste regioni provenienti dall’Europa continentale e non vi si riproducono che occasionalmente.

Il fenomeno migratorio interessa anche alcune specie di pesci, come l’anguilla e il salmone, ma in questo caso le ragioni alimentari non c’entrano, poiché esso è legato alla riproduzione.

I migratori per eccellenza restano comunque gli uccelli. Moltissime sono le specie interessate, salvo quelle definite stanziali, e tutte hanno momenti, modalità, direzione di volo e luoghi di “svernamento” diversi. Attorno al loro mondo e alle loro abitudini si sono sviluppate alcune forme di caccia specifiche, in tutti i continenti, stagionali e provvidenziali per l’economia di alcune popolazioni.

Studi e ricerche sempre più approfondite dimostrano come il fenomeno migratorio sia assai complesso e di difficile generalizzazione, tanta è la sua differenziazione da specie a specie, anche se le informazioni raccolte fino ad oggi sono imponenti e in grado di dare molte risposte.

I centri di cattura e di inanellamento sfornano dati sempre più complessi, e senza il loro contributo il mondo migratorio sarebbe ancora un mondo misterioso, come ai tempi di Aristotele, il quale sosteneva che in inverno i piccoli uccelli che noi sappiamo migrare in terre lontane si nascondessero, e che le rondini addirittura si riparassero dal freddo immergendosi nel fango delle paludi, per poi ricomparire in primavera.

Anche sotto questo profilo, il contributo offerto alla ricerca dal mondo venatorio e dalle sue più specifiche tradizioni regionali sono stati i Roccoli, di cui l’Italia, dove sono nati e si son o sviluppati, è l’unico testimone europeo, presenti in Lombardia fina dal 1600, è veramente straordinario.

Certamente se non ci fossero i migratori le specie di uccelli che conosciamo sarebbero molto meno della metà, poiché il numero degli uccelli che i nostri habitat sarebbero in grado di sostenere e alimentare sarebbero solo quelli che il territorio è in grado di sopportare d’inverno, quando le risorse disponibili sono assai scarse e di difficile reperimento.

E quelli che restano?

Per chi resta le strategie di difesa sono anch’esse molteplici.

Per combattere il gelo si sviluppa sotto le penne degli uccelli un fitto e caldo piumino, mentre i mammiferi cambiano addirittura la pelliccia, foderandola con una fitta borra.

Per difendersi poi dai predatori rimasti, sempre più scaltri ed agguerriti per i morsi della fame, le risposte sono per alcuni il manto mimetico, come per la candida pernice bianca e la lepre variabile, e per altri il dono dell’astuzia, che le spinge a trovarsi rifugi sicuri, magari in gallerie sotto la neve, o in qualche anfratto roccioso, compresa la straordinaria capacità di modificare le abitudini alimentari adattandole alla povertà e scarsità delle risorse disponibili.

Qualcuno infine, che ha goduto con altri dell’abbondanza dei frutti autunnali, ha scelto di lavorare un po’ come fanno gli uomini, preparando, disseminate nel bosco, parecchie dispense abbondantemente rifornite, così da avere sempre a disposizione, in occasione dei frequenti risvegli, come capita allo scoiattolo, o dei momenti difficili  per ghiandaie e nocciolaie, qualcosa da mettere sotto i denti.

Mentre col pensiero ringraziamo madre natura per questa capacità straordinaria di moltiplicare i suoi doni, ci piace anche pensare che tra le nevi dei nostri monti riescano a trovare il minimo per sopravvivere anche i camosci, gli stambecchi, i caprioli e i cervi, ormai presenti in numero sempre maggiore, così come trovino di che cibarsi le pernici bianche, regine delle vette, le coturnici, i galli forcelli e i cedroni, che popolano le nostre Alpi.

Un augurio sincero lo facciamo anche ai passeracei che hanno rinunciato a partire con la speranza che il ridotto numero di presenze permettesse loro di arrangiarsi alla meno peggio; merli, scriccioli, passeri, pettirossi, capinere, regoli, cince, fringuelli, presenti magari anche nella siepe del nostro giardino, per i quali i pericoli e le insidie sono sempre alla porta. Meritano sicuramente che nel nostro giardino prepariamo loro delle piccole dispense, un delicato gesto di ospitalità.

Nei tratti bassi dei fiumi abbiamo visto comparire il merlo acquaiolo, sceso a valle dai piccoli torrenti di montagna dove ha trascorso il periodo estivo della riproduzione e dove tornerà presto, quando il disgelo gli permetterà di rituffarsi nelle fredde e limpide acque che tanto ama e il ciclo degli insetti acquatici di cui si nutre riprenderà, col tepore primaverile, un ritmo sempre più accelerato, garantendo loro abbondanza di nutrimento.

E  mentre ci compiacciamo di questi sentimenti d’affetto verso i più indifesi, non possiamo non allargare il pensiero oltre il loro mondo, e allora dobbiamo nutrire lo stesso sentimento e rivolgere lo stesso augurio anche ai predatori, per i quali nessun sistema è stato escogitato dalla natura per alleggerire i loro problemi alimentari,  e la loro unica arma resta la caccia.

Così, oltre ai sonni beati, alle fughe verso terre assolate, restano i drammi, una costante della vita degli esseri viventi che i nostri sentimenti vorrebbero poter rimuovere, ma che le leggi ferree della vita ci impongono di rispettare e umilmente condividere.

 

 

 

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