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Galliformi alpini e sport invernali

Galliformi alpini e sport invernali

Breve storia di un conflitto

 

Come tutti sappiamo la tipica fauna alpina è quel gruppo di animali più indissolubilmente legato alle nostre montagne: il fagiano di monte, la pernice bianca, la coturnice e la lepre variabile sono infatti componenti faunistiche di grande valore, specie di pregio, emblema delle nostre Alpi.

I due tetraonidi e la lepre variabile in particolare sono tra le specie più strettamente adattate ai rigori dell'alta montagna, tanto da aver evoluto alcuni straordinari caratteri morfologici e comportamentali. La livrea invernale bianca della pernice e della lepre, i piedi posteriori del lagomorfo, così larghi da avere quasi la funzione di due racchette da neve (la "cugina" nord-americana è chiamata snowshoe hare, dove snowshoe significa appunto...racchetta da neve!) o le zampe piumate (come calzanti delle ghette) dei due galliformi. Per quanto riguarda le strategie comportamentali, affascinante è quella che porta i fagiani di monte e le pernice bianche, durante la stagione invernale, a scavare dei veri e propri igloo sotto la coltre nevosa. Questo comportamento consente alle specie di conservare preziose energie durante l'inverno, il maggior fattore limitante per le specie alpine. Sotto la neve la temperatura rimane infatti costantemente intorno agli 0° e gli animali sono al riparo dal forte vento che talvolta sferza le pendici alpine.

Questa particolare strategia è quindi fondamentale per superare il difficile periodo invernale, vero e proprio fattore di selezione di questi uccelli, consentendo di conservare molte delle energie (non spese nel processo di termoregolazione) per la difficile ricerca del cibo.

Proprio questo comportamento fa sì che ogni possibile disturbo arrecato durante questa critica stagione, assuma, secondo i più recenti studi, un ruolo importante nella sopravvivenza di questi animali.

L'involo "forzato" procurerebbe, secondo gli autori, un considerevole stress, nonché un significativo dispendio energetico a tutto svantaggio dell'individuo, in particolare, e, più in generale, della popolazione.

Tra questi fattori di disturbo, le attività ricreative invernali, quali lo sci alpino, lo sci (o lo snowboard) fuoripista e le escursioni con le racchette da neve, hanno convogliato l'interesse degli studiosi relativamente a diversi gruppi e specie animali.

Questo principalmente in ragione del crescente successo ottenuto da queste discipline negli ultimi anni, soprattutto per quel che riguarda le attività fuori pista.

In particolare un gruppo di studio svizzero (guidato dal Prof. Raphaël Arlettaz) ha focalizzato la propria attenzione sull'impatto di queste attività sulle popolazioni di fagiano di monte.

Da quello che scaturisce da questi studi i galli sarebbero tendenzialmente sfavoriti dalle attività ricreative, che avrebbero un impatto negativo relativamente ad almeno due livelli: fisiologico e demografico, sull'abbondanza della specie.

Tenterò nelle prossime righe di dare un breve riassunto dei risultati, rimandando comunque gli interessati alla consultazione della bibliografia riportata a fondo pagina (per la maggior parte liberamente reperibile sul web, anche se in lingua inglese).

 

Alcuni effetti sui galli

 

Effetti fisiologici

Per studiare questi effetti sono state raccolte feci di fagiano di monte in tre ambienti differenti: i) senza disturbo (nulle o trascurabili attività ricreative), ii) disturbo moderato (attività fuori pista), iii) disturbo elevato (stazioni sciistiche).

Come indicatori dello stress accumulato dagli animali, sono state misurate le concentrazioni di metaboliti di corticosterone: l'ormone dello stress degli uccelli.

I risultati rivelano, non sorprendentemente, come gli animali che vivono in siti "tranquilli" presentino un contenuto di queste sostanze significativamente inferiore a quelli "disturbati".

Più interessante è invece il risultato che non ci siano differenze tra gli animali delle zone moderatamente disturbate rispetto a quelle molto disturbate: questo fa supporre agli autori che anche un apparentemente limitato disturbo possa essere fonte di stress cronico nei fagiani di monte. Come intuibile, è stato inoltre dimostrato anche un effetto acuto: i livelli di stress salgono esponenzialmente dopo un primo involo forzato, per poi mantenersi elevati se il disturbo permane. Questo risultato è stato conseguito provocando l'involo per tre giorni consecutivi ad animali provvisti di radiocollari, le feci dei quali venivano sistematicamente raccolte dopo ciascun involo per le analisi.

 

Effetti demografici

La minore densità di fagiano di monte vicino ad aree fortemente disturbate, in relazione alla presenza di, ad esempio, skilifts è stata ampiamente documentata. Queste aree dovrebbero intuitivamente avere un impatto maggiore sulle popolazioni, anche rispetto ad aree di disturbo moderato. Ciò nonostante dagli ultimi studi (pochi, in verità) pare che le aree più fortemente utilizzate per attività fuori pista subiscano la stessa sorte: diminuzione delle densità e, talvolta abbandono del sito.

Le cause

Se relativamente agli effetti fisiologici c'è poco da discutere, più attenzione merita l'analisi delle cause di diminuzione di densità. Queste possono essere divise in dirette ed indirette.

Attraverso la frequenza del disturbo, la presenza di un gran numero di persone negli habitat del fagiano di monte può avere un effetto diretto sulle condizioni generali dell'animale (sotto forma di uno stress maggiore), andando a diminuirne le capacità la sopravvivenza o la capacità riproduttiva (studi su animali radio-collarati sono attualmente in corso).

Inoltre le cause potrebbero essere indirette: la presenza di stazioni sciistiche o di molti escursionisti (e i loro rifiuti) sembra avere tra gli altri (ad es. sottrazione di habitat) anche un effetto positivo sulla presenza di predatori opportunisti, quali volpi e cornacchie, situazione peraltro dimostrata in Scozia e Germania. La maggior presenza di predatori comporta una maggiore pressione soprattutto sui nidi e i giovani, diminuendo la capacità vitale delle popolazioni.

La caccia è spesso indicata come uno dei fattori più importanti per la sopravvivenza delle popolazioni ed è spesso additata come principale responsabile dei decrementi dei galliformi alpini. Proprio sulla base di queste considerazioni uno degli studi esaminati, ha inserito la variabile "pressione venatoria" in un modello matematico volto ad individuare quali fattori siano i principali responsabili della distribuzione ed abbondanza dei fagiani di monte in Svizzera (Canton Vallese e di Vaud). Ebbene, dalle analisi condotte pare che queste siano funzione per la maggior parte della presenza di habitat idonei e del disturbo arrecato durante l'inverno. La caccia sembra avere invece un ruolo trascurabile.

Correre ai...rifugi

Le soluzioni proposte dagli autori consistono nella creazione di aree di rifugio. Sono state individuate le aree di maggior conflitto tra le attività sciistiche e le densità di popolazione dei fagiani di monte, anche determinando le aree maggiormente vocate alla specie. In questi contesti essi suggeriscono la predisposizione di zone in cui le pratiche fuoripista siano completamente proibite, così da consentire agli animali di avere a disposizione zone dove poter trascorrere in tranquillità il periodo invernale.

Questo è particolarmente indicato per le stazioni sciistiche, dove l'afflusso delle persone è facilmente prevedibile dagli animali. I galli in questo caso si abituano piuttosto facilmente alla nuova situazione ed utilizzano le zone di rifugio durante il giorno spostandosi sulle aree disturbate la mattina presto e la sera per l'alimentazione. Si vedano al riguardo le sorprendenti fotografie scattate in Germania a pagina 15 del seguente link, che testimoniano la presenza di un lek intorno alla terrazza di un rifugio (

www.iee.unibe.ch/unibe/philnat/biology/zoologie/cb/content/e7117/e7118/e8739/e211833/e327327/Arlettaz_BS2013.pdf).

Quanto riportato sopra non va tuttavia visto come un adattamento alla presenza umana, in quanto le aree disturbate sono utilizzate quando sulle piste non c'è fondamentalmente nessuno, ma piuttosto come uno sfruttamento di zone diverse in diverse ore della giornata, così da evitare la presenza umana.

Le aree più interessate dallo sci/snowboard fuoripista o dai ciaspolatori presentano invece caratteristiche più complicate in quanto queste risultano meno prevedibili: non c'è un orario definito, e spesso gli alpinisti sono presenti fin dalle prime luci dell'alba. L'istituzione di aree vietate a tale pratica viene comunque consigliata nelle aree di maggior conflitto, così da fornire habitat favorevoli alle popolazioni presenti.

 

Qualche considerazione.

 

Lungi da me e lungi dagli autori dei lavori citati intraprendere una crociata contro gli sport invernali.

Personalmente ritengo anzi che il successo di attività come lo scialpinismo o l'escursionismo con racchette sia un ottimo modo per avvicinarsi alla montagna, conoscerne il fascino. Consentono di stabilire un legame con l'ambiente frequentato molto superiore rispetto a quanto si possa fare in un comprensorio sciistico. Inoltre hanno l'indiscutibile merito di non avere un'incidenza negativa sugli habitat, non presupponendo nessun intervento sull'ambiente. Parallelamente credo che questo tipo di esperienze aiutino nella formazione di una maggiore consapevolezza dello straordinario valore ambientale di questi territori e delle specie che vi abitano, consapevolezza spesso ancora troppo rara.

I dati qui riportati vogliono però rimarcare come lo sfruttamento della montagna, sotto diversi punti di vista, debba giocoforza passare attraverso misure di mitigazione del nostro impatto sui fragili equilibri che governano questi habitat.

Nulla pare più ecologico e rispettoso di una ciaspolata nei boschi, e spesso è proprio così. Tuttavia, un'eccessiva e continuativa presenza di escursionisti può avere un impatto notevole sugli animali, anche più della tanto bistrattata ars venandi. Questo a indicare ancora una volta, che una corretta gestione del patrimonio faunistico, corroborato da validi dati di abbondanza e prelievi a questi commisurati, può consentire un impatto sostenibile delle popolazioni animali.

La conservazione del fagiano di monte (e, allo stesso modo della pernice bianca), passa quindi anche attraverso la regolazione del turismo invernale, soprattutto nelle aree dove la specie è più presente.

L'adozione di aree di rifugio per la fauna nelle vicinanze delle vie più battute sembra, in questo senso, un suggerimento sensato, condivisibile e soprattutto, attuabile.

Un provvedimento di questo tipo presuppone tuttavia una certa azione di sensibilizzazione.

Questo compito può essere assolto da tutti gli attori interessati alla conservazione dei galliformi alpini: cacciatori, tecnici, accademici e decisori politici.

Gli stessi enti di gestione venatoria, in collaborazione con gli enti pubblici preposti, potrebbero farsi carico dell'individuazione delle aree maggiormente importanti per le specie nei propri territori (ad es. in concomitanza con le aree a caccia specifica), istituendo alcune zone di rifugio interdette alle attività ricreative invernali. Sarebbe un ulteriore passo per la tutela di questi splendidi animali, che consentirebbe contestualmente alla conservazione della specie, una maggiore sostenibilità delle nostre attività con ricadute positive per tutti i fruitori delle nostre montagne.

Un progetto condotto in sinergia tra Regione Piemonte, Regione Valle d'Aosta e l'Office National de la Chasse et de la Faune Sauvage, in Francia (Progetto Galliformi alpini -ALCOTRA 2007/2013), ha mosso i primi passi in questo senso.

Altri dovranno seguire per il bene dei fagiani di monte e, perchè no, delle nostre Alpi.

 

Bibliografia

Arlettaz, R., Patthey, P., Baltic, M., Leu, T., Schaub, M., Palme, R., & Jenni-Eiermann, S. (2007).

Spreading free-riding snow sports represent a novel serious threat for wildlife. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 274(1614), 1219-1224.

Arlettaz, R., Patthey, P., & Braunisch, V. (2013).

Impacts of Outdoor Winter Recreation on Alpine Wildlife and Mitigation Approaches: A Case Study of the Black Grouse.

Braunisch, V., Patthey, P., & Arlettaz, R. (2011).

Spatially explicit modeling of conflict zones between wildlife and snow sports: prioritizing areas for winter refuges. Ecological Applications, 21(3), 955-967.

Patthey, P., Wirthner, S., Signorell, N., & Arlettaz, R. (2008).

Impact of outdoor winter sports on the abundance of a key indicator species of alpine ecosystems. Journal of Applied Ecology, 45(6), 1704-1711.

Watson, A., Moss, R. (2004).

Impacts of ski-development on ptarmigan (Lagopus mutus) at Cairn Gorm, Scotland. Biol. Conservation, 116, 267-275.

Zeitler, A. (2000).

Human disturbance, behaviour and spatial distribution of Black Grouse in skiing areas in the Bavarian Alps. Cah. Ethol. 20, 381-402.

 

 

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