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Presenza storica degli ungulati in Provincia di Torino

 

In Regione Piemonte oggi troviamo sia ungulati autoctoni (stambecco, camoscio, cervo, capriolo e cinghiale) che alloctoni (muflone e daino); in provincia di Torino l'unica specie a non essere presente è il daino.

 

 

Vediamo ora specie per specie quali sono state le vicissitudini intercorse nel corso dei secoli.

In Provincia di Torino lo stambecco era ancora ampiamente diffuso nel corso del XVII secolo; ne è testimonianza lo scritto “Relazione sullo stato presente del Piemonte” (1635), dove Monsignor  Della Chiesa cita ”si trovano sulle Alpi camozzi e capricorni (stambecchi, n.d.r.), daini (caprioli, n.d.r.) e cervi…”.

A partire però dai primi del 1800 subì un inesorabile declino; infatti nel “Dizionario Geografico di S. M. il Re di Sardegna” scritto da Goffredo Casalis nel 1850 ritroviamo: “Lo stambecco, Capra ibex, che suole vivere unicamente sulle alture, vi diviene rarissimo da qualche tempo; e si dubita che questa specie di agile animale vi sia ora intieramente distrutto”.

La specie subì un graduale e progressivo sterminio, soprattutto a causa di una caccia accanita da parte dell’uomo.

L’animale veniva cacciato non solo per la carne ma anche per le sue presunte proprietà curative. In Italia, nel 1821, lo stambecco sopravviveva solo nel Gran Paradiso con meno di 100 esemplari (Giovo et al., 2004).

Grazie all’istituzione nel 1836 della Riserva Reale di Caccia e del Parco Nazionale del Gran Paradiso nel 1922 la popolazione ha recuperato e oggi nel solo “Gran Paradiso” si contano qualche migliaio di stambecchi. Da questo nucleo sono poi stati catturati la maggior parte degli stambecchi, che attraverso reintroduzioni hanno riportato la specie su gran parte dell’arco alpino. I nuclei oggi presenti in Provincia di Torino derivano in buona parte dalle molteplici operazioni di reintroduzione curate dall'Amministrazione provinciale e in parte da migrazioni spontanee.

Il camoscio è l’unico ungulato che non si è mai estinto in Provincia di Torino; piccoli nuclei di questi animali sono sempre sopravvissuti nelle zone più impervie e meno accessibili.

Ne sono testimonianza diversi scritti fra cui la ”Relazione sullo stato presente del Piemonte” del 1635, dove Mons. Della Chiesa cita ”si trovan sulle Alpi camozzi e capricorni (gli stambecchi) …” ed il “Dizionario geografico del Regno di Sardegna” (1850), nel quale il Prof. Goffredo Casalis scrive: ”in tutte le eminenti positure di quelle Alpi si trova l’agilissimo camoscio.

I viaggiatori vi incontrano alcune volte più di quaranta di queste rupicapre che muovono insieme su quelle balze.

La caccia di questo vivace e accorto animale è difficile e faticosa…”.

I mufloni presenti nella Zona Alpi della Provincia di Torino derivano da introduzioni gestite da privati, che nel 1962 introdussero 12 capi provenienti dalla ex Jugoslavia nell'AFV “Albergian”, la Provincia successivamente gestì quelle effettuate in Val Pellice, Bassa Valle di Susa (Caprie), Val Ceronda e Casternone, Val Grande di Lanzo, Valle Orco, Val Soana, Val Chiusella.

Ad oggi la specie risulta presente in Val Pellice con un centinaio di capi gravitanti nell'Oasi del Barant e aree limitrofe (Bobbio Pellice); nelle aree limitrofe all' AFV “Albergian” (Comuni Roure, Pragelato e Massello) con sporadiche segnalazioni; in Val Ceronda e Casternone e nella Bassa Valle di Viù e in Val Grande di Lanzo e nelle Valli Orco, Soana e Chiusella.

Per quanto riguarda la presenza del cervo in provincia di Torino non ci sono documenti antecedenti il 1600; può testimoniare la sua presenza il ritrovamento di resti archeologici risalenti all’età del Rame nel sito archeologico di Balm’Chanto a Roure in Val Chisone (Giovo et al., 2004). Sempre Della Chiesa (1635) scrive: si trovano sulle alpi camozzi e…. cervi”.

La scomparsa della specie e la sua estinzione, a causa di una caccia spietata, risultano di difficile datazione per la mancanza di informazioni, ma sono ascrivibili ai primi decenni del XIX°sec.; nello scritto del Casalis (1850) infatti si rinvengono informazioni riguardanti esclusivamente camoscio e stambecco.

I cervi oggi presenti nelle valli Chisone, Germanasca e Susa derivano dalle reintroduzioni, 3 in tutto, gestite direttamente dall’Amministrazione Provinciale di Torino, che ebbero luogo nel Gran Bosco di Salbertrand (allora Oasi di Protezione e oggi Parco Naturale) fra il 1962 e il 1964.

A dette operazioni (Rossi et al., 1987-88) sopravvissero 10 capi, tra cui 2 maschi e 1 femmina provenienti dal giardino zoologico di Cuneo e 4 maschi e 3 femmine provenienti dalla Slovenia. Nelle Valli di Lanzo i cervi oggi presenti derivano dalle reintroduzioni, gestite direttamente dal Comprensorio Alpino TO4, che ebbero luogo nei primi anni del secolo odierno. I capi provenivano dalla tenuta di Chambord (Francia).

Nelle Valli Orco, Soana e Chiusella i cervi presenti derivano dale operazioni di reintroduzione condotte dal Comprensorio Alpino TO5 tra gli anni 2002 e 2005.

La storia del capriolo è del tutto simile a quella del cervo. Presente sulle Alpi nel XVII secolo (ne è testimonianza lo scritto di Monsignor Della Chiesa ”Relazione sullo stato presente del Piemonte” del 1635), scompare e si estingue anch’esso tra il 1700 e gli inizi del 1800.

Nel “Dizionario geografico degli stati di Sua Maestà il Re di Sardegna” (Casalis, 1850) non si ritrovano indicazioni circa la presenza della specie.

I caprioli oggi presenti in Provincia di Torino derivano da reintroduzioni curate direttamente dall’Amministrazione Provinciale di Torino in Val Pellice e Alta Valle di Susa e da privati nelle Valli di Lanzo (Rossi et al., 1987-88). In quel periodo vennero rilasciati con 3 operazioni 42 caprioli ma, solo 36 di questi (1 maschio e 1 femmina provenienti dal Trentino e 13 maschi e 21 femmine provenienti dalle Alpi Slovene) sopravvissero alle operazioni di trasporto e rilascio all’interno della allora Oasi di Protezione del Gran Bosco di Salbertrand.

Nelle Valli di Lanzo all'inizio degli anni '60 vennero rilasciati 16 capi provenienti dalle Alpi Slovene; successivamente, a Coassolo Torinese vennero liberati altri 8 capi di analoga provenienza.

Nell'ultimo decennio abbiamo assistito ad un esplosione demografica e ad un espansione capillare della specie anche negli ATC di pianura della provincia di Torino tanto che il capriolo risulta cacciabile negli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC) TO1 “Eporediese” dal 2006, TO2 “Basso Canavese” dal 2007 e TO3 “Pinerolese” dal 2004.

Riportiamo nella tabella sottostante i piani di prelievo per la stagione venatoria 2012-13.

 

Tabella 1 – Piani di prelievo del capriolo in provincia di Torino stagione venatoria 2012-13

ATC   PICCOLI     FEMMINE     MASCHI  TOTALE

TO1        15                13                 12            40

TO2        12                  9                   5            26

TO3        48                48                 42          138

La specie, sfruttando prevalentemente le aste fluviali, si sta espandendo anche negli altri ATC della provincia tanto che due amici mi hanno riferito l'uno di aver avvistato un maschio adulto in comune di Villastellone ad un chilometro dall'asta del Po (ottobre 2012) ed un altro una femmina adulta in comune di Moncalieri (settembre 2012), ATC TO4 “Carmagnola - Poirino”.

Mi sono comunque arrivate segnalazioni di avvistamenti anche nell' ATC TO5 “Collina Torinese”, pertanto mi aspetto che la suddetta popolazione ben presto si congiunga con quella presente nella limitrofa provincia di Asti, colonizzando così tutto l'habitat disponibile.

La gestione della specie dovrà essere impostata in modo tale da permettere di prevenire o ridurre l’impatto della specie sulle attività antropiche e, contemporaneamente, dovrà consentire un prelievo venatorio razionale basato su adeguati piani di prelievo quanti-qualitativi.

Per quanto riguarda il cinghiale sono pochissimi i riferimenti storici circa la presenza del suide in Provincia di Torino.

Si sa con certezza che sulle Alpi Cuneesi era ancora presente a metà del 1800 (Casalis, 1849), mentre era dato estinto già alla fine del secolo (Giovo et al., 2004). Allora l’intenso sfruttamento della montagna e la caccia accanita erano importanti fattori limitanti per questa specie.

I primi avvistamenti di cinghiali, successivi a quell’epoca, risalgono alla fine del I° conflitto mondiale.

Successivamente a partire dal II°dopoguerra assistiamo ad una vera e propria esplosione demografica della specie a seguito del verificarsi di più fattori concomitanti favorevoli, tra cui l'abbandono della montagna da parte dell'uomo con conseguente aumento della superficie boscata.

 

Matteo Costa – Dottore Magistrale in Scienze Forestali e Ambientali

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