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L’elogio della “parata”

L’elogio della “parata”
Proseguono gli interventi, in esclusiva su Cacciando.com, del Dott. Roberto Mazzoni della Stella: oggi parliamo di cinghiale.
 
Considerata la situazione emergenziale del cinghiale, la gestione di questo ungulato dovrebbe essere affrontata in modo pragmatico, seguendo il consiglio del saggio cinese che suggerisce di “prendere il topo senza stare a guardare il colore del gatto”.
Il disturbo creato dalla caccia in braccata costringe i cinghiali a rifugiarsi all’interno delle aree protette alla ricerca di cibo e tranquillità. Ma le risorse alimentari non sono infinite e quando siamo in tanti il cibo fa presto a finire.
Così, i branchi guidati dalle femmine sono costretti loro malgrado a fare marcia indietro e a riportarsi nelle aree di caccia alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
Tuttavia i cinghiali, per quanto affamati, non sono certo fessi. Sanno benissimo che uscire dalle aree protette e andare a mangiare nelle aree di caccia comporta il concreto rischio di rimetterci la buccia. Per questo i furbacchioni, sfruttando il vantaggio offerto loro dalle notti lunghe, vanno a riempirsi la pancia stando bene attenti però a fare ritorno al sicuro prima del sorgere del sole.
Al termine della caccia, con il ritorno del silenzio e della tranquillità, dopo aver dato fondo alle ultime risorse di cibo disponibili dentro ai boschi, ai cinghiali non resta che portarsi a mangiare direttamente nelle aree coltivate. E qui, apriti cielo e spalancati terra, arrivano i danni con tutto quello che ne consegue.
Per cercare di tamponare la falla, Regioni e Ambiti Territoriali di Caccia adottano fior di leggi e provvedimenti per scongiurare la catastrofe. Ma questi interventi equivalgono, per lo più, a chiudere la stalla quando i buoi son già scappati. Nel senso che, bene che vada, si abbattono i cinghiali quando hanno già avuto tempo a sufficienza per nutrirsi a spese degli agricoltori.
Intendiamoci! Il problema non è certo di facile soluzione. Tuttavia, incrementare il prelievo venatorio delle squadre durante il normale svolgimento della stagione venatoria gioverebbe eccome.
Quantomeno ci sarebbero meno cinghiali in circolazione. L’incremento del prelievo venatorio delle squadre di caccia non risolverebbe certamente il problema, ma contribuirebbe senz’altro ad attenuarlo.
Allora, tra le misure che potrebbero essere adottate a questo scopo ci sarebbe, ad esempio, la legalizzazione e l’impiego su larga scala della cosiddetta “parata”. Ovvero, l’impedire ai cinghiali che si recano nelle aree di caccia per alimentarsi di fare ritorno nelle aree protette prima dell’alba. Questa tecnica, nel caso in cui fosse adottata come normale misura gestionale, potrebbe contribuire all’incremento dei carnieri durante la normale stagione venatoria e ridurre, di conseguenza, la necessità di ricorrere agli abbattimenti dopo la chiusura della caccia.
Gli attuali divieti nei confronti della “parata” nascono, giustamente, dall’esigenza di evitare che le squadre facciano ricorso a sostanze e materiali inquinanti o deturpanti. In realtà, la semplice presenza dei cacciatori nelle ore precedenti l’alba lungo i confini delle aree protette è in grado di impedire ai cinghiali di abbandonare le aree di caccia.
Questo metodo è del tutto innocuo rispetto all’ambiente e molto efficace, nonostante gli indubbi sacrifici che comporta per i cacciatori.
La “parata”, inutile nascondercelo, è tuttavia mal vista anche da una parte dei cacciatori e delle squadre. Viene percepita come una sorta di rapina, una pratica antisportiva. In realtà queste obiezioni sono di fatto inconsistenti.
Specifici accordi tra squadre confinanti possono facilmente evitare qualsiasi attrito e d’altra parte, anche gli abbattimenti dopo la chiusura della stagione venatoria non sono certo un esempio di eticità. La questione nella sua essenza è semplice: meglio incrementare, per quanto possibile, i carnieri di caccia o intervenire a caccia chiusa? Agli scettici l’ardua sentenza!
 
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