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Chi vuole il pane se l’affetti

Chi vuole il pane se l’affetti

Su Cacciando.com si continua a parlare di gestione faunistica con il Dott. Roberto Mazzoni della Stella; questa volta tocca alla piccola selvaggina stanziale. 

Se c’è uno zimbello, sia detto con tutto il rispetto, questo è il cacciatore di piccola selvaggina stanziale: conta ovunque poco o nulla. Negli Ambiti Territoriali di Caccia (fatta eccezione per quelli di pianura dove si cacciano solo lepri e fagiani), infatti, le esigenze di quella che un tempo veniva definita, non a caso, selvaggina nobile stanziale sono, salvo rare eccezioni, a dir poco trascurate. Per comprendere questa triste realtà, basta dare un’occhiata ai bilanci. La gran parte delle risorse economiche disponibili sono spese per il risarcimento dei danni alle colture agricole provocati dai cinghiali proprio nelle aree ideali per la vita e la riproduzione di lepri e fagiani. Danni economici che si sommano a quelli faunistici, visto e considerato che il cinghiale, al pari di volpe e corvidi, è un formidabile predatore di piccola selvaggina.

In assenza di soldi e adeguate strategie gestionali a favore di lepri e fagiani, per mascherare agli occhi dei cacciatori l’agghiacciante realtà, non rimane che procedere a scriteriati quanto controproducenti ripopolamenti, se non addirittura a squalificanti operazioni di pronta caccia. Nel caso in cui si voglia prendere invece in considerazione il peso che i cacciatori di piccola selvaggina e le loro esigenze svolgono rispetto alle Regioni il quadro si fa, se possibile, ancor più grigio. Ne sono testimoni le varie normative emanate da questi Enti. Tra i tanti possibili, ecco un esempio a dir poco emblematico: nei piani faunistico venatori regionali si continua a classificare tutto il territorio in due categorie: aree vocate al cinghiale e aree non vocate al cinghiale. In altre parole, si interpreta l’intero territorio esclusivamente sulla base delle caratteristiche ecologiche di questo ungulato. Nessuna Regione (e tecnico!), almeno fino ad oggi, ha avuto il buon senso di classificare la campagna coltivata come area vocata alla piccola selvaggina stanziale, rinunciando alla sua assurda definizione di area non vocata al cinghiale.

E’ chiaro che la differenza non è semplicemente nominale. In realtà, essa sottintende scelte gestionali ed organizzative ben diverse da quelle attuali. L’area vocata alla piccola selvaggina stanziale dovrebbe essere oggetto di strategie condotte ad esclusivo vantaggio di specie come lepre e fagiano. Di conseguenza, dovrebbero esserci risorse economiche da investire nella gestione di questi territori proporzionate alle esigenze ecologiche di queste specie e al numero di cacciatori (ancora la maggioranza!) che ad esse si dedicano.
Tuttavia, per porre rimedio a questa situazione non c’è altra strada che organizzare territorialmente i cacciatori di “nobile stanziale”. E’ l’organizzazione che può fare la differenza. Detto da chi ha svolto la propria professione presso gli assessorati provinciali alla caccia: quando si presenta ad un qualsivoglia Assessore alla caccia un Presidente di un Distretto di caccia al cinghiale è sottinteso che parli a nome di centinaia di cacciatori(e famiglie!). Siamo in una democrazia ed è del tutto naturale e legittimo che si debba fare i conti con il consenso degli elettori. Così, non è raro che il peso politico dei Distretti del cinghiale si presenti addirittura superiore a quello della Associazioni Venatorie. E anche queste ultime non possono certo permettersi il lusso di rimanere del tutto insensibili al richiamo della foresta.
Quando, viceversa, al medesimo Assessore alla caccia si presenta un cacciatore di piccola selvaggina a nome di chi parla? A nome di sé stesso, punto e basta. Cioè conta poco o nulla. E’ l’organizzazione, appunto, che fa la differenza: chi ce l’ha si fa largo (eccome!), chi non ce l’ha resta al palo. Allora, è venuto il tempo che anche i cacciatori appassionati di piccola selvaggina stanziale si diano una mossa e incomincino a darsi un’organizzazione territoriale, partendo magari dal proprio comune o da comuni affini per territorio, tradizioni ed interessi venatori. Chi ha a cuore le sorti di questa antica tradizione venatoria non ha tempo da perdere: chi vuol pane se lo affetti dice il proverbio.
 
Foto di Batti Gai
 
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