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Le carenze nella gestione del fagiano

Le carenze nella gestione del fagiano

La grave crisi che oggi attanaglia la piccola selvaggina è un problema davvero irrisolvibile? E’ dunque giustificato il crescente ricorso alla selvaggina allevata in cattività? I gravi limiti che caratterizzano la selvaggina allevata giustificano la cosiddetta pronta caccia?
Quali che siano le difficoltà ecologiche oggi incontrate da lepri, fagiani, ecc. queste possono essere sicuramente attenuate. La tecnica ha messo a nostra disposizione una serie di accorgimenti, di facile esecuzione e di costo irrisorio, che sono perfettamente in grado, se non di eliminare del tutto questi problemi, almeno di ridurli in misura assai rilevante. Così, laddove si fa una buona gestione faunistica e venatoria, queste specie dimostrano di possedere ancora enormi capacità riproduttive.
La primavera - estate del 2017, con la sua grande siccità, aveva indubbiamente penalizzato fortemente la riproduzione dei fagiani (selvatici s’intende). La primavera – estate 2018 ha viceversa decretato un successo nella riproduzione di questi selvatici come da anni non si vedeva. Personalmente, tanto per fare un esempio, in una delle realtà faunistiche e venatorie che seguo, caratterizzata da una popolazione totalmente naturale di fagiani ben gestita, ho registrato, tra la primavera e l’estate di quest’anno, una densità di quasi 15 covate per 100 ettari ed una densità di nuovi nati pari a quasi 89 piccoli per 100 ettari. In altri termini questa popolazione ha dimostrato di saper recuperare brillantemente un’annata sfavorevole come quella del 2017. Infatti, l’incremento registrato dalle covate è stato pari ad oltre il 300%, mentre quello dei giovani ha superato addirittura il 360%. Alla faccia di chi afferma che non esisterebbero più le condizioni perché le fagiane possano riprodursi naturalmente!
Questi semplici dati stanno a dimostrare come il vero problema della piccola selvaggina non sia rappresentato tanto dalla situazione ambientale, che per quanto negativa possa essere è comunque affrontabile e almeno in parte attenuabile, quanto piuttosto dalle spaventose carenze che oggi caratterizzano la gestione della piccola selvaggina stanziale. Oggigiorno, così come in passato, per avere successo nella gestione faunistica e venatoria della piccola selvaggina è indispensabile intervenire simultaneamente su due aspetti di fondamentale importanza: il miglioramento ambientale volto a favorire l’alimentazione e la riproduzione naturale e il contenimento dei predatori: volpe e corvidi. Esistono fior di esperienze che dimostrano come sia assolutamente indispensabile prestare grande attenzione a entrambi questi aspetti. Provvedere ad uno solo di essi equivale, infatti, a condannare a sicuro insuccesso qualsiasi tentativo di gestione. E questo purtroppo, è quanto avviene in tante parti del nostro Paese.
Un limite della selvaggina di allevamento è quello di essere del tutto incapace di difendersi dai predatori. Ma anche il passaggio da un’alimentazione del tutto artificiale, quale quella che viene praticata in cattività, ad un regime alimentare del tutto naturale, quale quello a cui deve far fronte l’animale nell’ambiente selvatico, non è certamente privo di inconvenienti. Tuttavia, il limite maggiore della selvaggina allevata, senza distinzione di sorta, è quello sanitario. La stabulazione comporta inevitabilmente che la patologia insorta in un singolo individuo coinvolga in brevissimo tempo, se non tutti, sicuramente gran parte dei soggetti che condividono con lui gli angusti spazi dell’allevamento. Non solo, ma queste patologie, nel tempo, finiscono inevitabilmente per diventare croniche. E’ sufficiente leggere la composizione di un qualsiasi mangime per rendersi conto come in esso siano sempre presenti principi attivi destinati a tenere a bada le patologie più diffuse negli allevamenti. Ma i farmaci in grado di tenere sotto controllo le diverse patologie all’interno dell’allevamento, nulla possono allorché gli animali sono liberati nell’ambiente naturale. Inoltre, così come avviene nei fagiani, le patologie più nefaste non si manifestano subito dopo l’immissione, bensì in concomitanza con la riproduzione naturale che così viene ad essere pesantemente penalizzata.
La gestione faunistica venatoria ha tuttavia messo a punto dei validi accorgimenti gestionali anche per ovviare ai limiti della piccola selvaggina allevata in cattività. Esistono infatti tecniche di ambientamento capaci di attenuare buona parte delle difficoltà di questo tipo di animali e consentire loro di sopravvivere. Una buona gestione faunistica e venatoria è poi in grado di trasformare, in un ragionevole arco di tempo, anche questa selvaggina in una vera e propria fauna selvatica capace di riprodursi con successo allo stato di natura. Allora, in conclusione, per rispondere alle domande iniziali, non ci sono ragioni plausibili per dover rinunciare alla gestione e affidarsi alla degradante pratica della “pronta caccia”: un’attività appannaggio solo di coloro che stoltamente ritengono che la caccia sia semplicemente premere un grilletto.

Roberto Mazzoni della Stella

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