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Un incontro

 

Un incontro

 

Lo notai subito, appena oltrepassato il vecchio sorbo, là sotto un larice, la schiena adagiata al tronco, il sacco di tela ormai liso e grigio tra le gambe e la vecchia doppietta spagnola. Non s’accorse del mio passo e così gli fui presto vicino e ne fui imbarazzato. Il suo volto seguiva la danza di alcuni rampichini intenti nella loro metodica, ancestrale ricerca di cibo fra svolazzi e richiami. Calpestai dei rametti, mossi del materiale.

-Ah, sei qui. Non t’ho visto. Siediti. Mangiamo qualcosa.-

Avrei voluto correre ancora molto più in alto, là fin sul filo e poi oltre la bocchetta, sino al lago e forse più giù, ma la sua compagnia mi fermò. C’era qualcosa di profondo e di autentico in lui. Parlava per aver provato e vissuto. Parlava di tempi e di azioni per la mia generazione ormai lontani e persi, eppure distavano solo lo spazio di una vita. Erano notti trascorse all’addiaccio, sotto le stelle, alla ricerca dei pochi camosci, anche loro figli e vittime di momenti più duri, e ancora il suo sguardo e le sue ruvide mani ridisegnavano quegli spazi e quelle cime e tanta libertà. Poi mi diceva di politica, quando essere di un partito piuttosto che di un altro era condizione di vita, poco opportunismo, niente apparenza. E mentre lo ascoltavo parlare con tanto trasporto di terra, alberi e legni, stagioni, acque, ma anche di formiche e erbe e profumi e colori, mi chiedevo cosa mai fosse cambiato, perché tutto ciò rimanesse così lontano dalla nostra quotidianità.

Poi, di nuovo solo, come già altre volte, andavo riannodando quelle immagini, segni e suoni tanto semplicemente comunicati e così incredibilmente coerenti tra loro, echi di una vita vera e vissuta in un mondo che era casa propria.

Ora che ci ha lasciati restiamo un po’ più soli. Il monte, la baita, i sentieri, la valle e la bocchetta sanno ancora di lui, del mondo che aveva dentro e di come lo incontrava.

Le modalità e la disarmante semplicità con le quali sapeva capire, orientarsi e operare in quell’ambiente ci chiedono con insistenza di ricordarci di loro, di quella generazione.  E quando uno come lui se ne va, lascia un vuoto che la nostra cultura, ormai diversa, non riesce a colmare. Forse perché in quella perdita o dimenticanza c’è una parte di noi, una parte di uomo.

 

                                                             Moreno Bianchi

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