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Polvere... d’un glorioso passato: Acapnia

Un tempo c’era la polvere nera, a base di salnitro, zolfo e carbone tenute insieme da gomma arabica. Lunghi canne di damasco tuonavano e i gli occhi si velavano di una debole foschia che rendeva il cacciatore ancor più titubante e smanioso di sapere come l’azione di caccia si era conclusa. Di polveri nere ne sono state prodotte di varietà e graniture infinite, dalla minuscola tipo francese alla più grossolana polvere per spingarda. Si dovevano utilizzare canne molto lunghe per permettere a tutto il propellente di bruciare correttamente, e le dosi a volte potevano anche raggiungere i 3,5 grammi per spingere 28 grammi di pallini. Solo nella prima metà dell’800, per pura casualità, si scoprì la nitrocellulosa.

Finalmente nel 1886 il prof. Casati e Settimio Baschieri crearono una delle prime, se non la prima, polvere infume italiana. L’Acapnia (il cui nome deriva dal greco e significa “senza fumo”) è una polvere che venne prodotta dalla Baschieri e Pellagri di Bologna dai suoi albori fino agli anni ’80. Originariamente si trattava di una polvere granulare e voluminosa a base di nitrocellulosa non completamente gelatinizzata unita ad altre sostanze, dal tipico colore rosso mattone. Durante gli anni l’Acapnia subì varie migliorie nella composizione e nella produzione, come la plastificazione superficiale dei granuli per renderli insensibili all’umidità. I granuli, dalla forma ovoidale e delle dimensioni di 1 mm di diametro, erano molto porosi per migliorare la combustione.
L’Acapnia è una polvere di vecchio stampo, che rende il massimo con assetti tradizionali in bossolo di cartone, cartoncino e borra di feltro e un innesco debole, dato che venen concepita per essere usata con i vecchi 6.45 al fulminato di mercurio. I vecchi apparecchi Doppia Forza, che accendevano la polvere non per impulso ma per capacità calorifera della vampa, venivano evitati a causa della peculiare vivacità e facilità di accensione di questa polvere. Per i cacciatori meno facoltosi, al posto del prezioso borraggio in feltro, c’era a disposizione il borraggio in sughero o il borraggio chimico, una sorta di agglomerato di sughero granulare mescolato a paraffina e da inserire tra due cartoncini all’interno della cartuccia. La dose di piombo è da collocarsi a cavallo delle x28 e x32, quindi cartucce ideali per il periodo estivo a selvaggina minuta come conigli, quaglie, ecc.. L’Acapnia ebbe anche molto successo tra i cacciatori al capanno, in quanto era una polvere economica e di facile dosaggio con i misurini a volume. Infine una vecchia macchinetta orlatrice a mano serrava il bossolo sopra un cartoncino, magari fatto in casa con una fustella.
Pochi furono i bossoli prodotti con impresso sul tubo il nume di questa polvere, in compenso il bossolo “ideale” che venne più volte impiegato è il buon “rosso cane” della Fiocchi di Lecco.
Date le sue particolari caratteristiche, l’Acapnia non solo ebbe fortuna nella nostra penisola, ma anche in America dove venne largamente commercializzata. Capita spesso di trovare nel nuovo continente lattine di questa polvere, come quelle della sorella Superbalistite.
In conclusione si può dire che l’acapnia ha accompagnato per quasi un secolo buona parte dei cacciatori, ha tuonato sui campi da tiro al piccione in prestigiose doppiette e fa ancora sognare quei cacciatori che ad essa associano tanti ricordi.


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