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La caccia con la spingarda

La caccia con la spingarda

Gli anziani cacciatori  l’hanno sentita tuonare, mentre i giovani ne avranno solo sentito parlare o conoscono qualche leggenda legata ad essa.  La spingarda è stata, durante la prima metà del ‘900, il principale strumento di caccia agli acquatici nei grossi fiumi e nei laghi. Per conoscere meglio questa gloria del passato, però, si deve parlare prima dell’imbarcazione utilizzata per questa caccia.

Si trattava di un battello dal fondo piatto, lungo circa 7,5 m e di larghezza massima 1,15 m, con un punto di galleggiamento molto alto per poter sparire, in silenzio, tra le acque.

Sul barchino, chiamato dalle mie parti “űslot” , salivano due persone. Dietro un pannello ben mimetizzato con erbe e radici si nascondeva il timoniere, davanti a lui, sdraiato sul fondo del barchino, stava l’addetto all’arma. I remi erano di varia lunghezza, in base alla profondità dell’acqua e alla funzione. Si poteva praticare questa caccia anche da soli. In questo caso il timoniere legava ad un apposito occhiello uno spago legato a sua volta ad un bastoncino che teneva tra i denti. Al di sotto della canna venivano messi dei blocchetti di legno che avevano la funzione di ”alzo” della spingarda.  Arrivati alla distanza prestabilita dall’alzo si sparava tirando il cordino.

Ora parliamo dell’arma vera e propria. Le spingarde si differenziano per 2 categorie: le spingarde a braccio e le spingarde fissate al natante. Le spingarde a braccio erano in calibro 8 (anche doppietta, camerato 80 mm) e 4 monocolpo (camerato 90 mm). Le canne erano lunghe dagli 80 ai 100 cm. Nelle spingarde fisse al natante si andava dal calibro 32 mm fino al 51 mm. In un catalogo beretta degli anni ’20 compare anche una poderosa spingarda da 75 mm del peso complessivo di 700 kg più 200 kg di appoggio con respingenti alla glicerina, adatta solo a grosse imbarcazioni per grandi laghi. Le canne variavano dai 180 cm per i calibri più piccoli fino a 4-5 m per le più grosse. Sul fiume Po, nella mia località, le spingarde andavano dal calibri 41 fino al 48 mm. Queste armi potevano essere sia a retrocarica sia ad avancarica.

I bossoli erano o metallici o di cartone. I bossoli metallici erano per i calibri più grossi dal 41 in su, perché spesso erano fatti al tornio su misura per l’arma (si ricorda che molte spingarde erano ricavati da cannoncini). I bossoli di cartone invece erano destinati ai calibri fino al 32 mm e per le persone particolarmente facoltose.

Le munizioni, come mi ha raccontato mio nonno, grande cacciatore di spingarda della zona, si preparavano nel seguente modo. Dopo aver decapsulato il bossolo si metteva un bastoncino nel foro dell’innesco. Dopo di chè si metteva la polvere nera a grani grossi. Mio nonno caricava la polvere nera da spingarda Bernardo Piloni, ma chi non aveva abbastanza soldi ripiegava sulla mina potassa prodotta dalla SIPE e venduta in sacchetti da chilo. Sulla polvere si mettevano dei feltri ricavati da un panno di feltro spesso 2 cm con una fustella. Dopo aver pressato bene la polvere si procedeva con l’innesco. Si toglieva dunque dal foro il bastoncino, si riempiva il vuoto creato con la “polvere nera tipo francese fine” della SIPE e si metteva l’innesco “doppia forza fiamma” della Fiocchi. Le dosi su un calibro 48mm era di 110-120 gr di polvere nera. Infine si passa al piombo. Sfato immediatamente la leggenda di chiodi, pezzi di vetro e altro caricati al posto del piombo nei periodi di guerra. Quindi si è sempre caricato del piombo comune o antimoniato (non esisteva il nichelato) del numero 2 per cacciare d’autunno durante il passo dei germani, mentre nel periodo primaverile il numero 4 per il passo delle marzaiole. Si precisa che la numerazione dell’epoca era diversa da quella odierna, infatti un pallino del 2 d’allora corrisponde all’1 odierno. Il piombo caricato, sempre nel calibro 48 mm, era del peso di 500-600 gr. Infine,a chiusura del cartuccione, si metteva un cartoncino, sempre ricavato con la fustella e abbastanza spesso, con una colata di paraffina o cera per serrare il tutto.

Adesso abbiamo tutto quello che occorre per andare a caccia con la nostra spingarda.

Dopo aver messo la spingarda nell’apposita sede, a un terzo della lunghezza del barchino, si aspettava l’arrivo degli uccelli nella tesa.

La tesa era fatta in particolari zone del fiume dove l’acqua creava uno specchio quasi fermo, con la ghiaia fine dove gli anatidi erano soliti riposarsi dopo il viaggio di migrazione. I primi richiami, chiamati comunemente stampi, erano fatti in cannuccia palustre per il corpo con la testa in legno, oppure in legno dolce di salice, esternamente carbonizzati per evitare che l’acqua penetrasse nel legno e lo facesse appesantire e marcire, inoltre conferiva la base nera per la colorazione.

Quando dalla baracca i cacciatori vedevano gli uccelli scendere nella tesa si partiva per la caccia.

Lentamente, senza alcuna fretta, con il cuore che palpitava per l’emozione e la paura di fare pochi capi (al tempo si cacciava per mangiare o venderli), la barca si avvicinava allo stormo. Da riva era quasi impossibile vederla tanto era bassa. Quando si era arrivati alla debita distanza, intorno ai 100 m, il timoniere dava l’ordine di prepararsi al tiro e, nel caso gli uccelli si involassero, di far fuoco. Nel frattempo, sempre molto lentamente e stando attenti a non spaventare lo stormo, si avvicinavano ancora di una ventina di metri e…

BOOOOOOOOOOOOM!

Dopo una nuvola di fumo e un eco che tuonava lungo tutto il Po, specialmente nelle mattine fredde piene di brina, si cominciava con il fucile normale a uccidere i feriti, e infine recuperare i morti. In una spingardata, mio nonno, uccise ben 34 germani reali su 36.

Questa caccia scomparve per le leggi che vennero emanate. La prima fu quella del 63 che riduceva il calibro fino al 4, così molti cercarono di convertire i loro “spingardoni” con riduttori vari, ma la lunghezza della canna era sproporzionata rispetto al calibro e i risultati erano scarsi. L’ultima legge emanata, quella della ’68, vietava anche l’utilizzo del 10, 8 e 4 ponendo fine a quest’epoca.

Giusto o sbagliato che sia questo è quello che mio nonno più volte mi raccontò, ricordando i momenti passati con gli amici nella baracca in riva al fiume a mangiare polenta fritta, qualche salamino e a giocare a carte nelle lunghe attese.

A completamento dello scritto su questo tipo di arma,mi piace aggiungere questo simpatico e burlesco racconto del compianto scrittore e amico Avvocato Adelio Ponce de Leon.

Quando seppe della mia passione per le spingarde,di cui sono collezionista,mi inviò in regalo questo suo articolo.

La caccia a Bardello con le spingarde sul Lago di Varese

Vi era sempre stata guerra aperta tra gli spingardisti del lago. Primeggiava per esperienza l'Angiol dei Ca' Neuv di Biandronno e per astuzia il Molinari di Bardello, da poco appassionato a quel genere di caccia. Si era fatta una darsena capace,aveva acquistato un cannone di grosso calibro e faceva perfino arrivare le anatre da richiamo dall'Olanda,paese delle canardières. Ubaldo,spregiudicato atleta rotto a tutte le discipline sportive,non era da meno per capacità e bravura. Emulazione ed invidia dividevano i tre in un antagonismo sfrenato. Si scannavano pur di arrivare primi a tiro su un branco di selvatici. Quel mattino,quasi nello stesso tempo,dalle rive opposte partirono a palettate vigorose l'Angiol, il Molinari e l'Ubaldo.Nei confronti dell'Angiol,già in età e con un barchetto vecchiotto e del Molinari,più gradasso che abile,Ubaldo si stava avvicinando più veloce. Il Bagàt che da riva osservava con il binocolo,così raccontò il fatto:- Ubaldo ormai era a tiro,sui novanta metri dal bersaglio e tenevo gli occhi sbarrati per vedere la nube di fumo della sua spingarda prima di udire due o tre secondi dopo la cannonata. Ma il colpo partì invece dalla imbarcazione del Molinari che, a duecento metri dallo stormo in acqua delle marzaiole, aveva sparato solamente per farle sfuggire al tiro di Ubaldo. -Ma non sapeva il Molinari con chi avesse a che fare - continuò il Bagat -Ubaldo proseguì puntando dritto sul Molinari palettando a grande forza. Questi per girare il barchetto e dirigersi verso la sua sponda aveva perso almeno cinquanta metri. Ubaldo lo inseguiva sempre più veloce. Quando il barchetto del Molinari stava per toccare la riva partì la cannonata di Ubaldo. I pallettoni e i chiodi ricurvi caddero con una rosa larga attorno al Molinari che si mise a urlare e si buttò a terra come se lo avessero ucciso. Per fortuna i proiettili che lo avevano raggiunto da debita distanza erano stati frenati dagli indumenti pesanti invernali e poi erano già in caduta. - Prova un'altra volta- gli gridò Ubaldo - e ti sparerò da cinquanta metri!- Il Molinari si era alzato ma non lo sentiva perché si era messo a correre come un pazzo verso il paese: -Assassino...assassino..in galera ti faccio andare!- Ma si guardò bene dallo sporgere denuncia perché sapeva che le ritorsioni di di Ubaldo erano imprevedibili.

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