Menu
RSS

facebooktwitteryoutubehuntingbook

La mia prima Bernardelli


Certo che per salire a Brescia non ho scelto la giornata più adatta: il vento scuoteva la macchina e una pioggia battente alle porte della città ha mandato in tilt persino il navigatore. Così mi sono fermato ad un bar di Torbole Casaglia per chiedere informazioni. «La Bernardelli? L'è là», mi ha risposto con sicurezza un anziano che leggeva il giornale. Ho attraversato il reticolo di incroci della zona industriale con i tergicristalli a mille, fino ad arrivare ad un piccolo parcheggio. Sul citofono, l'inconfondibile stemma azzurro col cigno incastonato nel rombo della casa di Gardone. Ho suonato e poco dopo è comparso il sorriso di Piero Torosani, responsabile vendite ed esperto balistico di fama internazionale, che mi ha accompagnato per un breve tour in azienda.

Oltrepassare il cancello è stato come fare un tuffo nella storia secolare della Val Trompia, tra miniere di ferro e incisioni cesellate. Qui si respira aria vera, aria buona. Non avevo mai visitato una fabbrica d'armi e la cosa che più mi ha colpito è stata il volto delle persone che la abitano. Occhi esperti che conoscono i segreti del legno e dell'acciaio, materie prime per la produzione delle antiche doppiette e della nuova gamma di semiautomatici. «Tutte le parti provengono da un raggio di 25 chilometri - mi ha spiegato Torosani - vengono lavorate ed assemblate in loco». Ovvero in questo spazio moderno che unisce tradizione e tecnologia e dove collaborano gomito a gomito un manipolo di 15 tecnici tra vecchi artigiani e giovani laureati. Davvero una bella continuità generazionale. Ho osservato ogni dettaglio: le mani che intagliano un calcio, le macchine per la rifinitura della bascula, i lunghi passaggi per ottenere canne speciali.  
Pensare che fino a qualche mese fa non avrei mai immaginato di essere qui, ad assistere al processo di produzione e ad aspettare una doppietta tutta per me. Ho ripensato con gratitudine alla telefonata di Alessandro Bassignana, quando mi aveva informato dell'esito del concorso di narrativa "Scrivendo e Cacciando". Ero rimasto ammutolito per l'emozione, contento come un bambino, incapace di articolare le parole. Salvo mandargli un sms di ringraziamento nel cuore della notte. Quando l'ho conosciuto alla fiera di Vicenza, durante le premiazioni, mi aveva suggerito: «Non farti spedire il fucile, se puoi fai un salto alla Bernardelli: lavorano i pezzi uno alla volta, con cura certosina, se non sei mai stato è un'occasione da non perdere». Oggi, nonostante il temporale, posso assicurare che è valsa la pena salire dall'Umbria per incontrare questo mondo a me sconosciuto. Uno vede il fucile bello e finito in armeria e non immagina la passione e il sudore, la ricerca tecnica e le innovazioni che nasconde.
Così, mentre ascoltavo i racconti di Piero, sulla caccia che cambia, sulle tradizioni da salvaguardare, rischiavo di non accorgermi che la visita si stava concludendo. E il bello doveva ancora venire: siamo arrivati al banco dove scintillava una fantastica Hemingway in calibro 20. «Imbracciala, e vediamo come va il calcio». Una piuma, bilanciatissima, andava a mira che era una meraviglia. Per me, che non sono mai andato a caccia con una doppietta pur avendola sempre sognata, è stato amore a prima vista. Torosani ha preso le misure, ha annotato dei numeri su un taccuino. «C'è da accorciarlo di un centimetro buono e sistemare la curvatura, roba da poco, per la fiera di Bastia dovrebbe essere pronta».
Maggio è dietro l'angolo, qualche mese ancora e arriverà settembre. Finalmente manderò in pensione il mio vecchio fucile di seconda mano con dieci anni di onorato servizio. Solo un rimpianto: per le padelle, d'ora in avanti, non potrò più incolparlo e la responsabilità sarà solo e soltanto mia.      

Torna su

Normative

Ambiente

Enogastronomia

Attrezzatura