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Etica Venatoria e responsabilità sociale

Etica Venatoria e responsabilità sociale
Molto spesso ci si chiede quali siano le chiavi di lettura del termine "caccia", e quali implicazioni ne derivino al cacciatore stesso che pratica questa attività.
Il termine, preso a sé, ha un significato preciso ma anche esteso.
Il vocabolario Treccani, riferendosi alla caccia, così si esprime: ricerca, uccisione o cattura della selvaggina, compiuta con trappole, reti, armi e spesso con l’ausilio di animali domestici e di accorgimenti vari; poi aggiunge una definizione più precisa: cattura e uccisione della selvaggina con il fucile, nelle condizioni permesse dalla legge; più avanti ancora ne dà un significato più esteso: inseguimento, appostamento, ricerca attiva e spesso compiuta con l’astuzia, di animali o di uomini allo scopo di impadronirsene o anche solo di trovarli.
Di fatto le tre definizioni contengono elementi e concetti un po’ diversi, e rispecchiano anche il variegato modo di interpretarla dei cacciatori, a seconda della loro diversa maniera di intenderla.
La prima e la terza definizione sono sicuramente le più complete, con uno sguardo rivolto alla storia dell’uomo e ai suoi rapporti con l’ambiente, mentre la seconda risente un po’ di un linguaggio che definirei "legale", asciutto, senz’anima, riferito semplicemente all’atto conclusivo dell’azione di caccia, ma che però sottolinea in maniera chiara come la "caccia" non si debba mai confondere con il "bracconaggio",  e la discriminante sta proprio nel rispetto della legge. 
Nelle definizioni più complete si delinea subito un aspetto culturale profondo, legato alla storia dell’uomo e alla sue necessità primarie, quelle della sopravvivenza. Si viene trasportati dentro la storia della nascita e dell’evoluzione delle prime comunità, quindi della preistoria, intrise di un fascino profondo e misterioso. Di tali periodi storici, in Europa, restano solamente poche testimonianze; le più affascinanti sono quelle delle pitture rupestri  e, più vicine a noi in termini geografici e storici, le scene di caccia rappresentate nei loro graffiti dal popolo dei Camuni, che abitavano le valli bresciane nell’età del bronzo.
Ma la storia dei popoli non la si legge solamente sulla linea del tempo, andando indietro nei secoli, poiché in molte regioni del nostro pianeta pare che la storia, almeno nei termini in cui la intendiamo noi, si sia fermata in "stazioni" diverse, che ci permettono di rileggerla quasi in tempo reale, basta  spostarsi sul pianeta, anche virtualmente seguendo documentazioni di filmati etnografici, con l’umiltà di leggere ed ascoltare per imparare, senza esprimere necessariamente giudizi di merito.
Con la curiosità di andare a leggere la storia si scopre che la parola "caccia" assume valori profondi che investono direttamente tutta l’economia dei gruppi sociali ai quali facciamo riferimento, siano essi i popoli delle foreste del centro  America o quelli di certe regioni africane, o ancora quelli di alcune isole del Pacifico o delle regioni polari.
Tra queste popolazioni possiamo ancora oggi leggere i "valori"  che stanno dentro la "caccia. Valori fortemente impregnati di aspetti rituali, di spiritualità e di comportamenti individuali basati su regole e stili reciprocamente riconosciuti e condivisi, nel pieno rispetto dell’ambiente e dell’equilibrio dell’ecosistema, inteso "a servizio dell’uomo".
Come tutti i "valori" che hanno accompagnato l’uomo attraverso i secoli, questi possono in gran parte essere rivissuti, pur nella necessità di essere riletti alla luce dei nostri tempi, affinché possano essere riconosciuti ancora vitali da coloro che non sono più in grado di percepirne l’essenza e l’importanza, e da chi spesso ci chiede se abbiano ancora significato.
Ricordo a questo proposito una frase che Indro Montanelli scrisse rispondendo ad un lettore del Corriere (la "stanza" di martedì 2 settembre 1997); il quale si lamentava perché non riusciva a capire la caccia. Rispose in questi termini:  Quello dell’uomo che esce di casa con la doppietta a tracolla non è il piacere di uccidere; è quello del ritorno alle sue ataviche origini nell’ambiente delle sue origini, quali sono il bosco e la palude (e la montagna, aggiungiamo noi). Se Lei mi dice che questo piacere le è del tutte estraneo, io non trovo nulla da obiettare; mi permetto soltanto di compiangerla un po’ perché ho l’impressione che le manchi qualcosa. A me, di piacere, la caccia ne dava moltissimo, anche quando tornavo a casa a carniere vuoto dopo sei sette ore di scarpinata per monti e per valli, quasi sempre da solo perché la natura – e il cane, che appartiene alla natura, basta a farti compagnia".
Dentro questa frase sta un grande insegnamento e un importante messaggio: i valori della tradizione, nella loro essenza più profonda, vanno tramandati  e trasmessi, anche con piccoli gesti quotidiani, spesso rituali, e vanno custoditi gelosamente.
Perché ciò avvenga in modo corretto, però, dobbiamo riconoscere che non tutti sono idonei a svolgere tale funzione: buoni maestri non ci si può improvvisare! Quando ne troviamo uno, teniamocelo stretto!
Il secolo passato è purtroppo intriso di pessimi maestri, quelli che il vangelo definiva "falsi profeti", dai quali bisognava guardarsene bene! E ancora oggi, a questo proposito, non si scherza.
È stato il secolo degli assolutismi, degli estremismi, dell’estremizzazione di ogni posizione, dei confitti ad ogni costo, delle guerre infinite; a volte se ne respirano ancora gli effluvi.
La voglia estrema di contrapposizione ci ha spinto a volte a cancellare il passato, buttando via, assieme a ciò che ci sembrava non andasse bene, anche il buono, spesso trasformandolo e deformandolo fino a renderlo irriconoscibile, perché svuotato di valori, appunto.
Di queste deformazioni è stata vittima anche la caccia,  diventando troppo spesso un puro saccheggio di quanto era disponibile, senza alcun criterio. Vissuta in casi estremi come una corsa all’affermazione di una dignità perduta, per qualcuno è diventata attività di bracconaggio, intrisa di un senso penoso di sfida alla legge, di emarginazione come scelta estrema, a testimonianza di un profondo disagio sociale, e, in fondo, di disprezzo per l’ambiente e la fauna.
Purtroppo questi aspetti sociali negativi in molte realtà culturalmente deboli hanno fatto presa, così la trasmissione dei "valori" veri della tradizione venatoria si sono improvvisamente interrotti, spezzando una catena delicatissima che da secoli li aveva mantenuti vivi, con tutti i loro aspetti coreografici, di costume, di partecipazione sociale, di trasparenza e di rispettabilità dei sentimenti.
A volte ci si chiede perché i giovani non si avvicinano più volentieri alla caccia, e forse la risposta sta dentro queste riflessioni. Abbiamo bisogno di recuperare buoni maestri, non solo maestri di scuola, bensì maestri di vita, per i quali la custodia e la trasmissione dei "valori" della storia e della tradizione, intesi nel significato più profondo, siano una ragione stessa di vita, e nel contempo dobbiamo imparare a riconoscere quelli falsi, per i quali contano solamente gli interessi personali del momento, e a scrollarceli di dosso con energia.
Dobbiamo saper scegliere il giusto abito, toglierlo dal guardaroba della nostra storia locale, dargli una bella scrollata e, se serve, una spolverata energica con una spazzola non troppo delicata, e sentirci  responsabili dell’impegno di trasmettere di valori importanti, seppur marginali, della tradizione, per i quali vale la pena spendere il nostro tempo e, meno insicuri, crederci.
La sfida di oggi, per noi cacciatori, è anche quella di saper diventare dei buoni maestri.
Articolo apparso a firma Flavio Galizzi su "Cacciare a Palla" che si ringrazia.
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