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Cacciare i calvi di capriolo in inverno

Cacciare i calvi di capriolo in inverno
“Cacciare i calvi in inverno…”, la prima volta che ebbi a sentirlo rimasi interdetto.
I calvi, e perché mai? Cos’hanno fatto? E chi sono i calvi? In inverno poi?
Tutto questo, più o meno in quei toni, lo chiesi molti anni fa all’amico che ne parlava e alle mie sciocchezze sembrava più disgustato che divertito, ma volle comunque spiegarmi come per “calvi, nel caso, andassero intesi femmine e piccoli di capriolo, notoriamente privi di palco.
Non ch’ignorassi come sia il solo maschio adulto di capriolo a portare trofeo, caduco, ma per me che appena m’affacciavo alla caccia di selezione in un comparto alpino il problema non si poneva in quei termini, perché in Zona Alpi la stagione di caccia si svolgeva in periodi differenti da quelli della fascia appenninica e dunque in inverno dalle mie parti le carabine…tacevano!
Dove cacciavo all’epoca, e caccio tutt’ora, il Comprensorio Alpino Torino 1, il capriolo lo si poteva abbattere solo a partire da metà settembre, e complessivamente per due soli mesi l’anno, con il rischio che si trovassero maschi che avevano già deposto il palco (ricordiamo qui come le…"corna"- termine impropriamente usato da molti per indicare i palchi- comincino a cadere all’inizio dell’autunno nei soggetti più anziani, per proseguire tutto ottobre e talvolta sino a novembre per i maschi più giovani), femmine allattanti o piccoli ancora…troppo piccoli per sopravvivere una volta rimasti senza madre.
In realtà in quasi o tutti i CA diventerebbe impossibile cacciare in pieno inverno, a causa dell’eccessivo innevamento che penalizzerebbe troppo gli animali oltre al fatto di favorire gli sport invernali rendendo piuttosto…trafficato il territorio; allo stesso modo, ma per ragioni che nulla hanno di scientifico, si rinuncia a cacciare i maschi adulti nel periodo estivo, con monti e foreste alpine che pullulano  di turisti ed escursionisti,  come viceversa consiglierebbero le regole della sana gestione di fauna ed attività venatoria.
Negli ATC di pianura e collina il discorso cambia, e così molti di questi consentono il prelievo degli ungulati, già a partire da giugno, quando si possono abbattere i caprioli maschi adulti, riservando a femmine e piccoli il periodo invernale.
Dunque quando ormai i cacciatori alpini hanno riposto le loro carabine negli armadietti blindati dove resteranno sino al settembre successivo, altri loro colleghi le tirano nuovamente fuori, potendole usare generalmente dai primi di gennaio fino a metà marzo.
Quest’esperienza ancora mi mancava, ed era lacuna da colmare al più presto, quantomeno come spettatore.
L’occasione arrivò con l’invito di un amico che cacciava il capriolo sull’Appennino Ligure-Piemontese, nella provincia di Alessandria.
Ovviamente la nostra ricerca avrebbe riguardato i soli…calvi, e cioè le femmine o i piccoli, giacché i maschi erano stati cacciati durante la stagione estiva.
Distinguere maschio e femmina di capriolo adulti quando il primo ha già deposto il trofeo è difficile ma non impossibile, specialmente se si dispone di ottiche di buona qualità.
A parte la struttura fisica, più massiccia ed imponente per il maschio, o la visione del “pennello”, peli prepuziali che sono piuttosto visibili anche a lunga distanza, esiste lo “specchio anale”, una grossa chiazza bianca che gli animali hanno sul posteriore e, quando il manto s’è infoltito e fatto bruno-marrone per l’inverno, spicca con particolare evidenza.
Il maschio lo ha a forma di cece, mentre per la femmina si parla di una forma…a cuore, a causa di un ciuffo di peli, anch’essi bianchi e definiti “falsa coda”, che scendono all’esterno vulva, verso il basso.
A gennaio poi nei maschi è già iniziata la ricrescita dei palchi che, pur se ricoperti del famoso “velluto”, risultano ben visibili.
In ogni caso questo periodo sembrerebbe essere quello più corretto dal punto vista scientifico-gestionale per procedere al prelievo di femmine e piccoli; infatti le prime, pur se pregne (la gran parte di queste sono state “coperte” dai maschi in agosto), saranno ancora piuttosto lontane dal parto (ricordiamo come la gestazione del capriolo duri circa…nove mesi e mezzo; infatti l'ovulo, una volta fecondato, si impianta nell'utero materno, ma rimane quiescente fino a dicembre, quando riprende a svilupparsi. Questa caratteristica viene detta ovoimplantazione differita), mentre i secondi ormai cresciuti a sufficienza per badare da soli a sé stessi.
La legge consente quasi ovunque di cacciare l’ungulato anche su terreno coperto di neve, ma le ultime annate, caratterizzate da inverni secchi e con temperature d’alcuni gradi superiori alla media, di fiocchi bianchi ne hanno regalati ben pochi, spesso verso la fine dell’inverno, limitando anche le gelate a pochi giorni in tutta la stagione.
Sistemi per cacciare proficuamente il capriolo ve ne sono alcuni, ma, escluso quelli che prevede l’uso del segugio vietato in gran parte del territorio italiano e consentito nel solo Friuli Venezia Giulia, da noi due risultano essere quelli praticati con maggior frequenza: cerca e appostamento.
Il piccolo cervide è animale territoriale e pure piuttosto abitudinario, e dunque la conoscenza del territorio diventa molto importante per garantire il successo di quella caccia.
Appostarsi quand’ancora è buio, o farlo prima che il vespro ammanti tutto quanto, spesso offre l’occasione di sparare, ma sempre che si conosca bene la zona dove gli animali si ritirano dopo aver mangiato per uscire nuovamente quando debbono alimentarsi nuovamente.
Va infatti ricordato come il capriolo sia un ruminante brucatore ma, date le modeste dimensioni del suo stomaco in proporzione a quelle corporee, debba nutrirsi più volte al giorno, selezionando vegetali particolarmente ricchi di nutrimento, quali gemme, fiori e frutti.
In inverno il capriolo ha mutato di mantello, e quel rosso che ne faceva…folletto dei boschi, è ora diventato bruno-marrone, rendendolo mimetico nell’intrico della foresta o negli spenti colori autunnali e invernali.
In compenso gli alberi hanno spogliato del loro fitto fogliame e così la ricerca degli animali risulta agevolata rispetto a quando a chi s’intrufolava nel bosco si parava avanti a lui un muro verde inestricabile e insuperabile.
L’appostamento prevede si seguano le solite norme di prudenza e silenzio, al fine di non vanificare la lunga attesa con il proprio comportamento chiassoso.
Il capriolo infatti, come tutti gli altri ungulati selvatici, è dotato di sensi acutissimi, in particolar modo udito e olfatto, mentre la vista lo è molto meno, seppur percezioni visive congiunte a quelle acustiche od olfattive l’allarmino immediatamente, facendolo sparire alla nostra vista in un batter d’occhio.
Nel periodo invernale i caprioli vivono in piccoli gruppetti formati da femmine, piccoli (che ormai tanto piccoli non sono) e pure i maschi, tutti riuniti a formare il branco; molte paia d’orecchie, occhi e narici pronte a captare ogni tipo di messaggio trasportato dall’aria gelida che spira nei boschi invernali.
Appostarsi vuol dire sapere che l’animale potrà uscire con le prime luci oppure quando queste sono ormai morenti, rendendo le sagome dei piccoli cervidi difficili da distinguere alla perfezione; ecco perché il cacciatore che insidi il capriolo in queste condizioni deve essere fornito di buone ottiche, luminose, tanto per l’osservazione che lo sparo.
Un binocolo che abbia il numero giusto d’ingrandimenti, senza eccedere, come il 7x42, uno dei classici da cerca, oppure anche i modernissimi 8x30 e 10x30 che seppur dotati di un’inferiore pupilla d’uscita uniscono alla leggerezza una buona capacità di lettura dei dettagli, per arrivare a dei veri e propri “must” come l’8,5x42 o l’8x42 o a quelli dotati di lente frontale da 50 e 56 mm, capaci di regalare qualche minuto in più d’osservazione. Negli ultimi anni sono usciti binocoli dotati di lenti HD (High Definition), in grado di compensare alle aberrazioni cromatiche, insieme ad altri gioielli leggerissimi, con corpo in magnesio, o dotati di telemetro, consentendo così al cacciatore d’avere in un unico strumento due funzioni essenziali per la caccia, come l’individuazione del soggetto e la misurazione della sua distanza.
Per cacciare il capriolo nel bosco non serve avere sull’arma un cannocchiale dotato di elevati ingrandimenti, anzi in molti ATC o CA nemmeno viene ritenuta obbligatoria l’ottica montata sulla carabina; ad ogni buon conto è sempre meglio esserne dotati, anche ad evitare tiri improvvisati e che possano causare ferimenti invece di abbattimenti immediati e puliti.
Se poi lo si caccia alla cerca la distanza potrà essere di poche decine di metri, con tiri abbastanza improvvisi, così come superiore ai cento o duecento metri e quindi un’ottica variabile come il 3-9x40, o addirittura un performante 1,5-10x42, potrebbe essere più che sufficiente a coprire tutta la gamma di opportunità; ma anche il fisso ha i suoi aficionados che non vi rinuncerebbero mai, come il sottoscritto uso a cacciare il capriolo con un basculante ed un onestissimo 6x40 montato sopra, connubio leggero e pratico. L’uso dello spetkive, il classico “lungo”, non appare così determinante come lo è per altri tipi di caccia all’ungulato, come il camoscio, specialmente se si pratica un’attività venatoria di movimento.
Per quanto concerne il calibro va tenuto presente che si deve sparare ad un animale che mediamente pesa dai venti ai trenta chili e dunque non serve eccedere in potenza, partendo da quelli che la legge considera i minimi utilizzabili, e cioè il 6 mm (infatti molti ATC o CA vietano l’uso di calibri inferiori, sebbene alcuni di questi sarebbero molto adatti come il 223 Remington, il 22-250 o il 5,6x50).
Molto indicati risultano il 243 W, mio preferito e da molti considerato la scelta ideale per il piccolo cervide, il 240 Weatherby Magnum, il 6x62 Frères, il 6,5x 55 o la sua versione con collarino 6,5x57 e salendo di calibro il 270 W o il 7x64, mentre gli altri 7 energetici come il 7 mm RM o, salendo ancora di diametro, il 30-06 o il 308 W, pur questi must della balistica venatoria, francamente paiono eccessivi, e al più potrebbero essere utilizzati scegliendo la palla giusta (pesante e dura).
Quando andai ad accompagnare l’amico che aveva da fare il “pacchetto” completo, e cioè la possibilità di abbattere tanto il piccolo che la femmina adulta, il nuovo anno era iniziato da pochi giorni e per me che, cacciatore alpino, avevo smesso con la carabina da oltre due mesi, fu emozionante.
Muovendoci per quelle stradine dell’Alto Monferrato, da poco inserita insieme alle Langhe nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco, i fari del fuoristrada cominciarono ad illuminare le sagome degli animali che muovevano nell’oscurità, facendone brillare gli occhi ogni qualvolta il fascio luminoso usciva dal manto asfaltato e s’estendeva fianco strada. Un velo di neve ancor presente sul terreno li faceva individuare ancor meglio.
I caprioli c’erano, eccome se c’erano, ma sembravano tutti molto attenti, prudentissimi e stranamente molti prossimi ad abitazioni o strade; comportamento inusuale ma tutt’altro che inspiegabile per chi sa cosa stia accedendo da quelle parti. Infatti in quelle zone negli ultimi anni è riapparso un antico abitatore, combattuto per secoli sino a farlo sparire da tutto il nord Italia: il lupo! 
Il formidabile predatore ha fatto la sua ricomparsa dapprima sull’arco alpino occidentale e poi, via via diffondendosi, è giunto anche sull’appennino Ligure-Piemontese dove sembra siano presenti diversi branchi.
Non disquisiremo qui sulle cause della sua espansione, ma resta il fatto che il lupo è ormai realtà presente; e poiché…Ezechiele non è vegano, e nemmeno onnivoro ma esclusivamente carnivoro, il capriolo è entrato a far parte della sua dieta abituale.
I boschi appenninici sono territorio prediletto di caccia per il lupo, e molte sono le predazioni, e dunque anche gli ungulati selvatici hanno preso le contromisure, allertando al massimo i loro sensi, e rendendo più impegnativa la caccia.
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