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Trittico del Postaiolo (parte I)

Trittico del Postaiolo (parte I)

Attrezzi, viatico e superfluo - Comportamento alla Posta - Legalità, diritti e doveri.

 

Su queste tele imprimerò, con pennello sottile di vigorose setole, quei ritratti commissionatimi  dai nobili proprietari del maniero, in modo che tutti coloro che ne verranno a contatto possano comprendere quale sia il vero aspetto del soggetto e lo divulghino ad ogni lato dell’Italico Regno, al fine che tutto il volgo dell’urbi e della suburbia possa riconoscerne i pregiati lineamenti, non confondendolo con millantatori o figuranti e potendolo omaggiare di quel rispetto che lo stesso serba ai diligenti sudditi del Re del bosco.

Tre prospettive per non lasciare nulla al caso, tre visuali in cui compariranno in modo tangibile i singoli particolari di un unico soggetto, porzioni di un tutto che non potrebbero aver significato se scisse né ad altre accostate.

 

Tempo addietro non avrei accettato questo mandato perché ritenevo di spillare inutili denari dal borsello dei committenti, pensando erroneamente che il salone fosse poco frequentato ed il dipinto, in esso contenuto, malvisto o inosservato.

Oggi, dopo aver dipinto tele e gessi, stucchi ed intonaci in giro per l’Ausonia penisola, ho compreso che l’uomo di cultura ama l’arte in ogni sua forma e ne gaude con piacere ogni qualvolta se ne ponga l’occasione, foss’anche per rimirare lo stesso drappo più volte scorto.

Grandi pittori ora vedono la mia opera, l’osservano pur conoscendone profondamente anch’essi il soggetto ritratto, e, consuetudinariamente, si complimentano con i loro possessori.

 

La squadra nella caccia al cinghiale dovrebbe essere come un esercito, un’armata guidata da un Generale spalleggiato da degni comandanti che reggono le fila di ubbidienti e valorosi soldati.

Ognuno con compiti differenti, essenziali e determinanti, da schierare ed utilizzare nelle varie fasi dell’attacco.

Il Generale sul promontorio a dirigere i reparti e tutti gli altri ad eseguirne gli ordini; arcieri, cavalleria e, l’ultima ad entrare in campo  ma quella a vivere l’attimo più cruento e decisivo della battaglia, la fanteria.

Il Generale è il caposquadra, unico dispensatore di ordini, imparziale ed equidistante dal tutto, sia esso espressione del più fido comandante o l’ultimo degli arimanni, la cavalleria sono i canai, i quali non montano equini ferrati e bardati a guerra ma sciolgono segugi intenti a far fuggire, scomporre e disperdere l’armata nemica costituita da soldati ammantati di setole.

Arcieri e fanti sono un tutt’uno e vengono espressi nel postaiolo, ultima pedina nella scacchiera del certame, essenziali esecutori e rifinitori della strategia, vanificatori o profittatori degli sforzi corali.

La rigidità dei ruoli è certezza di riuscita!

L’esuberanza, il travalicamento, l’insubordinazione, l’eccessivo protagonismo e la codardia rendono vano qualsiasi sforzo bellico e creano malumori che, con l’andar della campagna, divengono screzi e si tramutano in odi, annullando la forza soverchiante del più efficiente esercito.

 

Non vi possono essere capisquadra pavidi ed insicuri, bisognevoli del continuo supporto del triunvirato dei preferiti, senatori mai eletti, perché gli altri, coloro che non rientrano tra questi e ne sono la stragrande maggioranza, si sentiranno inferiori e ciò, non solo non è buono e giusto ma, si tramuterà in una situazione ingestibile; anche l’animale è geloso se il “superiore” presta più attenzione ad un altro.

 

Non è giusto né consentibile vi siano canai che quotidianamente sparano ai cinghiali prima della loro ritirata, è scorretto e biasimevole più “cavalieri” s’incontrino e circondino, stretto come una garrotta, lo spinaio o lo scopeto ove stazionano i cinghiali; anche nel caso più propizio, e mai verificatosi, in cui facciano man bassa del nemico, il fante che staziona in loco da quando s’è alzato il sole, s’incazzerà come un drago (a meno che sia un borsaiolo e non un cacciatore).

Solitamente, per onor ed amor di cronaca, questo accerchiamento finisce in un’azione ridicola e si spreca assai di più di quanto si potesse azzardare lasciandoli arrivare alle poste e contentando tutti.

 

Dannoso appare ed estremamente pericoloso è che furiosi mezz’uomini, centauri, incroci tra cavalieri e fanti, vaghino con o senza cane per boschi ed incolti, sparando a ciò che passa e vanificando il lavoro di tutti gli altri, da quello dei tracciatori, dal sudore e ferite dei canai, dallo sforzo degli ausiliari e dall’infinita pazienza di coloro che spesso, molto spesso purtroppo, attendono invano e se ne vanno con tasche e zainetti colmi di quella rabbia che non vorrebbero mai portarsi appresso.

 

I fanti dal canto loro, devono essere: silenti e guardinghi, essenza e coscienza di mattatori mandati ad eseguire il compito più sgradevole, termine ultimo ed efficace di una manovra corale che ha visto impegnata la legione nel suo complesso.

L’attenzione deve essere di rigore perché la lor fortuna nell’incontro non divenga d’altri il rammarico; cecchini scrupolosi al limite del maniacale atti a scagliare l’ultima stoccata ad un nemico peloso che sa d’essere sott’assedio e conosce il suo destino legato ad una pupilla ed un mirino.

Bersagli non ignari ma veloci furie che nell’effimero d’uno scatto si giocano la vita; non bandiera o drappo da difendere o stendere, armistizio o cessate il fuoco da comprendere ma correre sempre e comunque sapendo che di lì si dovrà passare se a casa si vuol tornare e, dietro ad un sasso o ad un cespuglio ci può essere un uomo armato ad aspettare di vederlo passare.

Non c’è tiratore da poligono o sparatore da fiera che dimostri ciò che vuol far creder di valere quando del suide sente l’incedere, il cuore batte a mille e le ginocchia, tra di loro, fan scintille, la bocca è secca e aspra ed il corpo suda anche se poco prima aveva freddo.

E’ un’azione in diretta, nessun ciak di riserva né copione da seguire ma si recita a braccio e si pugna col coraggio, la spavalderia si nasconde al sopraggiungere dell’adrenalina che si porta in compagnia la cosa più sgradita che ci sia: la paura.

Essa ha diverse facce e dirige il suo sguardo in tutte le direzioni, coinvolge l’atavico timore che l’uomo serba nei confronti dell’oblio definitivo e del quale, lui stesso, sta divenendo tramite, il timore conscio di non essere all’altezza dei mille vanti e degli altrettanti autoproclami alla casa di caccia e nei mesi di riposo forzato e, per ultima, l’angoscia di vanificare il lavoro e la speme altrui, divenendo lui medesimo il bersaglio d’ogni più arguta o bassa presa per i fondelli e, di conseguenza, la causa stessa d’ogni suo futuro male venatorio.

 

Concludo mettendo a disposizione vostra quel consiglio che mi trovo a dare spesso quando leggo, con gran piacere, le  domande  che mi ponete nelle e-mail che mi inoltrate.

Riassumerò qui in un decalogo il viatico essenziale per potere sostenere uno stazionamento che potrebbe durare anche l’intera giornata e, come ben sapete, presentare disparate incognite.

 

1) Umiltà – Mai dimenticarla a casa, la supponenza, assieme alla fretta, tanto nella caccia quanto nella vita civile, è la più grande delle stupidaggini; s’ha a che fare con uno degli animali più intelligenti del creato, mai scordarlo o sottovalutarne le possibilità cerebrali.

 

2) Abbigliamento - Vestitevi comodi e caldi, non state mai bagnati se volete andare a caccia anche quando avrete dei nipotini; ciò che cerchiamo di predare non distingue i colori, non ascoltate gli idioti che vi diranno il contrario, perciò agghindatevi come vi pare senza farvi condizionare dagli ignoranti.

Scarponi o anfibi comodi, traspiranti e con grande tenuta sia sul terreno che alle intemperie; i piedi portano il peso del corpo e se stanno male loro siete fregati.

 

3) Giacchetto ad alta visibilità – Stesso come sopra, il Re è orbo perciò indossate la sgargiante armatura anche a prescindere dall’obbligo; la vita è una e va tutelata!

 

4) Odori – Batto i punti summenzionati, non ascoltate coloro che lodano ciò che conoscono e biasimano tutto quello che ignorano (ed è infinito) ma fatevi una vostra idea delle cose fondandola sulle esperienze dei pochi che reputate degni di fiducia e capaci.

Il cinghiale compensa ampiamente la scarsità della vista con l’olfatto e l’udito perciò evitate di cospargervi di dopobarba, saponi aromatici e di soavi o pungenti profumi ed unguenti, siete cacciatori e non fighette.

 

5) Radio – Da usare quando necessaria e non come radioamatore, comunicare il necessario e non ingaggiare soap opera che distraggono voi e disturbano il vicino alzatosi la mattina presto per avere la possibilità d’incontrare un cinghiale e non per udire starnazzanti ed inutili comizi.

Tenete il volume basso e possibilmente, del colore e forma che volete ma, mettetevi l’auricolare.

 

6) Munizioni – Non serve portarsi appresso 100 colpi, Cristo d’un Dio, la guerra con i crucchi è finita!

 

7) Razioni – E’ bene portarsi qualcosa da mangiare e bere, la giornata è lunga, si spera, e dare due morsi ad un simpatico boccone vi può essere utile per passare il tempo quando la radio non gracchia ed i cani tacciono.

Un tozzo di pane può servire anche per farvi amico un timoroso scodinzolatore.

 

8) Legaccio – Mettere sempre in tasca, meglio che nello zaino, più veloce da estrarre, un guinzaglio o un bel pezzo di fune, può servirvi per legare un cane o tirare la vostra od altrui preda abbattuta; quando serve non se ne trova mai una.

 

9) Lama – Come concepire d’andare per boschi ad ingaggiar tenzone senza avere un coltello in tasca o alla cintola; gli usi e le occorrenze sono talmente tanti che dovrei scrivere un articolo a parte.

 

10) Arma – Usate quella che più gradite, passerete tanto tempo con lei, e, al momento propizio, dovrete capirvi come fate con il vostro più fedele amico.

Imparate a conoscerne i segreti ed i difetti e cercate di colmarli, lei lenirà i vostri.

Datele da mangiare ciò che digerisce meglio e serbatela con cura; ogni ama, per quanto sia seriale, ha delle peculiarità uniche e se sarete in grado di scorgerle, vi garantisco che vi restituirà molto più di quanto le concediate.

 

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