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Avventure sulla foce del Cecina - parte I

Avventure sulla foce del Cecina - parte I

La mia caccia è quella da appostamento, lo sapete, a me piace starmene nel mio capanno nelle fresche mattinate ottobrine ad aspettare merli e bottacci, ma non è sempre stato così. 

passero

Facciamo chiarezza, a casa mia le gabbie ci sono sempre state, come pure i capanni, mio nonno aveva un’enorme batteria dove, oltre e più che i tordi, erano presenti fringuelli, peppole, verdoni, frosoni, lucherini e altri uccelli di questa taglia. Erano gli anni sessanta e nessuno biasimava chi integrava la mensa con un arrostino come dio comanda. La campagna ancora non aveva scoperto i veleni e i boschi erano curati e pieni di animali al pascolo. Insomma, per i cacciatori era un paradiso.
Io ho cominciato più tardi, per ragioni prettamente anagrafiche (sono classe 1978) e il primo capanno che ricordo bene è quello di mio padre, posto in località Le Piastre a una decina di chilometri a valle delle sorgenti del fiume Reno. Questo capanno, che la mia famiglia possiede tuttora, è posto sulla riva destra del fiume, in una bocchetta di passo molto gradita al transito degli uccelli. Qui si è sviluppata la mia infanzia venatoria in cui, a partire dai 7-8 anni di età, accompagnavo mio padre in quell’accogliente capannino di assi e moquette dotato di notevoli comfort come stufa e sgabelli, che permettevano anche a un bambino di guardare all’esterno. Poche cose sono belle come l’alba al capanno, il sole sorge e tinge di mille colori il bosco che sta indossando il suo abito autunnale. Gli uccelli cominciano a cantare, riempiendo l’aria di melodie armoniose. Insomma, per me era un piccolo paradiso. Aspettavo con ansia di vedere una di quelle piccole ombre furtive palesarsi su un balcone, in modo da poter assolvere al mio compito di raccoglitore di prede. Il clima era diverso, le mattinate di ottobre erano fresche, non di rado il muschio e le eriche che ricoprivano la piazzola del capanno erano ricoperte di candida brina e spesso dovevamo, specie nel periodo a cavallo con l’inizio di Novembre, scaldare l’acqua per scongelare i beverelli. Adesso non è più così, ottobre lo si passa in maniche di camicia, a volte persino arrotolate. I tordi ci sono tutto l’anno, in questo periodo, durante i primi allenamenti settembrini ne ho avuti anche una decina buttati insieme attorno al capanno. A volte non tutti i cambiamenti vengono per nuocere. Prima, invece, fino alla prima settimana di ottobre non se ne vedevano e giocoforza occorreva trovare un’alternativa.

tortora 2

L’alternativa c’era e non mi dispiaceva affatto. C’erano, infatti, due selvatici che permettevano di occupare agevolmente i primi giorni di caccia, aspettando che il peggiorare del tempo sul nord Europa facesse calare a valle i primi esponenti della famiglia dei turdidi: le tortore e i passerotti. In gioventù le ferie estive della mia famiglia scorrevano sempre in quella fascia costiera che va da Rosignano Marittimo a Cecina, posto che ci piaceva così tanto che, non appena ce ne fu la possibilità, ci acquistammo una casa. La scelta del sito di acquisto, la Cinquantina di San Pietro in Palazzi (a metà strada tra Vada e Cecina), tra quelli che ci erano stati proposti, sicuramente fu influenzato dalla bellezza della casa, ma altrettanto certamente dalla vicinanza di alcuni dei nostri posti di caccia preferiti. Le distese di stoppie per le allodole, che stavano alle spalle della località turistica della Mazzanta e l’ancor più vicina Casceta, un piccolo bosco di robinie che si snodava lungo “La Cecina” (così i locali chiamano il fiume) praticamente a partire dalla foce. In particolare quest’ultimo posto aveva per me qualcosa di speciale. Attorno a questo boschetto, schiacciato tra il fiume e i campi coltivati, ho passato alcune delle mie più belle giornate di caccia. I dintorni erano coltivati a cereali e ortaggi, ruotati come voleva la buona agricoltura con foraggi, in genere favino e medica. La vicinanza della foce del fiume e delle estese pinete costiere lo rendeva un sito di transito per ogni genere di selvaggina migratoria, da merli e tordi, che nelle giornate di tramontana risalivano il fiume, a qualche colombaccio, che si fermava a dormire nelle pinete del Tombolo di Cecina. Più di una volta anche anatre e beccaccini avevano ravvivato il carniere e nelle stoppie e nelle mediche appena fuori dal bosco, allodole e quaglie attendevano chi, una volta fatta l’uscita, avesse avuto voglia di sfidare il caldo cacciando alla borrita. Insomma era un posto completo. I cacciatori erano sempre numerosi in questo luogo, ma l’abbondanza di luoghi dove appostarsi e la tolleranza dei contadini sul non sempre specchiato rispetto delle distanze dalle coloniche, permettevano a tutti di trovare posto. Insomma trascorrere le giornate in quel posto durante l’ottobre non faceva certo annoiare, non si sapeva mai cosa avrebbe potuto svettare dai pini del “giro del mondo” alle cui spalle, su uno slargo del letto del fiume, stava la mai parata ottobrina preferita.
Però io in questo articolo devo parlare di un’apertura, quindi vi chiederete perché ho parlato di tordi e colombacci … Beh in quel sito, nelle annate più favorevoli, in cui i girasoli erano al giusto grado di maturazione e le tortore non erano state ancora scacciate dai primi temporali estivi, si potevano fare aperture di grandi soddisfazione. Inquadriamo il periodo, siamo negli anni novanta, quando ancora il fringuello e il passerotto erano cacciabili e i cacciatori e il territorio su cui esercitavano la loro passione erano molti di più. Tempi spensierati, in cui la vittoria al referendum e l’approvazione della 157/92 facevano sperare in un futuro ben diverso dall’attuale.

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