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Caccia di montagna: in forma per la stagione (parte prima)

Caccia di montagna: in forma per la stagione (parte prima)
Ogni anno, prima dell’inizio di una nuova stagione venatoria, il cacciatore alpino, sia esso di selezione oppure di tipica fauna alpina, si trova ad affrontare il problema della sua forma fisica, e questo prima di tutto perché l’attività venatoria svolta in alta montagna non è una specialità venatoria tranquilla o rilassante, ma invece esige sempre una grande preparazione atletica e mentale.
Una volta che si è lassù, a quote elevate, si è molto lontani dal mondo civile e nulla può essere più lasciato al caso, pena mettere a repentaglio la propria incolumità fisica, e talvolta la vita stessa.
Per molti cacciatori, di certo la gran maggioranza di quanti si ripresentano puntuali all’appuntamento, la vecchia stagione è terminata molti mesi prima, carabine e fucili sono stati riposti negli armadietti blindati, ben puliti ed oliati per uscire solo ora. 
Anche le faticacce dei mesi autunnali, che avevano temprato il fisico di chi ha cacciato sui monti, sono ormai un pallido ricordo e spesso la stagione invernale s’è portata appresso un rallentamento dell’attività, magari con qualche eccesso alimentare di troppo che ha fatto…pericolosamente muovere l’ago della bilancia; appare scontato che il fisico ne risenta.
È vero che nel caso della selezione vi sono cacce abbastanza statiche, praticabili anche da chi non sia più un prestante giovanotto e che danno la possibilità di muoversi relativamente poco perché ci si apposta in attesa dell’uscita del selvatico e non lo si cerca tra boschi e valle, ma sui monti comunque il discorso cambia, eccome se cambia.  
Una normale giornata di caccia in alta montagna può costringere il cacciatore ad ore ed ore di faticosa marcia, percorrendo distanze davvero importanti, e che talvolta, come capita quando si cercano camosci, oppure s'inseguono indiavolati pointer e setter che cercano forcelli e cotorni, possono essere anche superiori ai venti chilometri, per di più scalando dislivelli tali da far invidia a molti bravi alpinisti.
Se infine si considera il peso che si deve trasportare, gravati come si è quasi sempre da zaino, carabina ed attrezzature ottiche, abbigliamento di scorta, cibo per sé e per i cani, ecco che l’affrontare una giornata di caccia alpina, a camosci o cervi e caprioli, piuttosto che a lepri o galli, diventa una prestazione atletica da non sottovalutare mai, e per la quale ci si deve preparare con serietà ed attenzione.
Insidiare la nobile Rupicapra rupicapra, il camoscio, signore delle rocce, infatti significa cacciare un selvatico che fa delle vette aguzze, delle cenge insidiose o di ghiacciai e nevai, casa propria; inseguirlo per ore e ore su per canalini che paiono scavati nella pietra dal diavolo, diventa autentica impresa. Lo stesso dicasi quando le stesse zone sono battute alla ricerca di pernici bianche, con i cani che esplorano quei posti impervi senza tener conto...deelle doti fisiche del loro conduttore. Servirli talvolta può diventare uno sforzo sovrumano, con la sola adrenalina che riesce a far superar la fatica.
E quando poi la nostra cacciata finalmente  va a buon fine, il camoscio era quello giusto ed è stato abbattuto correttamente, ecco che esiste il problema del rientro alla base, con una bestia che, nel migliore dei casi, completamente eviscerato (liberato cioè da intestini, stomaco, polmoni e tutto quanto non strettamente utilizzabile ai fini alimentari) può pesare una dozzina di chili se è un capretto dell’anno, ma può facilmente raddoppiare se siamo di fronte ad una camozza, od arrivare ai trenta/quaranta chilogrammi quando invece si tratta di un becco adulto.
Rientrare a valle in quei casi può diventare un autentico incubo, anche se si è in compagnia di un qualche compagno d’avventura con cui distribuire il peso, perché la nostra…macchina umana sottoposta a degli stress importanti non sempre risponde adeguatamente, e capita s’inceppi.
La conformazione del terreno e le pendenze da superare mettono a dura prova tanto cuore che polmoni del cacciatore, così come le articolazioni in generale che vengono stressate e logorate al limite della rottura, e per capirlo basta indossare un moderno cardiofrequenzimetro capace di rilevare con precisione la nostra frequenza atriale, e cioè i battiti cardiaci nelle varie situazioni che possono susseguirsi nel corso della giornata: riposo, attività normale, sotto sforzo.
Vero è che il nostro cuore è un muscolo potentissimo, ed agisce come un’efficiente pompa irrorando di sangue organi e muscoli, consentendo alla macchina umana di funzionare senza intoppi, ma regolare le proprie fatiche sulla base del battito cardiaco, conoscendo quelle che sono le soglie limite da non superare, ci consente di affrontare sforzi impegnativi e prolungati senza affanni od eccessivi affaticamenti, potendo quindi mantenere efficienza e lucidità nel momento del bisogno.
Una regola molto semplice, elaborata negli USA dal noto medico sportivo Kenneth H. Cooper, ci dice che per conoscere quale sia il nostro battito cardiaco massimo (HrMax) dobbiamo partire da 220 se uomini, e 228 se donne, e che corrisponde alla soglia massima raggiungibile dalle pulsazioni  di un soggetto sano, sottraendovi il numero degli anni.
Quel valore diventa poi la base per capire sino a dove ci si possa spingere per evitare di…farsi scoppiare il cuore in petto, basti pensare come coloro che si allenano seguendo le indicazioni del proprio muscolo cardiaco cercano di restare sempre in una soglia compresa tra il 60% e l’80% dell’HrMax.
Per fare un esempio molto semplice se si hanno 50 anni la formula è questa: 220-50=170, e quindi chi voglia rispettare queste regole lavora tra i 102 e i 136 battiti al minuto, sapendo che in quel range si raggiunge la massima efficienza allenante.
Gli atleti fanno proprio così, imparando a dosare e regolare l’intensità degli sforzi sulla base del proprio battito, evitando così di entrare in quelle situazioni che potrebbero compromettere la loro prestazione, come ad esempio quando si ha la formazione di acido lattico nei muscoli e l’insorgenza di crampi.
 
Segue la seconda parte...
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