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Mimetismo tra le Nevi

Mimetismo tra le Nevi


Lo splendore dei colori autunnali è ormai un ricordo; come quello delle corolle dei fiori di primavera ha avuto una durata brevissima. Le cose più belle e delicate, in natura, pagano spesso un grande tributo al Tempo; quasi un monito all'uomo perché rifletta sul suo mistero. Una gelata, una folata e le foglie variopinte si trasformano in un tappeto ben presto in decomposizione, così come un colpo di vento, un forte temporale hanno spento le mille luci dei petali di primavera.
Decine di specie di uccelli hanno attraversato i nostri territori durante tutto l'autunno, a migliaia, ciascuna specie secondo il suo calendario biologico, quasi per non disturbarsi durante il lungo trasferimento, approfittando delle ultime bacche, degli ultimi insetti, delle loro larve ben pasciute e dei colori mimetici che i boschi hanno loro offerto.


Non tutti però se ne sono andati!
Molti si sono preparati ad affrontare la stagione dei freddi con un'imbottitura di soffice e delicato piumino, come i merli, i pettirossi, i passeri; essi hanno saputo adattarsi ai nostri climi invernali, e solo i gatti, impenitenti cacciatori, costituiscono per loro, adesso, una possibile minaccia. A questi uccelli non servono, in fondo, grandi strategie per nascondersi: i loro colori non sono appariscenti e basta una macchia di sempreverde, una siepe di lauro o un cespuglio qualsiasi e sono già celati agli sguardi indiscreti.
Più saliamo in alto, in montagna, più il clima è inospitale e più rare sono le specie che svernano. Per alcune di esse, in vista dell'inverno, l'evoluzione ha scelto delle strategie biologiche di sopravvivenza molto singolari: il letargo e il mimetismo.
Il letargo è dei pigri. Negato agli uccelli, è un'astuzia evolutiva che beffa l'inclemenza del gelo, ma assieme dimezza la vita attiva di questi animali, togliendo loro anche parte del piacere di viverla. E così, nei loro nascondigli, sofficemente raggomitolati e ben protetti, possiamo immaginare di vedere i ghiri e i moscardini, folletti estivi delle macchie di bosco ceduo e  dei frutteti; oppure, se saliamo fino ai pascoli alpini, oltre la vegetazione, sono le marmotte a godere di un lungo letargo nelle loro ampie camere di riposo, cui si accede attraverso lunghi e profondi cunicoli, ben al di sotto della coltre nevosa, riunite in comunità familiari, in attesa dell'arrivo dei primi tepori primaverili.
Il mimetismo è dei pochi artisti del bianco. Per essi lo sfondo di un candido manto nevoso non è un pericolo, perché hanno gradatamente mutato il loro mantello fino a confonderlo perfettamente con la neve: sono la Pernice bianca [Lagopus mutus], la Lepre variabile o Lepre bianca, [Lepus timidus] e l'Ermellino [Mustela erminea]. Tre mondi completamente diversi che hanno seguito strategie evolutive di adattamento mimetico convergenti.
Uccello frugale il primo, che in inverno si accontenta di poche erbe e foglie di arbusti nani che ricerca sotto la neve; un lagomorfo specializzato il secondo, anch'esso di poche esigenze; un carnivoro sanguinario il terzo, a volte predatore dei primi due.   


pernice biancaLa pernice bianca, il cui nome latino "lagopus" significa "piede di lepre",  è l'unico tetraonide che presenta una doppia muta stagionale completa. Questa caratteristica fa sì che  in tutte le stagioni, salvo l'inverno, sia sempre in fase di muta. Mentre d'estate il suo piumaggio è grigio-bruno-rugginoso, fittamente striato di chiaro, in autunno passa gradualmente, entro metà novembre, al bianco candido. Completata la muta invernale, gli unici segnali per distinguerlo tra le nevi, oltre la caruncola rossa sopra l'occhio, comune a tutti i tetraonidi, sono le timoniere della coda, nere per entrambi i sessi,  e una leggera striscia che va dal becco fin oltre l'occhio, anch'essa nera, presente solamente nel maschio. 
Fra i tetraonidi che abitano le Alpi (il Gallo cedrone, il Gallo forcello e il Francolino di monte), è quella che vive ad altitudini più elevate, oltre i 2000 metri, in zone impervie, rocciose, praterie alpine e pietraie, dove in ogni stagione sfrutta egregiamente le sue caratteristiche mimetiche, unica difesa dallo sguardo acuto dell'aquila. La sua alimentazione, da adulta, è esclusivamente vegetale, mentre i piccoli si nutrono volentieri anche di molluschi, insetti e ragni.
E' la regina delle vette; nei suoi riguardi i cacciatori hanno sempre nutrito grande rispetto, proprio per le doti di buon montanaro che richiede la sua ricerca.
Le pernici bianche conducono generalmente vita gregaria, ad eccezione del periodo della riproduzione, quando le coppie, stabili, formatesi verso aprile, scelgono il loro territorio di nidificazione che il maschio pensa a difendere dagli intrusi. Come il francolino di monte, e contrariamente ai galli, le coppie sono monogame; in giugno la femmina depone e cova da sola, in un nido sommariamente ricavato in una fossetta del terreno, da 5 a 8 uova, a volte fino ad una dozzina, per tre settimane. Una volta usciti dall'uovo e asciutti i piccoli lasciano il nido per seguire la madre e a due settimane sono già in grado di spiccare i primi brevi voli.
Quando ha i pulcini la pernice bianca, come altre specie, se è minacciata da predatori terrestri si finge ferita, adottando la tecnica detta "dell'ala spezzata", per distrarre l'attenzione e attirare lontano il nemico, involandosi decisa quando l'aggressore non è più in grado di costituire una minaccia per i piccoli. I predatori e le frequenti avverse condizioni climatiche fanno sì che la sopravvivenza dei pulcini sia spesso inferiore al 50%. Oggi sono le modifiche climatiche, con l’aumento delle temperature medie, a costituire la vera minaccia per la specie, che necessità quindi di protezione.

lepre variabileLa lepre variabile, chiamata anche lepre bianca o lepre alpina, dal punto di vista sistematico è sempre stata raggruppata tra i roditori, mentre, pur riconoscendo molte affinità tra i due gruppi, essa costituisce, con i conigli, un gruppo a sé stante, quello dei “lagomorfi”, che si differenzia dai roditori anche per avere quattro incisivi superiori anziché due.
Con la pernice bianca, anche la lepre variabile è da considerarsi un relitto glaciale, rimasta isolata sulle vette della catena alpina e sui Pirenei dopo le grandi glaciazioni; infatti è assente nelle altre regioni continentali europee, mentre è diffusa all'estremo nord dell'Europa, nella penisola scandinava, in Scozia, in Islanda e, naturalmente, nel nord della Russia.
Più piccola della lepre comune, dal colore un po' più grigio in estate e a chiazze brunastre durante la muta, è paragonabile, per dimensioni, al coniglio selvatico. Vive in alta montagna, al di sopra dei mille metri e fino ai tremila, meravigliosamente adattata alle caratteristiche estreme di queste altitudini, sia dal punto di vista alimentare sia da quello climatico.
In autunno essa muta completamente il mantello, divenendo in breve completamente candida, salvo le punte delle orecchie, che rimangono nere e rappresentano quindi un carattere distintivo. "Timidus" nel vero senso della parola, se ne sta per tutta la giornata nascosta in qualche rifugio naturale tra i sassi o in un cespuglio, ben riparata e al sicuro dai predatori aerei, e abbandona il nascondiglio solamente all'imbrunire, per rimanere in pastura anche tutta la notte. Si può sorprendere, seppur raramente, all'alba, quando capita che si attardi perché non ha potuto alimentarsi sufficientemente durante le ore notturne, oppure durante i rari spostamenti quando è disturbata o minacciata.
Alle nostre latitudini questa specie si riproduce due volte all'anno, anche se non è raro che i parti siano tre, in aprile-maggio, in luglio-agosto e a ottobre-novembre, mentre nelle regioni del nord, a causa del clima, solitamente si ha un solo parto. I piccoli sono generalmente da due a cinque, ma il tributo che pagano per le inclemenze del tempo e a causa dei predatori è altissimo, così che, nonostante l'alta prolificità, rimane piuttosto rara, senza nessun aumento rilevabile.
La specie alpina è la sola che subisce la muta in quanto le specie nordiche restano bianche per tutto l'arco dell'anno.

ermellinoErmellino. Da sempre la sua pelliccia candida, con quell'inconfondibile fiocchetto nero nell'ultima metà della coda, ha ornato manti regali, di nobili, di accademici e di giudici.
E' in realtà un predatore crudele e sanguinario, in netto contrasto con l'immagine che la delicatezza del suo mantello invernale ci farebbe pensare. E' parente stretto della donnola, con la quale si può confondere, in estate, se non fosse per l'apice della coda, sempre nero nell’ermellino, e per le maggiori dimensioni.
Il suo areale di diffusione interessa tutta l'Europa continentale e nordica, limitandosi, a sud, alle grandi catene montuose che delimitano il clima continentale dal clima mediterraneo.
Studi specifici hanno potuto dimostrare che la variabilità cromatica stagionale del mantello, per cui due volte all'anno avviene una muta completa del pelo, è dovuta, oltre che a cause direttamente collegate al clima e alla durata della luce, anche a specifici fattori genetici ereditari che alcune colonie di individui, adattatisi a climi temperati in regioni dove non nevica quasi più, hanno perso, per cui in inverno non mutano più il mantello.
Frequenta ambienti di qualsiasi tipo, prediligendo zone boscose e riparate. Di assai difficile avvistamento, dell'ermellino si racconta che riesca ad affascinare e incantare, per le acrobazie giocose e di eccezionale vivacità, anche gli altri animali, non ultime le sue possibili future prede.
L'accoppiamento avviene in marzo, dopo la muta; trascorso circa un mese di gestazione, nascono solitamente da 5 a 8 piccoli. Questi rimarranno con la madre, per lo svezzamento e il necessario periodo di apprendimento delle tecniche di caccia, fino al tardo autunno, quando la famiglia si disperderà.
L'ermellino è scaltrissimo, prudente, sospettoso, e caccia le sue prede preferibilmente all'agguato, inseguendole poi decisamente fino alla cattura. La sua dieta comprende tutte le specie di mammiferi inferiori, compresi  conigli selvatici e piccole lepri, oltre agli uccelli che riesce a catturare.
L'inverno avvolge, con il suo manto candido e i suoi silenzi, queste solitarie e straordinarie creature, ombre bianche nei misteri profondi della natura.

Flavio Galizzi

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