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Strategie d'apertura

Strategie d'apertura

PREAMBOLO

 

A dispetto di tutto e di tutti, finalmente anche quest’anno fra poco tempo avrà inizio per noi la stagione più bella ed attesa dell’anno, la stagione venatoria. Se problemi ci sono e ci saranno dobbiamo al momento lasciarli nel dimenticatoio, ci meritiamo ampiamente di goderci questo splendido giorno e il proseguo della stagione senza troppi crucci. Se penso allo stato d’animo di particolare eccitazione di quando ero giovanissimo, mi sovviene che l’apertura la sentivo arrivare già tre mesi prima del fatidico giorno, oggi purtroppo non più. Non è certo per la trentina di  primavere in più sulle gambe e sulle spalle, primavere che grazie a Dio per ora non mi pesano più di tanto, ma piuttosto per tutta una serie di motivi per me determinanti: cambiamenti ambientali, restrizioni e divieti, ma ancor di più per i profondi mutamenti di mentalità. Tutte cose che hanno cancellato quel senso di dolce e completa libertà che invadeva corpo ed animo ad ogni uscita in campagna, dolci ricordi che pur non volendo velano con un po’ di malinconia e tristezza l’attesa della nuova imminente apertura. Oggi a caccia se voi stare un po’ tranquillo devi andarci con l’amico Avvocato e il cugino Ragioniere, e a volte ciò non è sufficiente. In un momento in cui ogni giorno si parla d’Europa e globalizzazione, di abbattimento delle frontiere, di nuovi mercati comuni, e si dice in giro che presto dovremmo addirittura mischiarsi con civiltà provenienti da altre galassie, la legge attuale Italiana relega di fatto il cacciatore, ad un fazzoletto di territorio provinciale isolandolo e limitandolo nell’espletamento delle più elementari funzioni, quasi come un comune delinquente, salvo pagare sempre nuove e pesanti gabelle.  La caccia è malata da decenni si sa, e nonostante siano accorsi negli anni tanti falsi medici al suo capezzale, oggi pare stia agonizzando, si poteva fare tanto e non si è fatto che poco e male, sarà, o (sarà stato)  possibile arrivare a migliori risultati in seguito? Molto meglio rimandare la risposta a fine stagione, quando avremmo più tempo da dedicare all’ascolto delle solite ricette miracolose, che nella realtà almeno fin’ora si sono dimostrate solo sterili parodie da ciarlatani. Ora conviene veramente isolarci e concentrarsi solo all’arte venandi, cercando di passare splendide giornate completamente (anima e corpo) immersi nella natura, magari in compagnia di un vero amico a due o quattro zampe che sia.

Tornando a parlare in modo concreto della prossima imminente apertura sarà bene subito precisare che in caccia è un po’ come in agricoltura, più si semina bene e a tempo debito, e più aumentano le probabilità di un buon raccolto, nel nostro caso selvaggina presente permettendo. Indubbiamente se per esempio si è fatto un buon lavoro su di noi e sul cane, ed entrambi ci troviamo per l’apertura in perfetta forma, ne trarremo enormi vantaggi rispetto ai soliti proprietari di cani pigri, i quali a loro volta sarà bene che inizino a far qualcosa per entrare al più presto in forma e bene allenati tanto nel fisico come nel tiro, per non subire da subito cocenti disillusioni venatorie.

Come pure se avremmo fatto un buon lavoro potremmo beneficiare di tutta una serie di privilegi sostanziali, in primo luogo se avremmo ben ponderato nello  scegliere accuratamente il posto dove fare l’apertura, decisione che sarà stata preceduta da numerosi sopralluoghi. L’improvvisazione a volte può pure pagare, specialmente quando è dettata da cause di forza maggiore, ma è sempre meglio non rischiare ed andare più sul sicuro. Alla fin fine prepararsi una apertura tranquilla e possibilmente soddisfacente è senz’altro cosa saggia e piacevole, ( un saggio ed antico detto dice infatti che: chi bene inizia è a metà dell’opera), naturalmente per i meno fortunati ci sarà tempo per rifarsi abbondantemente durante l’arco della stagione venatoria.

Mi preme infine sottolineare che del lavoro svolto nei mesi precedenti l’apertura non ne beneficeremo solo per il fatidico giorno, ma ne trarremo indubbi vantaggi nei giorni a seguire e per tutto il proseguo della stagione. Naturalmente ogni uno di noi secondo i gusti personali, le possibilità e il tempo a disposizione predilige alcune forme di caccia  (tutte importanti belle e piacevoli) in maniera più o meno esclusiva, cacce che si differenziano molto fra loro e naturalmente differenti saranno le preparazioni necessarie.

I capannai per esempio passano buona parte dell’anno a mantenere e migliorare sia la struttura che la piazza di tesa, arricchendola sempre con nuove piante di pastura e buttate, controllando secchi, pertiche ecc. Avranno predisposto la chiusa della batteria in modo di avere sempre nella massima efficienza i richiami, scalando la fine della chiusa per specie e per numero gli uccelli, a seconda delle presunta necessità durante l’imminente stagione venatoria.

Tanto lavoro spetta anche al migratorista puro; che fra capanni, ammennicoli, giochi vari e richiami a bocca possiede un vero arsenale che deve essere sempre tenuto in perfetta efficienza, arsenale che andrà quasi sempre ad ogni nuova stagione integrato con nuovi diabolici marchingegni, che ogni anno le ditte specializzate mettono a disposizione dei fanatici della migratoria, vedi ad esempio i cacciatori di allodole, storni e colombi.

Il cacciatore cinofilo infine, fa parte di una delle categorie che non possono permettersi di assentarsi od estraniarsi un solo giorno, e che per l’intero anno devono occuparsi della loro condizione di cacciatore codaiolo, con tutti gli oneri e gli onori che tale categoria comporta. Il cane si è detto più volte non è come un attrezzo che una volta pulito e magari oliato si ripone in cantina in attesa di adoperarlo, il cane è un essere vivente e complesso che deve essere valutato anche sotto il profilo psicologico, ed ha quindi bisogno di costanti cure ed attenzioni.

E il protagonista principale, il cacciatore? Lui senza dubbio più di tutti, ha bisogno in maniera rilevante sia a livello fisico che a maggior ragione specialmente oggi psichico, di essere continuamente sollecitato, perché la passione è il motore che permette di svolgere la nostra passione come dicevo ad inizio, a dispetto di tutto e di tutti, un grande in bocca al lupo.

 

 

APERTURA DOVE

 

La scrupolosa scelta del luogo nel giorno d’apertura e forse non solo per questo giorno, è fondamentale ai fini di un buon risultato, questo molto spesso non viene da se ne per puro caso fortuito. Scegliere accuratamente un luogo significa aver fatto molte precedenti verifiche spendendo il tempo necessario, e soprattutto aver saputo valutare i pro e i contro nella maniera migliore. Intanto per fare una buona scelta si deve conoscere il luogo non solo sotto il profilo faunistico, ma direi nella maniera più completa possibile, ci si deve rassicurare oltre la presenza del selvatico di molti altri punti essenziali di riferimento, che torneranno tanto utili per il buon esito della cacciata in questo fatidico giorno di festa.

Ogni cacciatore degno di questo nome avrà notato negli anni, che i selvatici prediligono a seconda della stagione, del tempo, delle culture e dell’ora della giornata dei luoghi ben precisi. Se questo è esatto e non vi è alcun dubbio in proposito di dubitare, pensate quanto è avvantaggiato un cacciatore rispetto ad un altro che durante la caccia cacciata conoscere bene il posto. Infatti conoscere bene il luogo vuol dire fra l’altro; conoscere ogni recesso più recondito, tutti i varchi per attraversare fossi e siepi, scorciatoie per attraversare boschi ecc. tutte cose che consentono di risparmiare tanto tempo e fatica. Ancora conoscere bene un posto vuol dire essere al corrente di tutte le possibilità idriche della zona, e questo consente alla coppia cane e cacciatore, di potersi rinfrescare in una stagione molto calda, quando la possibilità di refrigerare il corpo assume importanza fondamentale per il proseguo della giornata in buone condizioni. Conoscere bene il luogo vuol dire infine conoscere almeno in grandi linee le potenzialità faunistiche, le abitudini del selvatico e i luoghi preferiti a seconda delle pasture e dell’ora, come i luoghi di probabile rimessa in caso di involo seguito da una bella padella. Conoscere accuratamente il luogo ci permette sotto il profilo psichico di trovarsi a nostro agio un po’ come a casa nostra, magari rinnovare e rinverdire le nostre avventure, incontrare magari amici e conoscenti con cui fare quattro chiacchiere, insomma sentirci tutto sommato più sicuri.

 

FAGIANI D’APERTURA

 

Parlando del giorno d’apertura e di fagiani in particolare, è d’obbligo tornare a ribadire che la conoscenza del luogo e della consistenza numerica di tali selvatici, è cosa fondamentale per il buon esito. Il fagiano è un selvatico stanziale di nome e di fatto, nasce, vive e se ha fortuna si riproduce, in un limitato raggio di territorio non essendo per carattere e di fatto assolutamente un migratore, né per tendenza un esploratore. Il fagiano potremmo paragonarlo ad un buon contadino d’altri tempi; rustico e verace, abitudinario, vivace e sempre pronto ad  approfittare di quello che la generosa natura secondo la stagione mette a sua disposizione, ma profondamente legato al limitato podere. Mangiatore insaziabile e buona forchetta, il più delle volte lo tradisce la gola, e cade sul campo miseramente, magari fucilato a terra senza onore da un cecchino appostato al bordo della siepe che da sulla stoppia di grano.

Le stoppie di grano, girasole e granoturco, sono sue mete preferite, ma il suo regno lo elegge negli sporchi che costeggiano le vigne, del cui frutto quando è maturo al punto giusto è semplicemente ghiotto. Non disdegna e non dimentica di visitare qualche buona  pianta da frutto, in genere a settembre predilige i fichi maturi verdini di cui si rimpinza il ventriglio, ma pure mele o pere cadute a terra. Ingordo di frutta  anche selvatica come le more di rovo, è goloso e un buongustaio di tutti i frutti dell’orto, in primo piano i maturi e gustosi pomodori pieni di radicali liberi, come pure non disdegna pizzicottare insalatine e teneri ributti di cicorie e bietole varie. Ama spollinarsi lungo le viottole polverose o ai bordi delle radure o carbonaie, gli piace fare una capatina secondo la stagione nel bel mezzo di pietraie vicino alle cave dismesse dove il galestro si sminuzza in piccole scaglie. Ma soprattutto ama il fresco dei borri fra la folta e lussureggiante vegetazione,  dove si rifugia al minimo sentore di pericolo, e dove l’intrico dei prunai misti a marruche lo fanno sentire sicuro e senza dubbio difficilmente espugnabile.

Gli argini ben muniti di folti canneti che costeggiano i corsi d’acqua sono la dimora quasi fissa di belle covate di fagiani, la vicinanza dell’acqua in abbondanza e la disponibilità di granaglie varie nei campi limitrofi assicurano ai fagiani le fonti essenziali di vita. Il groviglio di canne fresche e cannucce secche e taglienti degli scorsi anni, amalgamati fra loro da inestricabili tralci di pruni, creano una barriera spesso insormontabile anche al più audace inseguitore. Anche qui lo frega molto spesso la gola, infatti spesso specialmente nelle ore più calme della giornata, quando i rumori nelle vicinanze si fanno tenui tanto da sentire volare una mosca, il furbo ed astuto coda lunga esce dal canneto, per andare a beccuzzare al fresco e verde dell’esteso granturcheto, dove dopo una corsa podistica inseguito dal tenace cane fra filari di mais, degna di un maratoneta è costretto a frullare e dove finisce fra un nugolo di penne variopinte i suoi giorni.

I posti migliori da fagiani per l’apertura spesso sono quelli meglio conosciuti, e molto spesso più vicini di quanto si pensi, in realtà di frequente e una volta fatti i dovuti conti dei pro e dei contro, sono quelli che sorprendentemente si trovano molto vicini a casa.

 

 

APERTURA ALLA QUAGLIA

 

Il tiranno calendario venatorio che impone l’apertura quasi a fine settembre, per molti territori significa in non pochi casi semplicemente che, l’apertura alla  quaglia sia più un miraggio che una tangibile realtà. La quaglia arriva sulle nostre coste per godersi il tiepido sole di aprile e in seguito nidificare, spesso giunge sui nostri litorali di notte o alle prime luci dell’alba, volando raso terra e controvento. Quando le vedi atterrare pare che lo faccino come una impellente necessità, e danno l’impressione di essere spossate per il lungo viaggio. Ma è solo una impressione ottica, perché molto presto si irradiano pronte e scattanti nelle campagne circostanti, fra i rigogliosi ed estesi campi di erba medica, bolognino o sodi, dove regnano da secoli le erbe selvatiche, che sono vere fortezze per la terragnola quaglia.

Parrà strano ma la fine (più o meno giusta e motivata) della caccia primaverile alle quaglie, ironia della sorte, ha coinciso in pieno con una diminuzione importante della specie nei nostri lidi. Questo a testimoniare ancora una volta  che non è il prelievo venatorio, ma le mutate condizioni ambientali che decidono l’incremento o il calo significativo delle presenze delle specie migratorie, e non di solo queste ( vedi stanziale).

Le mutate condizioni ambientali avvenute per mezzo dell’industrializzazione con rapido e radicale mutamento, la scomparsa quasi totale del tradizionale  metodo di agricoltura, sostituito con il moderno sistema di monocoltura meccanizzata ha prodotto nei decenni successivi all’ultimo conflitto mondiale, un danno incalcolabile e non solo per quanto riguarda la quaglia. La piccola grande quaglia che giunge nei nostri lidi per la nidificazione, non trova più da tempo un ambiente ospitale e sicuro, i prodotti chimici adoprati poi con troppa leggerezza e in quantità, colpiscono questo genuino e terragnolo selvatico più di qualsiasi altro. Ma quando si arriva al fondo di un pozzo non rimane che restare e morire di inedia o cercare di risalire la pur difficile china, questo in qualche modo è successo, infatti negli ultimi anni la presenza di quaglie nei nostri territori sembra di poter dire che si sia orientata verso una discreta ripresa. Questo è probabile sia dovuto almeno in parte per una tendenza ad (un pur limitato) ritorno all’agricoltura biologica tradizionale, senza uso di prodotti chimici, magari pure a livello amatoriale. Un altro fattore positivo è la tendenza al ritorno di un all’allevamento di bestiame anch’esso improntato più su un prodotto di qualità rispetto alla quantità. Infine penso pure ad una legge vigente  (magari pure discutibile) che mette a disposizione fondi Cee per i terreni in riposo, in realtà e per capirsi abbandonati. Quelli appena elencati sono tutti fattori positivi, che secondo me che hanno favorito una certa ripresa a riguardo della presenza di questo galliforme. Naturalmente nella pianura ormai distrutta dalle costruzioni tutto ciò non è e non sarà più possibile, ma in collina e sui vasti pascoli dell’Appennino dove l’ambiente rupestre ancora regge, la presenza della simpatica quaglia è in ripresa, come in ripresa sono di conseguenza le covatelle di grassi e pasciuti quagliastri. Quindi l’integrità ambientale risulta essere nei fatti concreti, molto più delle proibizioni e divieti vari, il toccasana e la medicina giusta per una ripresa numerica delle specie selvatiche, “meditate gente meditate”.

Oggi quindi pare che l’apertura alle quaglie si possa davvero ipotizzare e programmare, naturalmente il ritardo della data di apertura del calendario venatorio in alcune circostanze può non favorire e garantire la presenza del curioso affascinante folletto dei campi. L’habitat ideale della quaglia settembrina resta quello con una buona presenza di campi di erba medica,trifoglio e bolognino, intervallati fra loro da siepi di confine, entro le quali l’astuta quaglia si rifugia ingarbugliando e facendo perdere spesso le sue tracce. Eccellenti le stoppie di grano, i campi con stoloni di girasole o mais, ottimi gli incolti e i pascoli degli altipiani. Lassù dove il cielo si confonde con la terra, dove la quaglia divide il bel territorio con la cugina calandra e le zie pernici e starne, cacciare la quaglia diviene arte cinegetica di alto livello. Lassù sugli estesi altipiani cacciare la quaglia non è facile ne agevole, e richiede cacciatore in gamba e cane dalle doti fisiche e morali superlative, la mediocrità si paga e pesa sul carniere come il piombo.

La quaglia selvatica può servire a far fare una buona esperienza al giovane cane, come può essere un ottimo ripasso ed esercizio per l’adulto, ma a condizione che il conduttore sappia approfittarne al meglio a seconda delle occasioni. Infatti benché se ne dica la quaglia è selvatico verace ed eccellente, che permette di affinare l’addestramento del cane alle correttezze, al collegamento con il conduttore esaltando la capacità individuale di risolvere a proprio favore tramite la sagacia e l’intelligenza i vari duelli. Una caccia vera e genuina dunque, che se fatta come si deve, può offrire tante emozioni e vedere svolgere grandi azioni del cane, in un ambiente ancora bello ed incontaminato come una volta.

 

APERTURA ALLA LEPRE

 

La lepre più di ogni altro selvatico “ungulati a parte” ha negli ultimi anni dimostrato di gradire il metodo di ripopolamento nato con i vari ATC, tanto che è più facile anche con il cane da penna incontrare a giro una lepre che un volatile, questo anche durante la sciolta. Ripopolare con ottimi animali freschi di cattura pare sia stato il motivo di questo successo, sperando nel proseguo che non venga vanificato da ripopolamenti sconsiderati ed incoscienti, fatti senza apparente motivo con animali malati provenienti dall’estero. Selvatico timido per natura dall’apparenza fragile, di abitudini notturne, riesce a reggere alle avversità di ogni tipo più di qualsiasi altro, tanto che la sua presenza può oggi considerarsi nei numeri abbastanza soddisfacente. Secondo la stagione il tempo e la temperatura, si sceglie il covo nella migliore posizione per passare la giornata, con lo sguardo rivolto nel punto di provenienza, ben sapendo che il nemico seguirà le sue tracce. Timido e fragile solo all’apparenza, è capace di resistere coraggiosamente immobile per un tempo interminabile a pochi centimetri dal cacciatore o dal suo cane, lasciando il covo solo se costretto. Chissà nel nostro eterno girovagare, quante volte siamo passati vicinissimi ad una bella lepre, che accovacciata ci teneva d’occhio con il cuore in gola che gli batteva forte. Se costretta a lasciare il covo perché vistasi ormai scoperta, è capace di sfruttare al meglio il terreno circostante durante la fuga, rubandosi alla vista dietro un filare di viti, dietro grosse zolle o addirittura entrando e seguendo per un lungo tratto un fossato. La femmina in genere è più del maschio attaccata al territorio, territorio del quale conosce bene ogni angolo e che in caso di necessità sfrutta al meglio. Il maschio per contro eterno innamorato, è un girovago, sempre in cerca della compagna, è meno sedentario ed in caso di pressante inseguimento può pure spaesare, cambiando radicalmente nel proseguo della sua esistenza, posti ed abitudini.

La lepre è un selvatico che ben si adatta in quasi tutti i territori anche in quelli all’apparenza poco adatti, si ciba di una miriade sconfinata di erbe selvatiche, non disdegnando anzi vi è attratta dalle varie culture destinate al bestiame; come l’erba medica ed il trifoglio, è ghiotta dei ributti delle piante come fave, ceci e vari. Per questo la lepre usa spesso acquartierarsi vicino alla casa colonica, infatti pur essendo selvatica ama la presenza e la disponibilità alimentare proveniente dalle culture umane. Selvatico molto prudente per natura decide ragionando l’itinerario da fare sia per quanto riguarda la pastura che in caso di fuga, se inseguita da presso tende a distanziare il più possibile l’inseguitore, per potersi fermare ad ascoltare le sue intenzioni e dove si trovi e quindi prendere sollecite decisioni. Molto più insidioso per lei è l’inseguimento più lento a distanza e il silenzio, infatti sentendosi più sicura e tranquilla rallenta la fuga e le precauzioni, e spesso finisce i suoi giorni fucilata ad una posta. Spettacolosa ed affascinante la caccia alla lepre praticata con arte con degli ottimi segugi, il concerto che si ode proveniente dal bosco e dai campi fa accapponare la pelle al più compassato cacciatore. Se conosci e interpreti giusto il linguaggio del segugio, capisci momento per momento in che fase la cacciata si trovi. La buona ed espressiva voce nel segugio è la dote più importante al fine del godimento durante il lavoro. Dalla sua voce capisci quando è in difficoltà, quando ormai dispera di ritrovare la traccia, quando improvvisamente gioiosamente ti comunica che ha riannodato la complicata matassa del fallo, quando infine con un grido misto di rabbia ed esultanza scova e vede balzare davanti a se il suo acerrimo rivale di sempre, dal codino bianco e dagli orecchi e baffi lunghi. 

                                                                                                         

Testo di Alessandro Buzzi

Si ringrazia Caccia+ per aver fornito il testo.

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