Il fagiano e la caccia: guai a chiamarlo...pollo colorato!
- Scritto da Alessandro Bassignana
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Talvolta lo si chiama “pollo colorato”, ma questo è un modo piuttosto irrispettoso per definire un selvatico che quando è tale, davvero non deve patire complessi d’inferiorità nemmeno di fronte a prede ben più ambite e rinomate. Stiamo parlando del fagiano, uccello conosciutissimo e noto pure ai non cacciatori e al quale tutti i praticanti della nobile arte di Diana almeno una volta nella loro vita hanno sparato, magari in una riserva di caccia o in occasione di una quelle “fagianate” che le associazioni venatorie annualmente organizzano per i loro soci.
Questo vituperato gallinaceo, originario dell’Asia, è però quel selvatico che ha forse consentito al cacciatore di stanziale con il cane da ferma di continuare con la propria passione anche negli ultimi decenni, da quando da campi, coltivi e dalle colline italiane sparì la starna regina incontrastata di quel tipo di caccia.
Ciò avvenne verso la fine degli anni sessanta del secolo passato, quando la caccia divenne un fenomeno di massa ed aumentò considerevolmente il numero dei cacciatori, sino a raggiungere il numero di due milioni di praticanti. A ciò s’aggiunsero imponenti modificazioni nella struttura sociale ed economica del Paese con l’abbandono di alcune attività tradizionali a vantaggio di altre: l’agricoltura fu meccanizzata e resa produttiva attraverso l’uso di concimi chimici, pesticidi e diserbanti che distrussero quelle condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo e alla sopravvivenza di starne e pernici rosse, un tempo abbondanti un po’ ovunque.
Le monoculture, e si pensi solo alle immense distese di mais che a fine estate creano oceani di barbe gialle nella Pianura Padana, si sostituirono ai piccoli campetti coltivati a rotazione e orlati da siepi e boschetti, inframezzati da prati irrigui. In più l’enorme e incontrollata crescita numerica di corvidi e rapaci, capaci di predare e distruggere ogni tipo di nido d’uccelli…venabili, ha fatto sì che solo ove vengono messi in atto seri piani di controllo nocivi qualche covata s’ottenga ancora; ma queste sono situazioni piuttosto rare e confinate a zone di protezione o aree ove operano gestori illuminati, pure loro razza in estinzione.
All’amante della caccia con il cane da ferma, esclusi quei fortunati che ancora possono cacciare forcelli, coturnici e pernici bianche in alta montagna, restano pochi veri selvatici, e per lo più tutti migratori come la quaglia e la beccaccia, o molto particolari come i rallidi; ecco perché, con calendari venatori che escludono il mese di agosto quando le quaglie sono ancor presenti, molti di questi rivolgono le loro attenzioni verso il vituperato fasianide, al più dedicandosi nell’ultima parte della loro stagione alla Regina.
Proviamo ora a fare un po’ di giustizia, restituendo al nostro fagiano la dignità che pur esso merita.
Molti lo definiscono “pollo colorato”, è questo per la facilità d’allevamento che consente di disporre di migliaia di capi in un qualunque momento della caccia, e dunque anche a stagione ormai avanzata: si tratta dei famosi “fagiani pronta caccia”, i maggiori responsabili della cattiva nomea della specie.
Un tempo gli animali venivano rilasciati a febbraio, a caccia chiusa da poco e spesso con la neve sul terreno, e questi “selvatici d’allevamento” imparavano subito a difendersi e si riproducevano con facilità, regalando ai cacciatori che li avrebbero insidiati in settembre emozioni e soddisfazioni in quantità.
Ora tutto è cambiato, e gli animali vengono immessi sul terreno solo poco prima dell’inizio della stagione venatoria, diversamente i cacciatori troverebbero ben poco.
Facciamo un po’ di chiarezza sulla specie e torniamo indietro di qualche millennio, quando i fagiani erano certamente “selvatici autentici”.
Il bell’uccello da caccia venne importato dall’Asia in Grecia verso il 1500 a.C. (gli stessi Romani l’apprezzarono) e quello originario era detto Colchico, privo del collare bianco, ma venne poi successivamente incrociato con altre varietà dagli allevatori e così furono diverse quelle che si diffusero rapidamente in tutta Europa.
Alcune ebbero prettamente funzione ornamentale, come il Dorato e l’Argentato, tanto da vivere solo in grandi voliere o parchi privati, mentre altre vennero utilizzate a scopo venatorio.
Le più conosciute di queste sono il Mongolia, il Venerato, il Cinese, il Tenebroso, quello dal Collare e il Versicolore ma per lo più ormai vengono rilasciati ibridi che garantiscono una buona resa venatoria, come l’Americanino, più piccolo, scuro e dal volo veloce.
Veniamo alla caccia: il fagiano viene cacciato in battuta o con il cane da cerca o da ferma.
La battuta avviene per lo più in vaste estensioni di terreno, e si pratica molto in Gran Bretagna o in alcune grandi riserve dove la concentrazione degli animali è tale da consentire molte fucilate, e tanto da essere più indicata ai grandi…tiratori piuttosto che ai cacciatori. Si tratta di eventi organizzati una o due volte all’anno, incontri mondani più che altro, e cui vengono invitate un gran numero di persone.
I partecipanti vengono messi alle poste e poi i battitori iniziano la loro azione, facendo involare i selvatici che s’alzano in gran numero.
Alla fine della giornata vengono esposti i tableau seguendo un cerimoniale ben definito. Il rito si completa con gli onori per i migliori fucili della giornata e naturalmente con tutto quel contorno di attività che la mondanità richiedono.
Passiamo ora alla caccia con il cane, quella preferita a molti, accennando brevemente a quella con il cane da cerca per concentrarci poi su quella con quello da ferma.
La cerca è un tipo di caccia che va sempre più imponendosi, utilizzando cani che cercano e scovano il selvatico senza fermarlo; springer e cocker paiono i preferiti ma qualcuno comincia a cacciare anche con il labrador che unisce alla dote del riporto e del recupero anche un fiuto finissimo e l’istinto allo scovo. Questi ausiliari si muovono a breve distanza dal cacciatore e a tiro di fucile, frugando ovunque possa celarsi un selvatico, infilandosi in roveti e folti, battendo con sagacia ogni riva o canale.
Un uccello come il fagiano, facilmente incline alla pedina, viene subito costretto all’involo e dunque l’utilizzo di queste “macchine da guerra” appare estremamente redditizio; s’aggiunga poi che si tratta sempre d’eccellenti riportatori e si comprende perfettamente perché springer e cocker conquistino sempre più il cuore degli appassionati.
Ma la caccia classica al fagiano è quella con il cane da ferma, inglese o continentale che sia.
Dire quale di questi sia il migliore è molto difficile, perché dipende da gusti e inclinazioni personali.
Il fagiano ha indubbiamente una caratteristica che lo rende la selvaggina più diffusa per il cacciatore con il cane da ferma: si alleva facilmente, è piuttosto rustico ed è un discreto volatore, e così le immissioni sul territorio sono frequenti e ripetute; talvolta, ed è questa pratica non condivisa da tutti, avvengono a stagione venatoria ormai iniziata.
Come già detto i fagiani che un tempo venivano immessi sul terreno in inverno sopravvivevano e si riproducevano con facilità, tanto che a settembre la consistenza di selvaggina era tale da soddisfare anche i palati più raffinati. Ora, con l’urbanizzazione e le nuove le tecniche agricole, che vedono l’affermarsi delle grandi estensioni monocolturali e l’uso massivo di pesticidi e diserbanti, non sarebbe più garantita la sopravvivenza delle chiocce; quando poi tra settembre ed ottobre sono stati tagliati mais e altri coltivi gli uccelli non trovano quasi più rifugio, tra campi ripuliti e lisci come un biliardo!
Insidiare un fagiano che sia da un po’ libero sul territorio è tutt’altro che una passeggiata, e se poi si ha la fortuna di cercare qualcuno di quelli nati in selvaticità, rari ma ancor esistenti, allora il divertimento è assicurato e la beffa sempre in agguato perché il bel pollastro multicolore si trasforma in un diffidentissimo uccello, scaltro, attento e pronto ad involarsi ben prima che cane e cacciatore lo possano avvicinare.
Pedinatore instancabile, il fagiano sa anche essere un volatore eccellente e una volta sfrullato in pochissimi metri è già in grado di raggiungere velocità consistenti; quando capita di dover sparare ad uno di questi che si sia ormai alzato in volo allora pare di puntare un missile e le padelle possono essere scongiurate solo tirando con un notevole anticipo. Quando parte, rumorosamente e spesso cantando se maschio, il rischio è quello di sottovalutarne la velocità e capita spesso che qualche uccello riesca a beffare il cacciatore che già pregustava la gioia del carniere. Solo la perfetta conoscenza del territorio, l’uso di cani corretti e l’affiatamento con il proprio compagno di caccia consente di ottenere dei buoni carnieri.
Il fagiano vive bene tanto in pianura quanto in collina, purché vi siano aree boscate, siepi o fossati che possano offrirgli rifugio e pastura in abbondanza. Si nutre di erbe e granaglie ma pure di piccoli frutti, bacche o anche insetti, per cui in suo habitat può essere quanto mai vario; sa nascondersi molto, e capita spesso di passargli vicino senza poterlo vedere, in particolar modo per le femmine protette da un piumaggio marrone chiaro che le aiuta a mimetizzarsi anche sul nudo terreno, dove riescono a rendersi invisibili tra le zolle dei campi lavorati.
Durante la bella stagione ama trattenersi per la pastura nei prati o nei campi di granturco e girasole, e lì il cacciatore accorto lo cercherà nel mese di settembre e nella calde giornate d’ottobre; coltivi e vigne gli offriranno rifugio e i cani non dovranno trascurarli, anche se il rischio è che l’uccello accortosi del pericolo pedini velocemente sino a portarsi molto lontano prima di frullare rumorosamente con il classico co-coo-coo.
Naturalmente il fagiano stabilisce la sua abituale dimora là dove esistono le condizioni favorevoli, e dunque cerca boschi d’alto fusto (durante la notte s’appollaia sulle piante) con sottobosco che abbia abbondanza di felci, arbusti e cespugli; importante la presenza di acqua.
Con l’avanzare della stagione e i primi freddi lo si cercherà proprio nei boschi e qui sarà più facile l’azione del cane, reggendo lui meglio la ferma del cane, forse perché il folto lo rende più tranquillo e sicuro di non essere scoperto. Talvolta si è costretti a battere violentemente su rovi e arbusti per costringerlo al volo.
Ma anche qui non ci si confonda: se si ha a che fare con un fagiano selvatico allora le possibilità di sopravvivenza sono elevate e quando lui partirà, cogliendoci di sorpresa, difficilmente riusciremo ad esplodere entrambe le fucilate senza sventagliare di piombo le piante che ne proteggeranno la fuga.
Un tempo c’era la sana abitudine di rispettare le femmine, cui non si sparava più con l’avanzare della stagione, e questo valeva anche nelle riserve più importanti dove s’organizzavano grandi battute.
Si racconta che un grandissimo riservista, il Conte Emilio Scheibler, oltre a vietare si tirasse alle femmine, le sere dopo le battute pretendesse di controllare personalmente la selvaggina uccisa per controllare come i suoi ospiti avessero sparato: quelli che non lo soddisfacevano venivano…depennati ed esclusi dalle successive cacciate.
Erano altri tempi, e a quell’epoca nessuno si sognava certo di snobbare un selvatico tanto bello e interessante per ogni autentico cacciatore. Erano altri tempi, ed erano certo anche altri cacciatori!