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Parliamo del setter inglese con Meo Cavaglià

Parliamo del setter inglese con Meo Cavaglià
Pubblichiamo un'intervista fatta alcuni anni da una rivista di caccia greca ad un grande setterman piemontese, cacciatore alpino e appassionato cinofilo, capace di vincere con i suoi cani tanto sui campi di gara della Grande Cerca, come in prove di lavoro quali il Campionato Europeo Montagna oppure Saladini Pilastri e Gramignani.
Si tratta di Bartolomeo Cavaglià, da tutti conosciuto come Meo, padrone di grandi cani quali sono stati Aspis, Boniek, Boss e Lupin.
 
Allora Meo, com'è nata la tua passione?
Cinquantaquattro anni fa in quel di Santena, provincia di Torino, nasceva un bambino come tanti altri, ma in realtà gravemente ammalato di un male incurabile: LA CACCIA!
Mio nonno e mio papà erano già cacciatori, in casa nostra ci sono sempre stati cani, fucili da caccia, stivali, cartuccere e quant’altro; come potevo proprio io…guarire da tale malattia congenita? 
Ad un certo punto della mia vita incontro Luigina, ci sposiamo e nascono Andrea e Davide e con loro condivido gioie e dolori della nostra passione.
 
Quando hai cominciato?
Le mie prime uscite di caccia le ricordo benissimo, con papà tutto il giorno nei boschi a correre dietro a quattro segugi scatenati alla  ricerca disperata dell’orecchiona; a fine cacciata si andava a  pranzo con i compagni di cacciata.
Che bei periodi, quanti bei ricordi ancora vivissimi in me. Se fatte bene le cacce sono tutte belle e tutte impegnative; sicuramente con il cane da ferma, di razze inglesi, le più classiche sono la starna in pianura e la coturnice in montagna.
Due specialità dove si possono valutare al massimo tutte le qualità venatorie e stilistiche di un soggetto.
 
Quali sono stati i tuoi primi cani?
Per il mio primo porto d’armi ( a 16 anni ) papà mi regalò una bellissima Pointer; di questa femmina ricordo le ferme statuarie e le strappate mozzafiato, ma tre o quattro anni passano in fretta e anche la gran cagna invecchia e mi rendo conto che il tempo stringe.
Un amico di papà mi propone un setter maschio ed il passo e’ fatto, da allora non ho mai più cambiato, anche se molto onestamente  il primo amore non si scorda mai e tutt’ora guardo e seguo i cugini inglesi a pelo raso  sempre con molto interesse.
Dal mio racconto e’ evidente che il primo artefice della mia grande passione è papà, il resto lo ha fatto il mondo che mi circondava, i racconti di caccia, i discorsi di papà con gli amici, i cani e le prime uscite in montagna con il mio caro amico Franco.
Il bosco, la selvaggina e la montagna per me fin da subito hanno avuto un fascino particolare,una voglia di scoprire e capire, il tempo poco a poco mi ha aiutato in tutto ciò.
 
E quindi alla fine sei arrivato al setter inglese?
La mia storia di setterman  inizia proprio con Aspis, un regalo del mio carissimo amico Marco Gerardo, a quei tempi proprietario di setter famosi quali Cris del Varo e Astel;di lui mi ricordo la prepotenza , il carattere esuberante e la facilità di andare a punto, doti che in carriera gli valsero oltre cinquanta tra C.A.C. e C.A.C.I.T in grande cerca.
Momenti importanti nella sua lunghissima carriera ne ricordo un infinità: le partecipazioni a Coppa Europa 1995, 1996 e 1997 coronata con la vittoria, il campionato europeo setter grande cerca 1998 e 1999 e non meno prestigiosa la vittoria della gara d’eccellenza del 1994 in Belgio vincendo un bellissimo barrage a quattro, una classica a quaglie dove lo presentai io e vinsi in barba a Lombardi, Taccon, Scipioni ecc.
Ricordo ancora quando d’estate lo portavo con me in montagna a fermare galli  forcelli per farlo divertire; peccato che tutto passi e…tutto finisca. 
 
Con Boniek hai vinto moltissimo, com' era quel cane?
Boniek, Paco per gli amici, un cane che come qualità migliore sicuramente ha avuto l’addestrabilità, la voglia di farmi contento, il voler fare sempre il giusto senza strafare, in definitiva un cane facile.
Paco non inventava nulla, ma non tralasciava niente. In tutte le gare, nei cinque anni di Saladini è sempre andato al richiamo, è andato fuori una sola volta per trascuro, e i Saladini vinti potrebbero essere quattro se al primo anno avessi fatto qualche gara in più: con solo due gare finì al secondo posto. Di lui ricordo un Grandissimo turno al campionato Europeo, con due richiami a seguire senza incontro, e ricordo ancora un grandissimo punto a caccia su di una beccaccia di rimessa in una faggeta.
La vittoria più importante è stata sicuramente quella ai fontanini di Foppolo  nel 2000, 1 ecc. cac  cacit  che gli valse il trofeo Saladini di quell’anno e allo stesso tempo la proclamazione a campione Italiano e Internazionale di Lavoro; un turno al cardiopalma con il suo eterno rivale, il grande Po, di Piero Cossali, davanti ai quali mi inchino tutt’ora, un signor cane e un grande gentleman della cinofilia venatoria.
Il conte Saladini quando istituì il trofeo aveva nel suo intento di poter selezionare i migliori cani da montagna giudicandoli su tutto l’arco alpino, con l’ausilio dei migliori giudici esperti di montagna.
Ditemi un po’ voi se l’attuale trofeo  rispecchia  ancora queste volontà?
Il mio pensiero è drastico, e ben diverso; io non sono abituato alle mezze misure e quest’anno per dimostrare il mio malcontento non ho partecipato nemmeno ad una gara; forse non sarà servito a nulla ma lamentarsi e fare i pecoroni non fa proprio parte del mio stile.
 
Quindi secondo te i cani da montagna hanno qualcosa in più?
Sono caratteristiche che accomunano tutti i grandi cani, di tutte le razze e per tutte le cacce. Non pensatevi che la caccia in montagna sia più difficile di altre, solo chi non ha mai cacciato la beccaccia inpaesata  e pasturona può pensare ciò.
Il cane da montagna può differenziarsi dagli altri cani per l’ardire e per l’intraprendenza, deve sapersi gestire gli spazi e controllare i pericoli. Quanti cani si sono ammazzati cacciando pernici bianche e coturnici con il terreno gelato!
 
Cosa deve fare un allevatore, od un amante della razza, per migliorare i suoi cani? 
Migliorarsi  non è mai facile, l’intento di chi fa una cucciolata é sempre quello di trovare almeno un soggetto che in tutto possa essere, se non superiore, almeno uguale al genitore; quando succede ciò si può già essere soddisfatti.
Secondo me ogni cacciatore nella veste di allevatore come prima cosa deve conoscere bene il peso di ciò che ha in mano, deve sapere a menadito tutti i pregi e difetti della sua femmina, della mamma e della nonna di quest’ultima.
Non credo nel singolo soggetto, ma su linee di sangue ben fissate, su famiglie di grandi cani, con dei denominatori comuni ben fissati, VENATICITA, MENTALITA’, VOGLIA DI SOFFRIRE, GRANDISSIMO RISPETTO DEL SELVATICO, ESSERE NATO CACCIATORE e possibilmente anche l’addestrabilità.
Dove attingere non ha importanza, bisogna andare a cercare ciò che manca alla nostra fattrice nello stallone prescelto, e nella speranza che la legge della compensazione si attui, anche se in genetica non vi e’ mai nulla di certo, sarebbe troppo facile… il campione, o meglio il grande cane non ha importanza se e’ un montanaro, un trailer, oppure un gabbiarolo, l’importante e’ che non sia costruito, ma  il più naturale possibile.
Io personalmente lo stallone lo scelgo giovanissimo, quando esterna tutte le sue qualità naturali, tutto il suo bagaglio venatorio ed e’ il più possibile aderente allo standard di razza.
 
E tu come ti comporti quando scegli una femmina per i tuoi stalloni?
A questo punto e’ molto facile ripetersi, sono cose già dette più volte da tutti, in cinofilia l’acqua calda nessuno la inventa più; io come prima cosa guardo le linee di sangue, e sono del parere che i più grandi risultati si ottengono quando si lavora con uno stretto grado di parentela. Molto importante e’ il carattere dei riproduttori e ovviamente evitare tutte le tare genetiche. Su alcune cose proprio non transigo, prognatismo, displasia e depigmentazione, quest’ultima molto meno grave, ma comunque sempre una tare che tra l’altro tutti vedono.
Negli anni ho sempre usato tutti i miei cani in riproduzione, ognuno di loro mi ha lasciato un dono tangibile, ora a distanza di venti anni e con cinque generazioni di cani alle spalle posso dire di avere il frutto più bello, più prezioso: LUPIN DELLO ZORINO, un bel soggetto tricolore con una qualità eccelsa. Il galoppo è potente e accettabile, la sua presa di punto,  la sua guidata o accostata che si voglia dire e la sua cattiveria in ferma sono veramente punti di forza.
E’ un cacciatore instancabile che caccia con la bramosia del predatore, la sua passione non ha limiti, e’ il suo comportamento nelle azioni di caccia lo differenzia da ogni altro soggetto che ho avuto.
Fortunatamente in riproduzione ci sta dando dei grandi soggetti, speriamo di riuscire a ripeterlo e, perché no, a migliorarlo.
Lupin dello Zorino 
 
Il fatto che in Italia, salvo alcune eccezioni, manchino autentici selvatici ha creato problemi alla selezione dei cani?
La mancanza di selvaggina più che condizionare il cane da caccia ha condizionato i cacciatori; quanti sono ancora in Italia  quelle persone che nel segno di Diana passano il giorno dietro alla coda di un setter nella speranza di vedere una bellissima azione su di una beccaccia o su di un volo di coturnici, è molto più semplice andare nelle riserve dove proliferano i pronta caccia, e d’altronde la maggior parte dei cani proclamati campioni di lavoro oggi giorno lo è proprio su questo tipo di selvaggina.
 
Come saluti i cacciatori greci?
Miei cari amici greci vi dico solo questo: avete una fortuna enorme, terreni da favola, tanta selvaggina e tutta con la S maiuscola.  
Godetevela e pensate che tutto ciò che sa fare un grande cane da caccia lo può fare UN GRANDE SETTER; se vi rendete conto che vi manca ancora qualche cosa per dipingere il grande quadro della caccia rivolgetevi a chi pensate la sappia più lunga di voi, nella cinofilia e nella caccia, cosi pure nella vita c’è sempre da imparare.
Occhio che quello dei cani è un mondo pieno di truffaldini e accomodatori, cercatevi una persona seria, meglio ancora un amico, e collaborate con lui, i risultati prima o poi arriveranno.
Ora vi saluto e perdonatemi se vi ho stufato con le mie fantasie, ma sono alcune delle cose che dopo quarant’anni di caccia e cinofilia mi stanno più a cuore.
                                                               
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