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Mario e Franco Giachino, i Signori della Cinofilia- prima parte.

Mario e Franco Giachino, i Signori della Cinofilia- prima parte.
Il sentiero tagliava tutto il monte, quasi in piano, snodandosi appena un centinaio di metri sotto la cresta che correva parallela.
La quota era vicina ai 2300 metri, e dunque proprio laddove gli ultimi larici e ginepri lasciano ormai il posto ad arbusti e licheni, terreni dove coturnici e pernici bianche condividono quegli splendidi ambienti.
Sotto la mulattiera s’apriva un’ampia conca, tappezzata da sparsi sfasciumi di granito ricoperti di rododendro e conifere, habitat del mitico gallo forcello. Insomma il paradiso dei cacciatori con il cane da ferma.
E quel giorno io ero lì proprio per quello, con Lemon il mio setter bianco arancio portato in allenamento sulla tipica fauna alpina prima di inizio stagione.
Da sotto saliva un altro cacciatore, alto, con un cappellaccio calato in testa e un lungo bastone a sostenere e ritmare il suo passo sicuro; anche lui con un setter che allargava e rientrava, mirabilmente comandato da un cenno della testa o del braccio, o un secco colpo di fischietto.
Mi fermai ad aspettarlo, anche per far rifiatare Lemon, affaticato da quella canicola quasi estiva.
Lo riconobbi, ed anche se non ci eravamo mai parlati, entrambi sapevamo chi fosse l’altro.
Ciao”, gli dissi quasi contemporaneamente a lui, che aveva esordito allo stesso modo.
Tolse il cappello e si poggiò sul lungo bastone, mentre la sua cagna si accucciò obbediente al suo fianco.
Ci confrontammo sul risultato della mattinata, e poi parlammo dei nostri cani.
Ad un certo punto mi chiese: “ Senti Alessandro, ma tu scrivi sempre per Diana?
Sì Roberto, perché? Posso esserti utile?
In un certo senso sì, sai…” e quasi sembrò volersi scusare dell’ardire di una richiesta che si capiva gli stesse a cuore “…mi piacerebbe se Diana una volta scrivesse qualcosa di mio papà” e poi trasse un profondo respiro “ Tu forse sai chi è, ma ora è molto malato, e so che sarebbe contento di raccontarti qualcosa della sua vita.
Scherzi? Certo che so chi è, e per me sarebbe un onore parlargli. Sono anche convinto che la rivista gli darebbe il dovuto spazio.”
Bene” e concluse “ lasciami il tuo numero e appena starà meglio ti farò sapere.”
Poi rimise in testa il cappello e riprese la salita, alla ricerca delle bianche.
Roberto
 
Fu così che conobbi Roberto Giachino, esponente di una famiglia torinese che ha dato grandissimo lustro alla cinofilia torinese.
Nipote del cav. Mario, e figlio dell’altrettanto noto Franco, due dresseur che ogni amante del cane da ferma ha certo sentito nominare, e molti di quelli che oltre ad esserlo hanno pure i capelli grigi, dovrebbe avere scolpiti nella loro memoria.
Mario Giachino nacque a Cocconato d’Asti nel 1901, ma si trasferì presto a Torino quando, all’alba o quasi del nuovo secolo, la prima capitale d’Italia si stava modernizzando e industrializzando.
Nella città subalpina il giovane Mario lavorò in quello che ora si definirebbe il settore della ristorazione, occupandosi di un’attività di famiglia.
Arrivò la guerra e Torino ne fu investita in pieno, con i bombardieri inglesi e alleati, che scaricarono migliaia di bombe sulla città, colpendo non solo fabbriche e opifici, ma pure abitazioni civili e strutture pubbliche.
Morte e distruzione colpirono la popolazione civile, e chi potette cercò di mettersi in salvo fuggendo lontano.
Mario e famiglia sfollarono a Cocconato per salvarsi la vita, ma l’attività andò persa. 
Con la Liberazione dagli occupanti tedeschi tornò la voglia di fare, e ovunque fu un grande fermento di nuove attività, mentre i torinesi si riprendevano velocemente dai guasti della guerra.
Furono gli anni della speranza, della rinascita, con la Fiat che espande la sua produzione di auto, e il Grande Torino che vince cinque scudetti di fila, di Coppi e Bartali che rivaleggiano sui colli alpini del Giro d’Italia e del Tour de France. Anche la caccia, che durante il periodo bellico era divenuta più che altro attività di sostentamento per le famiglie affamate dai razionamenti, torna ad essere un’attività ludica, sempre più praticata.
In quegli anni per il nostro Mario Giachino cambia qualcosa, e non avendo più il ristorante di famiglia, apre quell’attività che renderà il suo nome famoso tra tutti i cacciatori e cinofili italiani: nel 1947, a Moncalieri, nello stesso posto dove esiste ancor oggi, inaugura il suo primo canile, dedicandosi anche all’addestramento e conduzione di cani da caccia.
canile I suoi primi clienti sono ricchi signori della buona borghesia subalpina, professionisti ma anche facoltosi industriali che s’affacciano all’attività venatoria per la prima volta. I nomi buoni della Torino che conta ci sono tutti, e in breve sono in molti a portare setter e pointer, ma anche bracchi o spinoni ed epagneul a…quel mago di Mario Giachino, capace di tirar fuori da quei soggetti il meglio delle loro qualità di razza, insegnando loro obbedienza e correttezza.
Le campagne sono ancora popolate e lavorate, ma l’agricoltura non è meccanizzata come sarà solo pochi decenni dopo; nemmeno è estensiva od intensiva, e così medicai e campi di granturco, prati e piccoli coltivi, boschetti o rive, pullulano di selvaggina, ma specialmente vi sono ancora le autentiche starne, preda ambita per ogni cacciatore con il cane da ferma.
Mario ama la caccia, e le familiari colline di Cocconato sono una delle sue mete privilegiate proprio per le numerose brigate di starne che vi albergano; ma lo è pure la montagna, e allora lui prende il treno da Porta Nuova e va in Val di Susa per cacciare forcelli e coturnici. Altri tempi, di un’Italia semplice ed ormai perduta, certo rimpianta, perché ora salire sul treno con cane e fucile equivarrebbe ad essere denunciati e finire sui giornali.
In quegli anni anche la cinofilia agonista riprende in pieno, e nascono prove che saranno destinate a lasciare il loro indelebile segno, come la Coppa Europa di Grande Cerca, dove si confrontano i migliori soggetti di razze inglesi dei principali paesi europei.
Sono gli anni delle prove di Bolgheri e dei “Trialer”, e nomi come quello di Giulio Colombo divengono famosi tra cacciatori e cinofili come quello di Boniperti o di Schiaffino tra i tifosi di calcio.
In quel contesto anche Mario Giachino si cimenta sui campi di gare conducendo i cani dei suoi clienti, e subito arrivano i primi successi. Tantissime sono le sue vittorie in prestigiose gare, e molti i cani che meriterebbe ricordare, ma il nome di Mario, al secolo il cavaliere Giachino, resta però indissolubilmente legato a quello di un cane mitico, da molti considerato il più grande di tutti tempi: un pointer bianco fegato che si chiamava…Or del Cecina.
Or del CecinaOr nacque a Cecina nel 1960, da Licinium Congo e Ara, presso l’allevamento del dr. Giuseppe Meucci e il suo proprietario, l’Ing. Aldo Grana, l’affidò alle cure di Mario Giachino senza certo sapere che sotto quella carrozzeria, forse un po’ anonima ma estremamente potente, si nascondeva il motore di un’autentica Ferrari.
Non era un bel pointer, ed anche il suo muso aveva ben poco di classico, ma quando Or del Cecina metteva in moto i suoi cavalli vapore diventava un’autentica belva capace di sopravanzare qualunque cane facesse il turno con lui; e lo faceva con la stessa facilità con cui Usain Bolt irrideva gli avversari sui cento metri, rallentando la corsa e alzando le mani ad esultare quando il traguardo ne distava ancora venti.
Il bianco fegato aveva un galoppo potente e impetuoso, rabbioso al limite del violento, da vero trailer e con un’impressionante carica nervosa, tanto da fermare di schianto, in maniera scultorea e quasi catalettica, nemmeno s’inchiodasse al terreno facendolo sollevare come capita quando si scivola sul tappeto di casa.
Or del Cecina divorava la strada con un portamento di testa regale e la canna nasale capace di raccogliere le emanazioni e trasmetterle al cervello, che in una frazione di secondo impartiva ai muscoli l’ordine finale. Era un punto!
È stato un grandissimo cane da starne, e chiunque l’abbia visto in azione racconta di prestazioni inarrivabili, e certo non comparabili con quelle di tutti i cani che gareggiavano con lui. Lui non correva, vinceva.
La storia di Or si vela di mistero, perché il 29 ottobre 1968 durante il rientro da una prova Jugoslava, ad Umago, ora Croazia, il furgone su cui viaggiavano i cani ebbe un incidente dalle parti di Brescia e i preziosi quadrupedi di dispersero per i campi.
Vennero recuperati tutti, ma non il grande campione, di cui non si seppe più nulla; Roberto m’ha raccontato che il nonno incaricò anche il famoso detective Tom Ponzi di trovarlo, ma senza successo.
Qualche anno dopo ricevette una lettera, di persona che diceva di sapere la verità. Mario lesse e poi, sempre secondo il racconto del nipote, strappò il tutto, non volendone più parlare, chiuso nel suo dolore.
Qualcuno disse che Or del Cecina venne rubato, o se preferite, rapito, e non certo per farne bella mostra semmai per usarlo in riproduzione; la verità forse non si saprà mai, anche perché all’epoca non esistevano ancora gli esami del DNA, ed è meglio che quell’insuperabile cane resti così com’è nella memoria di chi lo vide tagliare i campi alla velocità di un fulmine.
Or vinse molto, ed è giusto anche  ricordare il suo straordinario palmares composto da quindici CACIT, quattro riserve di Cacit, sei CAC con una riserva; ma fu pure sei volte titolare per la squadra italiana in Coppa Europa (di cui cinque consecutive) che vinse nel 1965 per giungere secondo l’anno dopo. 
Nel 1965 s’aggiudicò anche il Grand Prix Mairesse al Boullamme, e si impose nel Campionato Francese di Grande Cerca nel 1965, 1966, 1967, 1968 quando poi sparì; a condurlo ovviamente fu sempre Mario Giachino.
Or lasciò il suo ricordo in un altro immenso cane condotto dai grandi signori della cinofilia torinese e che fu Poilu de St. Niel, più volte convocato in Coppa Europa, trialer che rappresentò anche il passaggio del testimone tra padre e figlio, perché entrambi lo condussero in prova. 
In quegli anni la fama del cav. Giachino travalica i confini piemontesi, e si consolida con altri soggetti destinati a lasciare un segno nella storia della cinofilia agonistica, e dalla Toscana arriva un altro grande campione, sempre pointer: Lut della Steccaia, allevato da Attilio Pasquali e ceduto al dr. Vestrini. Naturalmente condotto da Giachino. 
Mario Giachino, il cavaliere, si spegnerà il 28 novembre del 1983.
 
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Mario Giachino con Or
Mario Giachino con Or del Cecina
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