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Il Cane da Montagna visto da... Marcello Villa

Il Cane da Montagna visto da... Marcello Villa

Terreni piani o appena ondulati, di ampiezza interminabile, vegetazione tipica della campagna autunnale, stoppie, prati ed arati profondi e primaverili distese di grano dalle tenere nastriformi foglie, dove la corsa può svilupparsi in tutta la sua proficua potenza, sono l’ambiente dove selezionatissimi cani si esibiscono alla ricerca della classicissima starna, per essere valutati e quindi segnalati alla riproduzione.

I migliori di loro, saranno padri di una larghissima, ed in qualche razza preponderante, parte delle nuove generazioni.

Voi lettori, come me frequentatori dei severi e affascinanti ambienti alpini, penserete subito che quei soggetti, con la caccia in montagna hanno ben poco da spartire.

Come ben sanno coloro che si occupano di biologia, la frequenza con cui le caratteristiche fisiche e comportamentali degli esseri viventi si affermano nelle popolazioni, dipende da quanto le stesse sono funzionali alla loro sopravvivenza.

Quelle che i cani sottoposti a queste prove devono possedere ed esprimere al massimo grado  sono:   Passione per la caccia, coraggio, senso dello spazio e discernimento, ferma sicura e solida, capacità di apprendere, capacità atletiche, fondo, aderenza alle caratteristiche della razza a cui appartengono.

Il corredo indispensabile al cane da montagna: vale allora la pena di analizzarle nel dettaglio.

 

Passione per la caccia.

Qualsiasi canide dovrebbe possederla per orgine.  La sopravivenza di questa specie è stata ed è legata alla capacità predatoria degli individui che ad essa appartengono.

scansione0003E’ vero che la domesticazione ha loro risolto l’esigenza di procurarsi il nutrimento, ma quello predatorio rimane il caratteri in cui la specie si identifica.  Come nell’uomo primitivo, ma anche in quello moderno, il piacere di nutrirsi è secondo solo a quello insito nell’atto riproduttivo a cui è naturalmente funzionale.  Chi mette a disposizione del gruppo di appartenenza maggiori quantità di alimento, è quello, che offre maggiori garanzie alla sopravvivenza della prole conquistandosi così il maggior numero di  opportunità d’accoppiamento

Il problema sorge nel momento in cui, proprio perché presso l’uomo, hanno potuto e possono vivere e riprodursi  individui che in natura non avrebbero avuto opportunità.

La passione per la caccia, nei nostri cani è fondamentale e indispensabile; il soggetto che non la possiede in modo inequivocabile, non serve,  nè  per le prove a starne, né per altre e men che meno per la caccia. Non vedo come un ausiliare possa essere tale se gli manca la voglia di esserlo!

Un cane senza la necessaria azione non solo non aiuta a reperire selvatici, ma deprime, innervosisce, rovina la magìa della caccia, in qualunque posto ed a qualunque titolo si pratichi. E’ un problema per il proprietario, un pericolo per la razza.

Il rischio sta nel fatto che per legittimo amore venga fatto riprodurre, nonostante l’inettitudine, perpetuando così i propri limiti.

 

 

Coraggio

Come molto chiaramente  esplicitato da Don Abbondio, chi non l’ha, non se lo può dare.

Nella vita, ho avuto più volte l’occasione di constatare, a cominciare da me stesso, quanto  quest’affermazione sia vera.

Coraggiosi si nasce!   Ma questa caratteristica esaminata in termini strettamente biologici,  risulta essere poco funzionale alla vita.

Coraggio significa disprezzo del pericolo, capacità e voglia di rischiare, sfidare la morte.  E’ conseguentemente una caratteristica a basso tasso di ereditabilità; chi la possiede, non avendo paura di morire, ha maggiori probabilità che ciò avvenga e,  in ultima analisi, ha meno probabilità di dare origine ad una discendenza a cui trasmettere le proprie qualità.

Ma senza il coraggio, nelle prove a grande cerca non si può ottenere nulla, raramente l’incontro con la selvaggina, ancor meno il consenso degli esperti. Senza la voglia di andare a vedere oltre, più in là, lontano, in quell’area di vegetazione adatta al selvatico perseguito, senza l’ardire di saltare il fosso per la curiosità di vedere cosa c’è oltre  o per la necessità esplorare il terreno al di là di esso, non si ottengono risultati e non si raggiungono primati. Come a caccia!   A cosa serve un cane che in montagna, tanto in bosco nel rododendro  come tra le rocce, non sa osare?

I cani coraggiosi sono frutto della selezione dell’uomo, della sua cultura e, costituiscono un chiaro esempio di adattamento nel divenire delle razze canine, nel nostro caso, da ferma.

 

Senso dello spazio e sagacia

scansione0005La prima è la capacità di leggere in senso geometrico il terreno da esplorare: quelli che la possiedono, con una diagonale perfettamente tracciata, ispezionano aree che  altrimenti richiederebbero ben maggiore dispendio di tempo ed energia.  Sanno essere collegati senza indulgere a inutili rientri o ripassi su terreno già ispezionato, in altre parole sanno mettersi sul terreno ed esplorarlo disegnando il percorso più utile nel modo più semplice. Faticano di meno, conseguentemente si stancano di meno, mantengono più a lungo lucidità intellettiva, aumentano la loro resa.

La sagacia è la risultante della somma tra qualità intellettive innate, l’esperienza e la memoria.

Vi sono soggetti, che già alle prime uscite hanno la capacità d’individuare ed esplorare i terreni più adatti ad accogliere il selvatico, quindi ad incontrare con maggior frequenza e fare con ciò esperienze positive.

A riconoscere la vegetazione adatta, imparano subito:  è sufficiente un solo incontro perché il soggetto dotato sia attratto da tutte le aree che gli assomigliano!

E’ troppo bello essere a caccia pensare: “ora chiamo il cane e lo mando lassù, se c’è un gallo dev’essere lì e… scoprire che lui c’è già.

Quelli che non esprimono queste qualità,  hanno limiti che si possono accettare solo in virtù del bene che gli si vuole, ma sono destinati alle ferme di consenso.

 

Sicurezza  di ferma, perentorietà e autorevolezza

La ferma dev’essere sicura: una volta in ferma, se certo della presenza del selvatico, il cane deve rimanere tale, a giusta distanza dall’animale per costringerlo a stare a sua volta immobile e, se si muove di pedina mettersi in “guidata” per non perdere il filo di contatto olfattivo, e conservare quella condizione di dominanza predatoria atta a costringerlo all’immobilità.

Lasciare che il selvatico si sottragga da sotto la ferma, è spesso dovuto a mancanza d’esperienza o,  quando abituale, a deficit psico-olfattivi. Nelle prove, pur con qualche eccezione, è  sempre  penalizzato, ed  a caccia, se quando si riesce a sparare può essere accettato, a volte con soddisfazione,  negli altri casi, soprattutto se ricorrenti, risulta deprimente.

Ai cani bravi “si rubano” pochi selvatici! 

 

Solidità di ferma

E’ irrinunciabile, in qualunque specialità il cane si esibisca.

Arrivare alla conclusione dell’azione nella certezza che l’ausiliare, in qualsiasi condizione ed a qualsiasi distanza si trovi, resterà in ferma fino all’involo spontaneo del selvatico, è un piacere che la ripetitività dell’esercizio non può che esaltare.

Uno degli eventi più gratificanti è trovare il cane in ferma. Specialmente quando da qualche minuto non lo si vede e con il collo allungato lo si cerca oltre il costone. Quando lo si trova là, tra le rocce in ferma, con quella tensione che palesa l’intimo travaglio interiore spesso esaltato da evidenti  tremolii delle membra, testimonianza del costo psichico del momento e dell’accumularsi dell’acido lattico nei muscoli contratti e frementi,  con lo sguardo acceso dalla bramosia, che, consapevole e sicuro con una fugace occhiata cerca la nostra complicità, allora si percepisce il senso di quella profonda emozione che pur inconsciamente  ci riporta agli albori del proficuo consorzio cane-uomo e che, pur cercata, pone la fucilata ad alto rischio di padella.

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Capacità di apprendere

La nostra selezione prioritariamente premia la voglia di cercare, elemento fondamentale dell’innata attitudine predatoria.    Il problema sta nel convincere soggetti molto dotati in questa prima qualità a mettersi al nostro servizio. Perché ciò avvenga è necessaria una capacità di apprendere e ricordare l’addestramento, proporzionale alla “voglia di selvatico”.

E’ vero che in ciò l’uomo sia esso addestratore o cacciatore ha un ruolo importante, ma è chiaro che nascono cani più predisposti di altri all’apprendimento. Sono quelli che tutti cerchiamo.

Oggi con i mezzi di comunicazione a distanza, solitamente usati in termini coercitivi a disposizione, la selezione di questa caratteristica può essere fuorviata.

Quello che il cinofilo od il cacciatore esibisce è un prodotto finito, solo lui ne conosce l’iter addestrativo, solo lui sa quanto è stato facile o difficile arrivare alla conclusione di quella fase.

E queste cose sui curriculum pubblicati non ci sono mai!

 

 

Capacità atletiche

L’allevamento italiano in questi ultimi trent’anni, sotto quest’aspetto,  ha raggiunto livelli elevatissimi, ed oggi andare oltre appare tanto difficile quanto poco funzionale ad un lavoro ad alta componente intellettiva come quello a cui il cane da ferma è chiamato.

Vedere galoppatori agili e potenti, che nemmeno i terreni arati ne scompongono il movimento e che si esprimono con distinzione ed eleganza in qualsiasi situazione ambientale, compresa la montagna, non è un evento occasionale.

L’atleta lavora faticando meno, i suoi raggi ossei hanno le giuste dimensioni e direzioni, il suo corredo neuro muscolare serve il movimento senza alcun  spreco energetico, favorendo prestazioni sempre brillanti ed il fondo necessario per concluderle.

Adeguato impianto neuro-muscolo-scheletrico, al servizio di profonde doti morali, è ciò che i cultori e gli allevatori di cani da ferma perseguono e sempre più di rado sognano.

 

Il fondo

Quella di non “mollare mai”, è una dote psichica.

scansione0007Da montagna sono quei soggetti che alla sera bisogna legare, se no continuano a cacciare, anche quando le loro forze, frustrate dall’acido lattico e dagli insulti del terreno, si trovano solo nell’incrollabile volontà che li sostiene.

E’ quella qualità che non permette di staccare la spina, perché anche sulla via del ritorno, quando capita d’inciampare nei sassi più spesso del solito, loro sono ancora attivi, attenti, bramosi di trovare quel gallo tornato al proprio posto dopo la levata del mattino o  quella cotorna che  si è piombata verso il basso e non si è potuta “marcare”.

Certo il buon fisico li aiuta, ma la qualità è di ordine psichico: sta nel cervello.

 

Questo è l’impegno ed il rigore con cui gli appassionati selezionano ed allevano.

Non esiste un tipo di cane da prove ed uno da caccia.

Se le prime mettono all’attenzione validi campioni, la seconda dispone di quel patrimonio insostituibile rappresentato dalle buone femmine utilizzate nelle varie specialità di caccia, dove più duro è il cimento, più probante è il risultato ed in quanto a difficoltà quella di montagna non ha certo bisogno di essere aggettivata.  Trovare bravi e spesso provati stalloni non è difficile, più raro avere fattrici di sicura qualità.

Alle prove infatti partecipano quasi esclusivamente maschi e, le poche femmine che si cimentano, al termine della carriera sportiva sono delle poco probabili fattrici e non di rado non lasciano alcuna discendenza.

Quindi voler distinguere il cane da prove da quello da caccia è errato e fuorviante.

Le qualità che in prova fanno la differenza sono le stesse che la fanno a caccia.

Tutti i cani di qualunque razza possono essere “bravi” o “brocchi”: con i primi si va bene a caccia e se hanno sufficienti qualità stilistiche, alcune delle quali non indispensabili per l’utilizzo venatorio, si primeggia nelle prove, con i secondi non si va da nessuna parte.

 

Marcello Villa

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