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Un setter inglese....come standard comanda

Un setter inglese....come standard comanda

Sul setter inglese, il cane "più gettonato" da cacciatori e cinofili italiani, molto si è detto e molto si continua a dire. Qualche volta sono libri, più spesso articoli e attualmente anche materiale audiovisivo.

Ma il nostro cane accessoriato di frange setacee resta come annotava un grande competente, Enrico Oddo, "razza amata da molti ma non da tutti conosciuta a fondo". Sono pochi, infatti, anzi pochissimi a mio avviso, anche gli autori che sanno dare vita a testi e a documenti dove tutto quello che deve essere detto viene chiaramente detto, senza ambiguità o secondi fini, e dove un eventuale J’accuse, portato avanti con la giusta intransigenza, ma senza amore di polemica gratuita, possiede già la capacità di porsi come parte costruttiva, cioè propositiva di soluzioni miranti a ottenere un animale in possesso della "voglia" e della "forza" di rappresentare, senza separatezze e divergenze, un setter inglese per caccia e prove.

 

Ma un setter siffatto è mai esistito?

La mia risposta, per niente consolatoria, per di più consapevole di scomodare l’uditorio, rimane, nonostante il tempo che passa, quella che ho dato in altre occasioni. Torno a precisare che, per ragioni di anagrafe, il mio ricordo in fatto di setter non può spingersi oltre la metà degli anni ’50 del secolo scorso. Cinquant’anni e più di frequentazione con questo particolare animale mi mettono, però, nella condizione di dichiararmi d’accordo con chi è dell’avviso che non c’è stato in passato un setter inglese migliore dell’attuale. E, per parte mia, non credo di aver mai esternato rimpianti per un improbabile "setter perduto". Credo di essere stato e di essere semplicemente alla ricerca del setter inglese, anche per l’evidente ragione che non si può cercare come "perduto" ciò che non c’era o non c’è stato. Semmai si sono perse le occasioni, questo sì, di averlo, il Setter Inglese, come lo standard morfologico e quello funzionale comandano e soprattutto in possesso di grande mentalità della caccia.

Il setter dei tempi andati era diverso. Sicuramente più fortunato, perché aveva selvaggina, vera e sufficiente, e non era ancora finito in mano a una crescente schiera di orecchiuti guastatori. Guardandomi intorno lungo il corso degli anni, sia pure dal mio piccolo osservatorio marginale, e sforzandomi di farlo con occhi personali, ho intravisto di quando in quando dei soggetti che, per alcune caratteristiche psico-funzionali, erano/sono molto vicini a quell’animale tipico e ideale codificato dallo standard. Standard che deve rimanere – su questo non c’è dubbio – modello di riferimento obbligato e tensione costante per chi vuol misurarsi nella non facile impresa di allevare per fini di selezione, e non solo per scopo di lucro come troppe volte avviene. Ma questo setter in possesso di un buon livello di attributi di razza, per quanto si voglia dire e fare, non è oggi moneta corrente. Né m’illudo che lo diverrà perché – come testualmente dichiaravo in una recente intervista resa a un periodico molto attento alla cinofilia delle prove - i nostri super affaccendati alchimisti di formule improprie, tesi a altri obiettivi, non è a lui che pensano, nonostante una certa aria di…pentitismo che solo da tempo recente e saltuariamente aleggia qua e là e che, in definitiva, è assimilabile più a un’arietta di circostanza che a un deciso vento rigeneratore. E intanto il nostro setter inglese ci ha rimesso gran parte della sua "identità".

Se così stanno le cose, costituisce allora vuoto e pericoloso trionfalismo tentare di difendere la bottega affermando che noi abbiamo i migliori setter del mondo per il fatto che in materia di prove abbiamo vinto tutto quel c’era da vincere. Se fossimo in vena di battute scherzose, potremmo confutare simili affermazioni ricordando che esiste anche un detto secondo il quale nel paese dei ciechi è re chi ha almeno un occhio. Ma la situazione è piuttosto seria per pensare di liquidarla con facili motti. Perché se teniamo conto che accanto alle prove esiste la caccia, la quale non è per niente cosa di serie B come vorrebbero dare a intendere certi moderni soloni, nessuno deve illudersi che il setter crepi di salute e pensare che sia privo di malanni seri.

Un cultore della razza, che coltiva anche il buon gusto dell’ironia, tempo addietro si disse convinto che esistono almeno quattro di tipi di setter inglese: uno da esposizione, uno da gara, uno da caccia e un altro da… scaccia. Il nostro cane trovasi insomma disperso, sfigurato in una babele di morfologie e di attitudini. Senza voler fare raffronti con il "tipo da esposizione", nel solo "tipo da lavoro" possiamo facilmente constatare che nessun setter somiglia a un altro per conformazione. A parte i non pochi soggetti affetti da displasia, molte sono i difetti fisici, funzionali e di carattere che si riscontrano. Giancarlo Mancini, allevatore della razza e giudice di prove, nel libro "Il setter inglese moderno" (Ed. Olimpia), puntualizza: "Purtroppo questa magnifica razza, che ha conquistato l’animo di larga schiera di appassionati, ha anche subito traumi che se non contenuti potrebbero divenire pericolosi. Non è raro vedere setter inglesi paurosi di tutto e massimamente dello sparo, paura più o meno spinta, talvolta curabile pur se è sempre suscettibile di essere riprodotta, potenza olfattiva non rapportata alla velocità, testardaggine e ribellione al dressaggio, diminuzione eccessiva della taglia (più raro oggi il gigantismo), mancanza di frangiatura, e anche numerosi casi di displasia".

E più oltre: "Altro difetto comune che bisogna riconoscere è che solo una bassa percentuale di setter inglesi ha, nel movimento e nel galoppo, quello stile che è richiesto dallo standard, forse per aver voluto incentivare un’eccessiva velocità, forse per l’unione si soggetti difettosi di costruzione scheletrica, o per altro, ma anche nelle prove di lavoro sono pochi i soggetti che più s’avvicinano al movimento ideale del setter inglese, certo uno dei più complessi tra tutte le razze da ferma e dei più belli".

Alla base di queste devianze stanno appunto indirizzi di allevamento incongrui, distorti quando non contrapposti. La causa è quella altre volte denunciata: allevatori, giudici, sportsmen e cacciatori si sono persi di vista, quando non sono addirittura diventati incomunicabili perché mossi da interessi diversi, che non tengono innanzi tutto di riferimento la selezione di un setter calato in un esercizio di caccia classicamente inteso.

Chi, intanto, libero da condizionamenti, è capace di fare in argomento una ricognizione a trecentosessanta gradi non ci mette molto a accorgersi di quali e quanti restauri abbisognerebbe il setter. Sembrerà un paradosso, ma la necessità di questa indifferibile opera di "ristrutturazione" si rende forse ancora più evidente proprio esaminando attentamente il materiale audiovisivo (DVD, video-cassette e altro) che ogni tanto esce allo scopo di illustrare, spesso con chiari intenti elogiativi (anche Pulcinella, dicono, si trovò a essere principe in sogno), i soggetti che al momento vengono ritenuti i migliori rappresentanti della razza.

Qualora si voglia anche prendere la necessaria distanza dal commento talvolta eccessivamente compiacente che li accompagna, i filmati sono documenti utili perché aiutano in tutto agio a valutare fino a che punto certi setter, che si muovono superveloci e geometrici sul terreno di "gara", siano compatibili con lo standard della razza e, naturalmente, col terreno vario della caccia cacciata, quello impegnativo e spesso povero di animali che ci accade di frequentare per lo più sul nostro patrio suolo. Terreno che ha poco da spartire con i più equipaggiati comprensori faunistici di paesi esteri – da dove qualche giudice, in perpetua febbre di esaltazione, s’improvvisa tuttologo, cioè anche cronista (interessato?), riferendoci che da quelle parti è proprio tutto bello e tutto buono, l’ospitalità i terreni le starne e i cani, che quando sbagliano, poverini, è solo colpa dell’inclemenza climatica e della sfortuna.

So che i materiali filmici che riprendono i setter à la page vengono spesso proposti (e usati dai più) come "specchio delle mie brame". Ma coloro che li mettono in opera, per mostrarci com’è meraviglioso e com’è grande il nostro setter odierno, finiscono in realtà per spogliarlo di tutte le apparenze di gloria agli occhi dello spettatore più incline al disincanto che alle illusioni strampalate di Pulcinella.

Da parte mia credo più utile raccontare in maniera affettuosamente critica il setter inglese, con le sue luci ma anche con le sue non poche ombre, invece che farne una sperticata e dannosa esaltazione. E so già che mi si muoverà il rimprovero di aver indugiato con lo sguardo più nel crepuscolo del (possibile) tramonto che nello splendore (improbabile) del mezzogiorno.

Chiunque non abbia portato il suo cervello all’ammasso non può accettare come migliore un setter perché "precipitevolissimevolmente" va più lontano. Chiunque conserva la nozione precisa del "cane che corre per cacciare" capisce da sé che per certe vie rovinose non potranno mai aversi quella radenza e quella morbidezza che sono attributi precipui di razza, né quella maniera tutta particolare di indagare il vento e di agganciare l’emanazione. Né ancora quel modo speciale e caratterizzante del nostro cane ammantato di pelo (quando ne è ammantato) di palesarsi prudente e allo stesso tempo temerario nel negoziare la selvaggina. Queste prerogative, si badi, non sono pura e sola vicenda di sguardo, e di sentimento del bello che se ne ingenera; costituiscono invece l’espressione di un animus che, in un cane da ferma, individua il setter inglese.

Non ci vuole poi molto per convenire che l’incontro del piè veloce fatto sul campo di gara non sempre è probante, perché quasi mai è la risultante delle non poche componenti che stanno alla base di un’azione di caccia autentica. L’incontro, nelle prove, salvo l’eccezione di pochi riscontri con selvatici veri, avviene per lo più con il surrogato e, dunque, non diamogli più importanza che nei fatti ha.

Un andazzo, questo, criticato da chi scrive già da alcuni decenni fa, per cui mi ha fatto piacere che Gigi Foti, abbia di recente ripreso l’argomento in un articolo in difesa del "vero" cane da caccia, affermando testualmente: "La selvaggina che s’incontra nelle prove per 9/10 non si può chiamare selvaggina, come non è certamente ambiente di caccia la moltitudine dei terreni riservati alla stragrande maggioranza delle prove. E così si rischia di adattare i nostri cani a questa situazione di "simulazione della caccia": ma che cosa andiamo a selezionare di qualità venatorie in un cane da caccia in una pianura immensa?".

Cani da spettacolo, certamente. E si sa che il lustrino ha dalla sua il vantaggio che s’impone facilmente allo sguardo. Ma poi ciascuno di noi deve essere in grado di trarre le sue conclusioni dall’essere consapevole che non è tutto oro quel che luccica, anche si può essere gratificati, e anche molto, da un buon pezzo di bigiotteria.

Questo di per sé non è colpa qualora si tenga sempre presente che a dare i termini del reale grado di compostezza e di efficienza di un soggetto è sempre il terreno di caccia vario e spesso difficile, e dove a contare non poco è pure la diversa durata dell’impegno, che va ben oltre i rituali quindici minuti di un turno di prova, nonché la capacità innata di saper tenere, da parte del cane, sempre e in qualsiasi ambiente, il collegamento col conduttore – capacità di sapere sempre dove il conduttore si trovi che fa pensare a una particolare mappa mentale dell’animale e che non ha niente da spartire con quella ottenuta con metodi che nei campi di gara fanno ritrovare la via di casa (quando non combinano guai più seri) pure ai matti e agli scriteriati che navigano a vista…

Un cane armonico, elegante, tipico nel movimento, evidenzia e mantiene queste sue caratteristiche anche quando è provato dalla fatica. Perché, allora, è invalso l’uso di provare su campi e campetti levigati a biliardo invece che sui terreni accidentati delle campagne severe? Per quanto mi riguarda, sono e sarò sempre attento a quei setter (e, se ce n’è ragione, ne sarò tifoso) che sono andati, che vanno, a caccia sul serio e poi sono in grado di fare le prove una volta che vengono preparati.

 

Non sono tanti, lo so, questi soggetti che, a parte la proclamazione ufficiale, sono campioni veri proprio in quanto prima hanno superato un test importante e imprescindibile che è, appunto, la caccia cacciata. So anche che c’è chi continuerà a osservarmi: il mondo va da un’altra parte. Che ci vada. Ma alla mia cagna (non una presta utero qualsiasi) preferisco dare il cane del dilettante, scarsamente manipolato e titolato, ben dotato però di qualità naturali evidenti. Del campione sul conto del quale al momento tutti si fanno seghe mentali posso eventualmente ammirare l’impeccabile (quando non è palesemente robotizzata) prestazione sul campo, ma non mi basta se non mi è dato sapere quanto di lui è effettivamente dono di madre natura e quanto, invece, è opera di aggiustamenti vari protratti nel tempo. E poi, benedetta/maledetta curiosità, resta sempre da sapere come se la caverebbe a caccia, se ci va, se ci è mai andato, questo trialer che al momento è sulla bocca di tutti e del quale vorremmo un figlio per andarci prima di tutto a caccia. Sì, perché, anche se la caccia ormai non ha quasi più domani, c’è ancora gente che, collaborata da un setter degno, vorrebbe andare dietro a quella poca ma giusta selvaggina che passa il convento; gente che però ha anche le scatole piene dei figli di certi plurititolati campioni dai cui geni la "voce caccia", se non si è definitivamente cancellata, risulta certamente sbiadita. Sono ormai troppi gli eredi di queste teste coronate che devono essere scartati dal momento che corrono non perché è il naso a portare le gambe, ma sono più spesso le loro gambe a portare a spasso il naso.

Questo accade perché sono venuti alla ribalta cinofili, organizzatori, giudici, conduttori che poco sanno della caccia vera, classicamente intesa, ma che, pur sprovvisti di un adeguato sguardo onnicomprensivo di caccia e prove, ambiscono o pretendono di sedere allo scranno, imponendo regole e adottando criteri che portano a far un uso improprio del cane cacciatore e, quindi, col tempo, allo snaturamento delle razze

C’è un dato che dovrebbe far riflettere chi ha veramente a cuore le sorti del setter inglese. Il numero degli appassionati dilettanti che ancora frequentano contemporaneamente caccia e prove va assottigliandosi invece che crescere col rischio che resteranno a fare cinofilia venatoria i soliti quattro gatti; e questo per ingiustizie più o meno palesi a opera di taluni organizzatori e giudici, i quali, per ragioni che non sono mistero per nessuno, hanno un particolare occhio di riguardo per i cani dei conduttori di professione. A parte il resto, se c’è una qualifica alta da assegnare, sono questi ultimi a esserne i privilegiati destinatari. Il dilettante, di solito, si deve contentare dei resti. E, se proprio è bravo, può darsi che gli capiti di restare in zona medaglie. Ora, se un ottimo soggetto va seriamente a caccia e poi si dimostra all’altezza anche in prove, è questo soggetto che, a parità di prestazione, ha più titoli per essere segnalato e destinato alla riproduzione invece che essere svantaggiato, quando addirittura non degnato di alcuna attenzione, in favore di tanti setter truccati.

Questa "dresseurdipendenza", grave malattia morale che affligge la cinofilia venatoria odierna, porta certi giudici a convalidare prodotti che altrimenti dovrebbero essere respinti e messi alla porta, cioè esclusi dall’allevamento. Quei giudici che tengono questi comportamenti, per inadeguata competenza o carente autonomia di giudizio, tradiscono quella che è una loro specifica e basilare funzione: essere "notai dello standard".

Se chiamo in causa l’operato dei giudici si capisce perché. Sono essi l’anello terminale e allo stesso tempo iniziale della catena che si definisce selezione. Con la loro opera e i loro verdetti i giudici funzionano da filtro e, di conseguenza, nel bene e nel male, hanno grande, se non la più grande, responsabilità nel conservare le caratteristiche proprie di una razza. Nel nostro caso, quelle del setter inglese come standard comanda.

 

Si ringraziano il Prof. Vincenzo Celano e gli amici di www.setterfoto.com  per aver fornito l'articolo.

 

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