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AIW :UN POLO DI MEDIAZIONE Per una ragionevole tutela del paesaggio che non neghi i diritti del mondo rurale

aiw wilderness logo 475 1RURALIA O DEL POPOLO RURALE

“Sfrattarci dalla nostra terra per proteggere la natura è profondamente colonialista e dannoso per l’ambiente. Dovremmo essere i leader della conservazione, non le sue vittime.”
Archana Soreng
Attivista della gente Adivasi del Kerala, l’unico vero popolo indigeno dell’India
(in un discorso al Summit ONU sulla biodiversità)

APPELLO

UN POLO DI MEDIAZIONE
Per una ragionevole tutela del paesaggio che non neghi i diritti del mondo rurale

La difesa della natura in Europa non può prescindere dal mondo rurale. Questa sembra un’ovvietà, ma va ribadita fino a divenire quasi uno slogan del mondo rurale; uno slogan da rivolgere al mondo dei naturalisti, degli ambientalisti e degli animalisti in genere, visto che spesso sono proprio queste categorie a non esserne coscienti, ed anzi a vedere il mondo rurale come un nemico da combattere e da sconfiggere. Questo accade a volte perché si ignora la complessità e l’importanza delle attività rurali, ma anche per negazione di una realtà che troppi ambientalisti ritengono in contrasto con le loro idee e finalità, quasi sempre egoistiche e spesso presuntuose: la certezza di essere nel giusto, di avere la visione corretta del rapporto uomo-natura. Mentre ciò, invece, non solo non è, ma è anche errato pensarlo, perché questa visione è distorta ed è basata sulla negazione delle regole che stanno alla base della vita su questo Pianeta dove l’uomo non è mai stato un essere a sé stante, ma parte cruciale dello stesso complesso vitale. La diversità tra le componenti del variegato mondo biologico esiste, ma non come molti sedicenti ecologisti la intendono o la interpretano: esiste nell’intelligenza superiore dell’uomo, nel suo essere non solo animale senziente, ma anche pensante, ragionevole e in grado di elevarsi spiritualmente. Solo l’uomo ha delle religioni in cui credere, essendosi posto delle domande che nessun animale è in grado di porsi. Pur trattandosi di creature senzienti gli animali obbediscono soprattutto all’istinto, una condizione che non ha mai consentito loro un’evoluzione intellettuale e spirituale come invece è accaduto per l’uomo. Così come si riproducevano, si cibavano, impegnavano le loro giornate nel Paleolitico (per restare ai tempi dell’uomo), così, nello stesso identico modo gli animali vivono oggi. Al di là delle trasformazioni morfologiche o comportamentali dettate dall’ambiente, e da limitate forme di apprendimento culturale, essi non hanno vissuto alcun altro genere di cambiamento; soprattutto risultano privi di una evoluzione intellettiva. Cosa che invece è avvenuta per l’uomo, segno che forse, come sostengono quasi tutte le religioni e la maggior parte degli studiosi, l’animale uomo è un essere senziente superiore perché dotato della capacità di elaborare un pensiero razionale e spirituale in grado di distinguere tra bene e male. Ecco perché la Bibbia lo indica quale “dominatore’’ della vita. Non come un tiranno, ma l’unico in grado di presiedere al governo del mondo: “Coltivate e custodite” si legge nella Genesi (2-15) riferito all’uomo. Quindi, una creatura responsabile posta al vertice della piramide ecologica. Soltanto con equilibrio e ragionevolezza, infatti, l’uomo può “coordinare” la vita sul pianeta Terra. Non si tratta di antropocentrismo, ma di differenza nei ruoli e nel comportamento. Il mondo rurale rappresenta la sorgente della nostra evoluzione: senza quel mondo rurale oggi non esisterebbero le città, né l’uomo avrebbe la capacità di progredire nelle scienze, nelle arti, nella cultura. Ma non solo: senza quelle radici che lo portarono a creare quello che oggi noi definiamo “mondo rurale” l’uomo morirebbe di fame e la sua specie sparirebbe! E quindi, quasi per assurdo, senza quelle radici andrebbero in rovina anche le metropoli e tutto il sistema sociale e civile da esso creato!
E allora, perché di fronte ad ogni forma di sviluppo urbano e tecnologico gli interessi del mondo rurale vengono sottaciuti e calpestati?
Perché nel voler difendere la Natura, che è un concetto ideale, giusto e culturalmente elevato, si pretende quasi sempre di farlo calpestando i diritti del mondo rurale?
Perché ci si ostina a non voler comprendere le ragioni del mondo rurale quando accadono fatti ed eventi che lo danneggiano?
Per quale ragione la conservazione della natura, la preservazione della nostra varietà di flora e fauna, deve basarsi sulla negazione dei diritti del mondo rurale?
E’ mai possibile che non possa esistere un compromesso ragionevole che, pur soddisfacendo i diritti della cultura e della mutata sensibilità dell’uomo contemporaneo, non danneggi quelli del mondo rurale?
O forse è perché non lo si vuole trovare, in quanto trovarlo significherebbe dover rinunciare ad alcuni diritti della società metropolitana, ritenuti prevalenti, pur esistendo soluzioni compromissorie?
In definitiva, nella società di oggi, il mondo e il modello urbano, ritenuti culturalmente elevati, sono quasi sempre schierati contro la ruralità (vedasi il caso più eclatante della posizione animalista), senza rendersi conto che così staremmo semplicemente negando le nostre radici: e nulla è più deplorevole di un popolo che neghi le proprie radici e la propria storia! Purtroppo, in questo il modello urbano è vincente, anche e proprio per la forza che l’unità gli conferisce in quanto lobby capace di condizionare le scelte della politica. Di contro, il mondo rurale è diviso in troppi filoni, ed ognuno pensa solo ai propri interessi: e così sarà sempre perdente!
Almeno in Italia, l’Associazione Italiana per la Wilderness è praticamente l’unica associazione ambientalista che, sia direttamente che indirettamente, difende il mondo rurale, in quanto basa le proprie finalità conservazionistiche su una difesa pragmatica della natura selvaggia. Un’idea ispirata dalla cultura della cosiddetta civiltà aborigena americana, e quindi rigorosamente severa nella tutela delle terre vergini (o wilderness). L’AIW non nega però le radici comuni e quindi anche europee di questa esigenza conservazionistica. Esse sono quelle della cultura dei nativi, ma sono anche alle origini del nostro mondo rurale. Trasferita l’Idea in Italia e in Europa, l’Associazione Italiana per la Wilderness ha quindi saputo adattarla alla realtà rurale e fondiaria italiana (ma anche europea), con una soluzione conservazionista di alto livello liberal democratico che riesce ragionevolmente a conciliare sia le esigenze della società urbana sia quelle del mondo rurale. E forse proprio per questo è da sempre osteggiata da molti ambientalisti e dagli animalisti, che vi vedono una lesione di quelli che ritengono i propri diritti, le proprie esigenze, spesso talmente egoistiche da andare non solo contro quelle del mondo rurale, ma finanche contro quelle del mondo naturale; e ciò accade ogni volta che la crescente richiesta di spazi aperti delle genti urbane, vissuta ormai come “diritto’’ allo svago nel verde, si scontra con le esigenze del mondo rurale, e non poche volte anche contro quelle della fauna e della flora selvatiche che pure essi dicono di amare e di voler rispettare!
Non tutte le montagne, le vallate, le foreste, le paludi, le coste marine possono e devono divenire delle aree Parco quando presentano aspetti meritevoli di una forma di tutela. A volte basterebbero dei moderati vincoli paesaggistici; a volte basterebbero forme di protezione mirate e non penalizzanti il mondo rurale; a volte, ai diversi vincoli, si dovrebbe abbinare un rimborso o un indennizzo per perdite economiche, o un contributo per l’aggravio d’uso del territorio, qualora i vincoli imposti impediscano opere rurali inconciliabili con gli stessi; a volte la stessa prevalenza del mondo rurale può essere riconosciuta a garanzia di salvaguardia di beni ambientali che nel nostro territorio sono quasi sempre modellati dall’uomo per effetto delle antiche e sapienti pratiche del mondo rurale. A volte però è anche il mondo rurale che deve riconoscere la prevalenza di esigenze ragionevoli di altre categorie sociali o della Natura. Magari sarà sempre difficile stabilire dove stia la ragionevolezza delle scelte, anche perché è lo stesso mondo rurale spesso a porsi con intransigenze altrettanto non conciliabili con le istanze culturali, biologiche e paesaggistiche che, una società civile non può ignorare; per cui servono posizioni che siano ragionevoli. Ma se già si riconosce e si accetta l’idea che, quale che sia la scelta, essa deve essere ragionevole, allora forse si sarà già fatto il primo passo.

Un ragionevole compromesso, quindi. Ecco l’altro slogan di questo appello per una difesa dei diritti del mondo rurale.
La società urbanizzata, che pure vive grazie al mondo rurale, è quasi sempre avversa ad esso, sebbene non siano pochi i suoi membri a che il latte provenga dai cartoni del supermercati, che i salumi e prosciutti siano mero “cibo” insaccato in pellicole di plastica o che le scatolette per gli amati cani e gatti urbanizzati (peraltro prevalentemente a base di carni di pollo, coniglio e selvaggina!) siano soltanto bocconcini sfiziosi destinati alla loro gioia. Tutto ciò magari per sola mera mancanza di riflessione. Questa umanità che si ritiene a “impatto zero’’ sulla natura, quando abbandona le città per gli svaghi domenicali o estivi, pretende di avere aree protette riservate solo alle loro esigenze ludiche, anche a costo di calpestare i diritti del mondo rurale che in quelle aree vive e lavora! Purtroppo, di fronte alle proteste del mondo rurale, la politica difende quasi sempre i desideri del mondo urbanizzato solo perché rappresenta un consistente bacino di voti per quasi tutti i Partiti.
Il mondo rurale deve invece presentarsi unito per potersi trasformare in una consistente forza elettorale capace di incidere sulle scelte della politica. Solo questa unità gli consentirà di trattare e di trovare quei compromessi ragionevoli che il mondo ambientalista ed animalista rifiuta di concedere per egoistico interesse e per una supposta supremazia intellettuale che è la negazione stessa di una vera democrazia!
Unirsi in un impegno comune che rafforzi tutta la categoria. Questo è il “bacino di voti” che può influire sulla politica, quale che sia la linea partitica dei singoli. Non sappiamo se mai si riuscirà nel compito che ci piacerebbe intraprendere, ovvero cercare un punto d’incontro per un’unione che dia forza politica e sociale alle istanze che, da nord a sud, in quanto minoritarie e sfaldate, raramente vengono ascoltate dal mondo politico e mediatico e dalle autorità locali, anche perché osteggiate da tante forze ambiental-animaliste!
Tuttavia, se ci si potesse presentare con un’idea comune che miri a difendere gli interessi delle singole categorie (allevatori, agricoltori, boscaioli, raccoglitori, cacciatori, pescatori e ambiental-conservazionisti), forse si potrebbe ottenere maggiore appoggio sia dalla stampa che dalla politica. La condizione dovrà essere che il mondo animal-ambientalista capisca finalmente le ragioni e le esigenze pragmatiche del mondo rurale, mentre, di solito, c’è una netta chiusura dettata dalla volontà di prevaricare sulla parte più debole. Serve invece ragionevolezza e tolleranza da entrambe le parti. Con queste premesse noi proponiamo di partire e di lavorare, per il bene comune e nell’interesse di tutti.

Si ritiene di riportare, come appendice del presente Documento, il Punto 2 della «Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle zone rurali» approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 27 novembre 2018, il quale recita: «La Dichiarazione si applica a qualsiasi persona impegnata nell’agricoltura artigianale o su piccola scala, nella semina, nell’allevamento del bestiame, nella pastorizia, nella pesca, nella silvicoltura, nella caccia o nella raccolta e nell’artigianato relativo all’agricoltura o ad un’occupazione correlata in un’area rurale.»

Cabina di Regia del Veneto: Un bel tacer non fu mai scritto….

venetoAncora una volta le Associazioni venatorie debbono registrare, con rammarico, l’ennesimo strumentale tentativo di screditare la caccia. L’ultimo episodio è l’uscita del Consigliere regionale Zanoni (del Partito Democratico) che contesta la lettera Circolare della Regione Veneto di chiarimento su quelli che sono i limiti allo spostamento che devono essere rispettati dai cacciatori in vigenza della “regolamentazione Covid” in fascia arancione. La circolare, emanata anche sulla base di un parere della stessa Avvocatura regionale, nonché in linea con le ordinanze di Umbria ed ancor più di Toscana, Puglia e le FAQ dell’Emilia Romagna (che non sono guidate da Zaia ma dallo stesso partito del consigliere Zanoni), chiarisce che i cacciatori, per esercitare la caccia, possono spostarsi dal comune di residenza anagrafica solo a determinate condizioni e comunque sempre all’interno della regione, ovviamente nel pieno, rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza. Tutto ciò viene interpretato come un favore alla “lobby dei cacciatori”, quando invece è semplicemente una legittima e razionale applicazione dell’ordinamento.
Il Consigliere Zanoni dovrebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere la fondatezza delle argomentazioni e della posizione della Regione del Veneto. Ancor più dovrebbe sapere che, soprattutto in questo periodo di emergenza, la presenza del cacciatore sul territorio (presenza che, rammentiamolo, non comporta assembramenti o problemi di mancato distanziamento, essendo insito, nello svolgimento dell’attività venatoria, il distanziamento interpersonale) consente di tenere sotto controllo le emergenze sanitarie/veterinarie che minacciano gravemente i nostri allevamenti avicoli e suinicoli. Il cacciatore, infatti, deve per forza immergersi nell’ambiente, osservare attentamente i luoghi di caccia che frequenta; è quindi il soggetto che più di ogni altro è in grado di segnalare prontamente il rilevamento di animali morti o sofferenti, indirizzando l’intervento dei servizi veterinari.
Perché, allora, continuare a parlare di lobby dei cacciatori?

Le Associazioni Venatorie facenti parte della Cabina di Regia


FEDERCACCIA – ANLC – ANUU – ARCICACCIA – ENALCACCIA – EPS – ITALCACCIA

Piemonte: la Cabina di Regia inizia i suoi lavori occupandosi delle ordinanze di divieto di caccia a Premia e Bognanco

Due Sindaci del verbano, hanno emanato ordinanze per l’interdizione dell’attività venatoria a causa del comportamento scorretto di alcuni cacciatori. Trovando l’atto penalizzante per l’intera categoria dei cacciatori e ritenendo l’operato dei Sindaci un’intromissione dei comuni nelle competenze della Regione e dello Stato, la Cabina di Regia ha richiesto l’intervento della Regione e del Prefetto di Verbania in difesa dei cacciatori, riservandosi di adire alle vie legali in difesa dei propri associati.

 

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Toscana: Arci Caccia Grosseto e Siena dicono no ai depositi di scorie nucleari

toscana

I Presidenti Provinciali Arci Caccia di Siena e Grosseto hanno rivolto appelli alla politica e all'associazionismo perché si scongiuri il pericolo di vedere depositi di scorie nucleari nelle campagne della Toscana

Abbiamo appreso con grande perplessità, dagli organi di informazione, della presenza sul nostro territorio di un sito individuato dal Governo come possibile sito di stoccaggio di rifiuti radioattivi. Ovviamente, non vogliamo entrare nel merito delle considerazioni ingegneristiche e geologiche che abbiano condotto i tecnici a fare questa scelta, ma di sicuro è mancata la partecipazione al processo decisionale della popolazione e, a quanto apprendiamo dai giornali, anche dei rappresentanti delle istituzioni locali. I cittadini di questo spicchio della Provincia di Siena, tra le Crete, la Val di Chiana e la Val d’Orcia hanno sicuramente il diritto di sapere per quale motivo si è scelto un territorio tutelato con stringenti vincoli paesaggistici e la presenza di siti Unesco, destinato alle produzioni alimentari di pregio, a un tiro di schioppo da eccellenze come vino, olio, formaggi e bagni termali che non hanno certo bisogno di presentazioni. Per noi cacciatori, che viviamo il territorio cogliendone i frutti, la salute dell’ambiente è un principio irrinunciabile, per questo vogliamo capire ed essere sicuri che questa scelta sia davvero opportuna. Siamo consapevoli che, finché questi rifiuti saranno prodotti, da qualche parte dovranno essere conservati in sicurezza; ci chiediamo, però, se uno degli ultimi territori “integri” della Toscana, che fa da sfondo a centinaia di cartoline, sia il luogo più adatto. Per questo chiediamo che alla nostra richiesta di chiarimenti si uniscano le altre Associazioni Venatorie, le Associazioni Agricole, gli ATC, tutti i livelli istituzionali e la società civile, perché questo è un problema che non può non toccarci tutti da vicino.

Fabio Tiberini

Presidente Provinciale Arci Caccia Siena


La decisione del Governo di individuare in un’area del Comune di Campagnatico un sito di stoccaggio di rifiuti nucleari ci ha colto di sorpresa e sicuramente non ci trova d’accordo. La Provincia di Grosseto è un gioiello naturalistico che, dalla Maremma all’Amiata, accoglie ogni anno milioni di turisti attratti dalla sua natura incontaminata. Non siamo in grado di interpretare le ragioni tecniche che hanno portato a questa scelta, ma non possiamo accettarla. Noi cacciatori viviamo il territorio, gestendolo e vigilando sulla sua buona salute. Vista la nostra grande conoscenza e il profondo rispetto che proviamo per questa terra di olio, vino, prodotti caseari, carni biologiche e agriturismo, non possiamo assolutamente approvare un suo uso come discarica delle sostanze più pericolose mai concepite dall’uomo. Per questo, chiediamo alle Associazioni Venatorie, a quelle degli agricoltori, agli ambientalisti e a tutte le istituzioni, una mobilitazione generale per impedire che si compia un errore così imperdonabile, capace di minare la salute delle persone e l’economia di un’intera area della nostra Regione.

Renzo Settembrini
Presidente Provinciale Arci Caccia Grosseto

AIW - Far disperdere l'Orso marsicano... per salvarlo?

aiw wilderness logo 475 1Ma cos'hanno in testa questi "nuovi" ambientalisti?, verrebbe da chiedersi nel leggere quanto hanno più volte scritto, sostenuto e divulgato, sull'Orso marsicano. Le biblioteche di tutto il mondo di istituti, università e centri studi sulla fauna selvatica sono piene di libri, saggi, pubblicazioni scientifiche, che hanno sempre dimostrato come una popolazione esigua di animali non debba disperdersi, pena la sua estinzione; e che, caso mai, per cercare di salvarla, si deve fare di tutto per farla crescere di numero nell'area di sopravvivenza; e solo come ultima ratio se ne possono prelevare alcuni per creare nuovi nuclei a grandi distanze per evitare eventuali contagi nel caso di malattie. Guai, invece, far ridurre la sua presenza numerica nella sua core area per ottenere la dispersione altrove con eccessivi prelievi, e tanto meno gioire se la popolazione si disgrega e dà vita a quel fenomeno che i suddetti "nuovi" ambientalisti chiamano "espansione", mentendo sapendo di mentire. Tutto quanto finora pubblicato stabilisce anche un altro principio: se una piccola popolazione si disperde, la sua estinzione può dirsi SICURA! Ogni nuovo orso al Gran Sasso o alla Majella significa un orso in meno nella core area del Parco d'Abruzzo: questa è una regola matematica piuttosto che di biologia!

E invece, cosa dobbiamo leggere sui comunicati di associazioni animaliste italiane in merito all'Orso marsicano, animale che, appunto, ricade nella succitata casistica: «L’espansione dell’orso verso il PNGSML e la sua permanenza all’interno di questa meravigliosa area protetta meritano grande attenzione da parte di tutti (...). L’espansione della specie sulla catena appenninica è una delle condizioni necessarie a garantire la conservazione dell’orso marsicano a medio lungo termine cosi com’è ribadito dalle ultime ricerche sulla specie dell’Università di Roma e dalle prescrizioni contenute nel suo piano di tutela ( PATOM).» (Cfr. Comunicato stampa 28.12.2020 di Salviamo l'Orso).

Peccato che si sottaccia che non trattasi di "espansione" (fenomeno che avviene quando una popolazione cresce di numero) ma di "dispersione" (quando una popolazione si disgrega: fenomeno altamente negativo, in quanto viene ridotta la sua possibilità riproduttiva; si aumenta il rischio di uccisioni; si rende più difficile la sua protezione; si riduce la possibilità di una tutela del suo habitat di vita). Per fare un esempio, è come se quando in America decisero di salvare il Cigno trombettiere, il Condor della California, o il Furetto dai piedi neri, avessero favorito la dispersione dei pochi individui sopravvissuti in ristrette aree di vita (dove invece si è fatto di tutto per conservali e proteggerli)! Ne furono solo prelevati alcuni - anche per farli riprodurre in cattività -, e solo quelli utilizzati per ripopolare altre lontane località. Ma mai si lodò la dispersione dei nuclei sopravvissuti, né tanto meno la si favorì! In Abruzzo abbiamo dovuto più volte sentire dichiarazioni quali "gli orsi marsicani vivono meglio fuori dal Parco Nazionale d'Abruzzo" (dichiarazione fatta anche da alcune autorità), o di "grande attenzione che le recenti segnalazioni di orso all'interno del più grande parco nazionale dell'Appennino hanno suscitato"! Un "attenzione" che avrebbe dovuto essere segnale di pericolo per l'orso marsicano, non quasi di un successo! Ripetiamo: un orso al Gran Sasso è un orso in meno nel Parco d'Abruzzo sua storica zona dove la popolazione si era relegata!

Dichiarazioni, peraltro, oggi sconfessate da quella succitata, dove si asserisce, invece, che «L’espansione dell’orso verso il PNGSML (Parco Nazionale Gran Sasso-Monti della Laga) e la sua permanenza all’interno di questa meravigliosa area protetta meritano grande attenzione da parte di tutti.»! Come se lo storico Parco Nazionale d'Abruzzo non fosse più una "meravigliosa area protetta"! E quasi ad intendere che nella sua storica core area l'orso marsicano non vi possa più vivere ottimamente, e, quindi, se ne veda bene il continuo suo allontanamento verso altre aree ad esso esterne! A Yellowstone si è fatto di tutto per far crescere nell'ambito del Parco la popolazione di Grizzly, e solo dopo che la popolazione è aumentata di numero se ne è favorita l'espansione verso altre aree (addirittura autorizzando anche l'abbattimento di alcuni individui per ridurre i conflitti col mondo rurale).

Com'è possibile che si sostengano certe tesi senza neppure il timore di cadere nel ridicolo? Eppure, così da noi vanno le cose: quando si subisce una sconfitta, o la si riconosce o la si trasforma in vittoria giocando con le parole!

Se è questo l'ambientalismo del nuovo secolo, sprovveduti e sconosciuti che sconfessano autorevoli studiosi passati alla storia e maestri in tutte le università del mondo, sia con la loro presenza sia con i loro testi, allora vuole dire che qualcosa non funziona, visto che tutte quelle persone ed i loro studi vengono sconfessati. Se è così che si intende salvare l'Orso marsicano, allora forse c'è qualcosa di sbagliato nell'animalismo di questo nuovo secolo, dove, non per nulla, l'animalismo è cresciuto a scapito del conservazionismo, per cui un orso "barbone" per le strade di Pescasseroli (o di Villalago o di Lecce nei Marsi, ecc. ecc.) per loro vale quanto un grizzly nel cuore selvaggio dello Yellowstone!

Oggi, purtroppo per tanti "orsofili marsicani", due sono i VERI pericoli che minacciano questa residua ed esigua popolazione di orso bruno: la sua continua dispersione di individui e la conseguente disgregazione della popolazione originaria! Tutto il resto non è noia, come dice la canzone, ma segno di una gestione inefficace, di una perdita di tempo e di uno spreco di danari, quale che sia il finanziatore o il donatore!

Murialdo, 30 Dicembre 2020

Franco Zunino
Segretario Generale AIW

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