Amore grande
- Scritto da Cacciando
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" E’ ferma ",si disse,trasalendo.
" E’ ferma ",ripeté ancora a se se stesso,non sapendo se fosse stata solo una riflessione interiore – quasi che la propria mente volesse portare al di fuori di se quel suo profondo desiderio – oppure se quelle parole fossero state pronunciate realmente ad alta voce."Deve essere ferma ",disse nuovamente,e questa volta non vi furono dubbi. Udì distintamente le sue parole,anche se sembrava giungessero non da presso ma da molto,molto lontano." Fa’ che sia ferma,Signore " ma ora - il vecchio,più quieto - l’imperativo di un attimo prima si era
sommessamente trasformato in struggente preghiera.
" Non può essere altrimenti ",pensò ancora,quasi a convincersi che quanto desiderava non fosse solo frutto della sua forzata immaginazione.La cagna,infatti,ormai quasi cieca,dopo essersi attardata ai margini del bosco di farnia e quercia indecisa sul da farsi,di scatto si era bloccata,masticando quel debole effluvio a lei così familiare.Ed era entrata,quasi in punta di zampe e a memoria,in quel bosco e,contemporaneamente,per arcana magia,in ogni altro luogo percorso nell’arco della sua vita.
Una vita lunga ormai quasi quindici anni,trascorsa,quasi tutta,a godere anch’essa,al pari dell’uomo e forse anche di più,delle terre e dei luoghi della giovinezza,ormai ricordo sbiadito e confuso,del suo anziano padrone.Già,il suo padrone che ora vagheggiava con la mente cercando di immaginarla - statua immota e nello stesso tempo simbolo estremo di istinti vitali - tesa allo spasmo tra l’erica e il ginestraio della forra della " fontana vecchia ".
Quante volte l’aveva ritrovata lì,o appena più giù,nella macchia
di rosa canina,che quasi sempre,vi dico,quasi sempre,per chissà quale inspiegabile motivo,aveva dato ricovero alle Regine appena giunte,stelle scure nella scura notte,provenienti da paesi dell’est avvolti dal gelo." E’ ferma ", pensò di nuovo " ad alta voce ,quasi con la paura che se avesse pronunciato davvero quelle parole o anche se solo avesse provato ad immaginare,l’inaccessibile mistero non gli sarebbe stato svelato ancora una volta.E riandò con la mente,accarezzando con delicatezza il fucile che aveva tra le mani,a tutti gli anni trascorsi insieme alla vecchia Brina in quei prati,in quei boschi e in quelle valli,ognuno di essi metafora della propria vita che aveva visto ormai tutto : serenità,buio ed ora pacato riposo.Erano uccelli forieri di neve e di tempesta,muti testimoni di paesaggi sterminati ove far galoppare liberamente i propri pensieri,senza limite alcuno,senza doveri assurdi e privi di qualsiasi valore.Luoghi dell’intimo essere ove far accedere solo privilegiati compagni da far dissetare alla fonte più antica e sincera del mondo : l’amicizia,quella vera.
" E’ fermà ",ripetè,in un alito,a se stesso e per l’ennesima volta.Ma le gambe non volevano muoversi per raggiungerla;era come inchiodato in quel posto.Là dove,l’ultima volta,era stato ancora capace di cogliere il fiore venuto da lontano ,riportato,da Lei,leggiadra,a dirgli " Eccomi,sono di nuovo qui da te,con lei ancora una volta da te". Quante Regine nel corso degli anni aveva avuto in dono dai tanti compagni avuti,ma,soprattutto,grazie alla vecchia Brina e,un po’,anche grazie alla sua perizia della quale,comunque,mai aveva amato parlare oltremodo.Appena un cenno,giusto per soddisfare la vanità - a dire il vero,poca - del suo essere cacciatore vero.
" Ma la caccia,la vera caccia,è un’altra cosa e non starò a
spiegarlo a nessuno " si disse il vecchio.
" O lo si è,cacciatori,e ognuno,dentro di sé,conosce il significato profondo di questa parola oppure non lo siamo ed è inutile – sentenziò l’uomo un po’ categoricamente – anche solo provare a spiegarlo ". Poi,attraversato da un brivido - forse il freddo o chissà cos’altro – si scosse e,d’un tratto,comprese:
aveva paura di sbagliare.Forse credeva di non poter più ricevere quel dono dagli occhi bruni così come tante altre volte,invece,aveva meritato.Oppure aveva timore di pensare che Brina non fosse con lei,immobile,ma solo dispersa chissà dove,nel bosco.Ma,per Dio,era un uomo ed uomo deve sapere quando è arrivato il momento di decidere.E con la morte nel cuore,con la paura come compagna,lentamente si avviò nella direzione nella quale si era " persa " la cagna.A fatica entrò nel fitto sottobosco.I pruni ,l’erica e grossi rami di bassi quercioli gli impedivano il passaggio.E le frasche - che ormai incurante del dolere spostava velocemente per avanzare - gli sferzavano il volto e le braccia e non riuscivano a rallentarlo.
" Calmati - si disse – calmati o non riuscirai a trovarla ".E si fermò.Ed intanto,la neve che già si era annunciata con scrosci di pioggia gelida che quasi gli ferivano il volto,aveva cominciato,copiosa,a cadere,rendendo ancora più ardua la sua ricerca.Passò allora dinanzi ai suoi occhi,in un solo attimo,l’eternità.Fitte gli laceravano lo stomaco e dubbi la mente.Perchè aveva voluto portar la cagna ancora una volta nel bosco?Era Lei che voleva onorare per tutto quanto gli aveva dato nel corso degli anni passati insieme oppure era il suo egoismo di uomo che voleva ancora dimostrare qualcosa?
E il turbinio della neve era un tutt’uno con il turbinio
selvaggio dei suoi pensieri.Cos’era che lo aveva spinto di nuovo
in quei luoghi?Perchè,forse,con quella sua decisione far soffrire la sua amica di sempre?Era stanco,confuso,affranto;le ombre invernali cominciavano ad allungarsi e presto sarebbe scesa la sera.Avrebbe potuto chiamarla ma non osava :non voleva correre il rischio di rompere l’incantesimo e spezzare quell’esile ed invisibile filo che univa due animali : piume e pelo,forse,in quel momento lottavano ognuno seguendo il proprio istinto.L’uno,fiero,immobile e rotto a mille battaglie,pronto a
spiccare il volo che l’avrebbe portato verso la salvezza;l’altro,nevrile e tremante,ad inebriarsi dell’odore proveniente da steppe,tundre e foreste lontane.
Si risvegliò dal torpore che le sue riflessioni,il freddo e l’immobilità gli stavano procurando.Era ormai ora;non poteva più aspettare.Ed era ormai giunto anche il momento di svelare l’arcano che l’avvolgeva così profondamente.
Allora si mosse di nuovo… e non ebbe bisogno di farlo per tanto.
Davanti a lui,lì,nel fosso vicino la" fontana vecchia ",Lei c’era,tesa allo spasmo verso la macchia di ginestre e quercioli,macchia bianca anch’essa, indistinta nel candore della
neve che continuava a turbinare.E sembrava chiamarlo." Perchè non vieni?Io e lei siamo qui,ti stiamo aspettando.E siamo stanche,tutte e due,troppo stanche,dopo tutti questi anni.Non abbiamo più voglia di combattere ;e tu lasciaci andare,entrambe.
Aiutami;non rendere vano il mio sacrificio di oggi.Aiutami a non soffrire più.Non ci vedo ormai,quasi non cammino,non mangio.
Aiutami vecchio,compagno di mille avventure.Non lasciarmi ancora qui,al freddo della vita ".Lo supplicava.E lui obbedì e andò;gli ultimi passi pesanti come il piombo. E finalmente capì
ciò che già dall’inizio del giorno avrebbe dovuto essergli stato chiaro.
Sin da quando erano usciti da casa,insieme,quel mattino,era stato già detto che quello sarebbe stato il loro ultimo abbraccio.
Questo era quello che era stato stabilito per loro,da Qualcuno più in alto di loro,sin da quindici anni or sono,quando Brina era nata.
E quando fu vicino a Lei,Lei si accuccio ancor di più su se stessa,guardandolo con occhi che dicevano tanto,anzi tutto e rivelavano il trascorso di un’intera esistenza.Ma, " Grazie amico mio",fu l’unica cosa che il vecchio riuscì a vedere in quello sguardo colmo di amore e di gratitudine.
Il colpo quasi lo sorprese e squarciò il silenzio pregno di significati. E sembrò moltiplicarsi per tutte le valli del mondo,esploso da lui e da tutti quei cacciatori che,forse,un giorno avevano dovuto compiere,nello stesso modo,il medesimo gesto.
E la cagna smise di soffrire,senza un gemito,serena come era
sempre stata,mentre nell’ aere immota – d’un tratto s’era fatto un gran silenzio – un nobile uccello si librava in volo,portando con se,verso terre desiderate e distanti,l’amore estremo di un
uomo e l’amore estremo,incondizionato,di un cane.
E fu’ allora che il vecchio,con a fianco l’amica di sempre,pianse.
A Brina,amica per sempre
" E’ ferma ",ripeté ancora a se se stesso,non sapendo se fosse stata solo una riflessione interiore – quasi che la propria mente volesse portare al di fuori di se quel suo profondo desiderio – oppure se quelle parole fossero state pronunciate realmente ad alta voce."Deve essere ferma ",disse nuovamente,e questa volta non vi furono dubbi. Udì distintamente le sue parole,anche se sembrava giungessero non da presso ma da molto,molto lontano." Fa’ che sia ferma,Signore " ma ora - il vecchio,più quieto - l’imperativo di un attimo prima si era
sommessamente trasformato in struggente preghiera.
" Non può essere altrimenti ",pensò ancora,quasi a convincersi che quanto desiderava non fosse solo frutto della sua forzata immaginazione.La cagna,infatti,ormai quasi cieca,dopo essersi attardata ai margini del bosco di farnia e quercia indecisa sul da farsi,di scatto si era bloccata,masticando quel debole effluvio a lei così familiare.Ed era entrata,quasi in punta di zampe e a memoria,in quel bosco e,contemporaneamente,per arcana magia,in ogni altro luogo percorso nell’arco della sua vita.
Una vita lunga ormai quasi quindici anni,trascorsa,quasi tutta,a godere anch’essa,al pari dell’uomo e forse anche di più,delle terre e dei luoghi della giovinezza,ormai ricordo sbiadito e confuso,del suo anziano padrone.Già,il suo padrone che ora vagheggiava con la mente cercando di immaginarla - statua immota e nello stesso tempo simbolo estremo di istinti vitali - tesa allo spasmo tra l’erica e il ginestraio della forra della " fontana vecchia ".
Quante volte l’aveva ritrovata lì,o appena più giù,nella macchia
di rosa canina,che quasi sempre,vi dico,quasi sempre,per chissà quale inspiegabile motivo,aveva dato ricovero alle Regine appena giunte,stelle scure nella scura notte,provenienti da paesi dell’est avvolti dal gelo." E’ ferma ", pensò di nuovo " ad alta voce ,quasi con la paura che se avesse pronunciato davvero quelle parole o anche se solo avesse provato ad immaginare,l’inaccessibile mistero non gli sarebbe stato svelato ancora una volta.E riandò con la mente,accarezzando con delicatezza il fucile che aveva tra le mani,a tutti gli anni trascorsi insieme alla vecchia Brina in quei prati,in quei boschi e in quelle valli,ognuno di essi metafora della propria vita che aveva visto ormai tutto : serenità,buio ed ora pacato riposo.Erano uccelli forieri di neve e di tempesta,muti testimoni di paesaggi sterminati ove far galoppare liberamente i propri pensieri,senza limite alcuno,senza doveri assurdi e privi di qualsiasi valore.Luoghi dell’intimo essere ove far accedere solo privilegiati compagni da far dissetare alla fonte più antica e sincera del mondo : l’amicizia,quella vera.
" E’ fermà ",ripetè,in un alito,a se stesso e per l’ennesima volta.Ma le gambe non volevano muoversi per raggiungerla;era come inchiodato in quel posto.Là dove,l’ultima volta,era stato ancora capace di cogliere il fiore venuto da lontano ,riportato,da Lei,leggiadra,a dirgli " Eccomi,sono di nuovo qui da te,con lei ancora una volta da te". Quante Regine nel corso degli anni aveva avuto in dono dai tanti compagni avuti,ma,soprattutto,grazie alla vecchia Brina e,un po’,anche grazie alla sua perizia della quale,comunque,mai aveva amato parlare oltremodo.Appena un cenno,giusto per soddisfare la vanità - a dire il vero,poca - del suo essere cacciatore vero.
" Ma la caccia,la vera caccia,è un’altra cosa e non starò a
spiegarlo a nessuno " si disse il vecchio.
" O lo si è,cacciatori,e ognuno,dentro di sé,conosce il significato profondo di questa parola oppure non lo siamo ed è inutile – sentenziò l’uomo un po’ categoricamente – anche solo provare a spiegarlo ". Poi,attraversato da un brivido - forse il freddo o chissà cos’altro – si scosse e,d’un tratto,comprese:
aveva paura di sbagliare.Forse credeva di non poter più ricevere quel dono dagli occhi bruni così come tante altre volte,invece,aveva meritato.Oppure aveva timore di pensare che Brina non fosse con lei,immobile,ma solo dispersa chissà dove,nel bosco.Ma,per Dio,era un uomo ed uomo deve sapere quando è arrivato il momento di decidere.E con la morte nel cuore,con la paura come compagna,lentamente si avviò nella direzione nella quale si era " persa " la cagna.A fatica entrò nel fitto sottobosco.I pruni ,l’erica e grossi rami di bassi quercioli gli impedivano il passaggio.E le frasche - che ormai incurante del dolere spostava velocemente per avanzare - gli sferzavano il volto e le braccia e non riuscivano a rallentarlo.
" Calmati - si disse – calmati o non riuscirai a trovarla ".E si fermò.Ed intanto,la neve che già si era annunciata con scrosci di pioggia gelida che quasi gli ferivano il volto,aveva cominciato,copiosa,a cadere,rendendo ancora più ardua la sua ricerca.Passò allora dinanzi ai suoi occhi,in un solo attimo,l’eternità.Fitte gli laceravano lo stomaco e dubbi la mente.Perchè aveva voluto portar la cagna ancora una volta nel bosco?Era Lei che voleva onorare per tutto quanto gli aveva dato nel corso degli anni passati insieme oppure era il suo egoismo di uomo che voleva ancora dimostrare qualcosa?
E il turbinio della neve era un tutt’uno con il turbinio
selvaggio dei suoi pensieri.Cos’era che lo aveva spinto di nuovo
in quei luoghi?Perchè,forse,con quella sua decisione far soffrire la sua amica di sempre?Era stanco,confuso,affranto;le ombre invernali cominciavano ad allungarsi e presto sarebbe scesa la sera.Avrebbe potuto chiamarla ma non osava :non voleva correre il rischio di rompere l’incantesimo e spezzare quell’esile ed invisibile filo che univa due animali : piume e pelo,forse,in quel momento lottavano ognuno seguendo il proprio istinto.L’uno,fiero,immobile e rotto a mille battaglie,pronto a
spiccare il volo che l’avrebbe portato verso la salvezza;l’altro,nevrile e tremante,ad inebriarsi dell’odore proveniente da steppe,tundre e foreste lontane.
Si risvegliò dal torpore che le sue riflessioni,il freddo e l’immobilità gli stavano procurando.Era ormai ora;non poteva più aspettare.Ed era ormai giunto anche il momento di svelare l’arcano che l’avvolgeva così profondamente.
Allora si mosse di nuovo… e non ebbe bisogno di farlo per tanto.
Davanti a lui,lì,nel fosso vicino la" fontana vecchia ",Lei c’era,tesa allo spasmo verso la macchia di ginestre e quercioli,macchia bianca anch’essa, indistinta nel candore della
neve che continuava a turbinare.E sembrava chiamarlo." Perchè non vieni?Io e lei siamo qui,ti stiamo aspettando.E siamo stanche,tutte e due,troppo stanche,dopo tutti questi anni.Non abbiamo più voglia di combattere ;e tu lasciaci andare,entrambe.
Aiutami;non rendere vano il mio sacrificio di oggi.Aiutami a non soffrire più.Non ci vedo ormai,quasi non cammino,non mangio.
Aiutami vecchio,compagno di mille avventure.Non lasciarmi ancora qui,al freddo della vita ".Lo supplicava.E lui obbedì e andò;gli ultimi passi pesanti come il piombo. E finalmente capì
ciò che già dall’inizio del giorno avrebbe dovuto essergli stato chiaro.
Sin da quando erano usciti da casa,insieme,quel mattino,era stato già detto che quello sarebbe stato il loro ultimo abbraccio.
Questo era quello che era stato stabilito per loro,da Qualcuno più in alto di loro,sin da quindici anni or sono,quando Brina era nata.
E quando fu vicino a Lei,Lei si accuccio ancor di più su se stessa,guardandolo con occhi che dicevano tanto,anzi tutto e rivelavano il trascorso di un’intera esistenza.Ma, " Grazie amico mio",fu l’unica cosa che il vecchio riuscì a vedere in quello sguardo colmo di amore e di gratitudine.
Il colpo quasi lo sorprese e squarciò il silenzio pregno di significati. E sembrò moltiplicarsi per tutte le valli del mondo,esploso da lui e da tutti quei cacciatori che,forse,un giorno avevano dovuto compiere,nello stesso modo,il medesimo gesto.
E la cagna smise di soffrire,senza un gemito,serena come era
sempre stata,mentre nell’ aere immota – d’un tratto s’era fatto un gran silenzio – un nobile uccello si librava in volo,portando con se,verso terre desiderate e distanti,l’amore estremo di un
uomo e l’amore estremo,incondizionato,di un cane.
E fu’ allora che il vecchio,con a fianco l’amica di sempre,pianse.
A Brina,amica per sempre