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Due cacciatrici toscane alla ricerca di camosci!


Sono le 15.30 di un venerdì di novembre, squilla il telefono, è Arianna: " fra 10 minuti sono all’uscita di Barberino di Mugello, ci troviamo al solito parcheggio?"  Ormai è diventata consuetudine per le nostre uscite di caccia il trovarci  "al solito parcheggio".  Una di noi lascia la propria auto e allegramente si parte all’insegna di una nuova avventura. Siamo in perfetto orario, l’amica trasborda armi e bagagli nella mia macchina sorridendo sorniona al significato di "bagaglio minimalista". E dire che c’eravamo ripromesse di non portare tanta roba! Fra borse fucili e scarponi si è riempito la bauliera,.. e non solo. Siamo eccitate all’idea di un fine settimana in montagna a caccia di camosci. Io ho già vissuto più di una volta questa esperienza e comprendo l’eccitazione dell’amica che si appresta a cacciarlo per la prima volta. Arianna mi tempesta di domande; la sua prima volta e la sua agitazione le ho vissute tanto tempo fa, sono un ricordo ancora vivo, piacevole e indelebile. Insisto nell’alleggerire la sua tensione, sono certa che gli amici di lassù sapranno rendere il nostro fine settimana molto gradevole e la loro grande esperienza sarà d’aiuto in questa caccia per lei completamente nuova. Se pure si dovesse padellare sono certa che ci sarà offerta un'altra occasione. L’auto corre veloce e i nostri discorsi si alternano fra giornate di caccia e pettegolezzi sugli uomini, come sempre! Dopo nemmeno due ore ci chiama l’amico Luigi che s’informa di quanta strada si è percorso. Gli combiniamo uno scherzo. Con voce seria dico dispiaciuta che siamo in coda ancora dalle parti di Bologna da più un’ora, a causa di un incidente, e che non ce la faremo mai ad arrivare per cena. Dall’altra parte del telefono un attimo di silenzio, poi con voce sconfortata Luigi ci raccomanda comunque di non correre e di chiamarlo quando siamo in zona. E’ Arianna che tradisce la mia burla ridendo in modo sonoro. Dopo poco usciamo dall’autostrada, Arianna sfodera in modo ruffiano i suoi migliori sorrisi mentre io, in modo vigliacco, supero magistralmente tutta la colonna per girare allo svincolo, guadagnando così qualche minuto d’attesa. E’ buio quando finalmente arriviamo a destinazione, Luigi ci aspetta con il solito sorriso; dopo tanta autostrada è rincuorante! Entriamo nella sua casetta di montagna, portiamo i nostri bagagli nella camera matrimoniale messa a nostra disposizione. Ci accomodiamo in sala da pranzo per la cena, la moglie di Luigi ha cucinato carne di camoscio che basterebbe per un esercito, certamente ben informata dell’appetito proverbiale che le cacciatrici Toscane si portano al seguito. Siamo solo in tre a godere di questa prelibatezza e la si accompagna con un ottimo Teroldego d’annata, brindiamo in più occasioni alla caccia, chiacchierando allegramente di tutto. I primi sbadigli ci inducono ad accordarci per l’ora della sveglia. Ci congediamo. Arianna ed io indossiamo i nostri caldi pigiami e ci infiliamo in fretta sotto le coperte; siamo stanche per il viaggio, abbiamo poche ore di sonno e oltretutto il padrone di casa è un baro incallito……sempre in anticipo sulla sveglia. La notte, tra le calde coperte vola in modo veloce, mi pare di aver appena chiuso gli occhi e la voce di Luigi davanti alla porta mi sveglia di soprassalto. Lui è li, mani sui fianchi come un gerarca, già vestito da caccia. Mentre noi ci alterniamo in bagno, ci prepara la colazione. Sul tavolo torta di mele, marmellata e biscotti, thè e caffè. Prima di avviarci, per scaldarci dice, due caldarroste tenute in ammollo per almeno due lune nella grappa. Tremende! Usciamo da casa, in fila indiana ci incamminiamo tutte imbacuccate con lo zaino in spalla e le carabine nel fodero, ognuna attrezzata di alpenstock, il mio rigorosamente in Bambù. Ha una storia tutta sua questo legno fortunato, ricordo di una cacciata in Romagna e della sfacciata generosità di un contadino che alla mia timida richiesta di coglierne uno mi rispose: "Prendi pure quanto vuoi figliola…tanto non son miei".  Intanto, in una piccola piazzetta poco distante da casa, ad attenderci c’è Luciano, amico di Luigi, anch’esso cacciatore di camosci, ci accompagnerà in

quest’avventura. Picchietta nervoso con l’indice sull’orologio…. Abbiamo un solo minuto di ritardo e Lui, con rigore prussiano, ci rimprovera l’atroce mancanza! Sistemiamo gli zaini e i fucili nel bagagliaio di un fuoristrada, noi donne ci accomodiamo sul sedile posteriore; mentre i due discutono i dettagli della giornata di caccia che sta per iniziare Arianna ed io ne approfittiamo per schiacciare un altro pisolino. Dopo chilometrici sballottamenti la macchina si ferma. Siamo arrivati.
Noi ci stiracchiamo controllando le condizioni delle giunture ossee, pigramente indossiamo gli scarponi e prendiamo tutto il resto; è ancora buio e aspetteremo in paziente silenzio che schiarisca un po’. Fa freddo e a ogni respiro dalle nostre bocche esce vapore…il naso e le goti s’arrossano in pochi attimi; nel cielo uno spettacolo incredibile, ci sono stelle che non abbiamo mai visto laggiù in città. Bellissimo. Mi ritrovo così a pensare a quanti giovani, miei coetanei, che non godranno mai di questi momenti e di queste meraviglie, abbagliati, poveri loro, da sfortunate luci psichedeliche.  Sfodero la mia cultura in astronomia e indico agli amici le costellazioni dell’Orsa Maggiore e di Cassiopea. Partiamo in rigoroso silenzio. Raggiungiamo in meno di mezz’ora uno spuntone di roccia che sovrasta una valle molto ampia, qui ci fermiamo per controllare con il binocolo incollato agli occhi se ci sono i camosci. Il cielo ancora scuro tradisce in lontananza i primi chiarori dell’aurora, tutto è in silenzio, un piccolo mondo immobile. Incredibilmente inerte. Poi, piano piano, il monte si veste di colori, si riempie di vita. Piccoli uccelletti spuntano dai mughi, solo adesso, come investiti da improvvisa e collettiva frenesia si mettono in movimento. Sotto il sentiero alcuni camosci pascolano tranquilli. Raggi di sole ora feriscono l’occhio e scaldano il viso, è nato per noi un nuovo giorno. Laggiù, nel fondovalle, ancora tremule luci in un buio nebbioso. Concentriamo la nostra attenzione sui gruppetti di camosci che tranquillamente stanno pascolando, Luigi e Luciano controllano con il cannocchiale lungo alcuni animali lontani. Andiamo oltre. Ogni avvistamento fatto da me e Arianna esalta la nostra avventura, piano piano s’impara così a distinguere le femmine adulte dai maschi giovani, ogni nostro avvistamento è velocemente controllato dai nostri due accompagnatori. Hanno una velocità di valutazione impressionante… quello è un maschietto giovane, quella è una femmina, quella ha tanti anni e quell’altro promette bene. I nostri accompagnatori parlano sottovoce nel loro dialetto, ne comprendo solo alcune parole ma riesco in qualche modo a ricostruire le loro frasi fatte anche di molti gesti. Ci separiamo. Luciano scendendo nella valle sottostante accompagnerà Arianna alla ricerca di un camoscio di un anno…uno Jharling, io e Luigi ci alzeremo di quota e andremo alla ricerca di una femmina che abbia più di dieci anni. Pare che il mio accompagnatore abbia già un’idea di dove trovare questa femmina.  Per ora vediamo una grande quantità di giovani maschi, di femmine con piccoli e di alcuni Jharling, animali che Luciano decide di non disturbare. Riprendiamo gli zaini e i bastoni, fucili in spalla e ci avviamo ognuno per la propria meta. Il mio accompagnatore m’invita a camminare posando il piede su rocce intere, senza incespicare e senza calpestare sfasciumi per non destare allarme tra i camosci.  Intanto il sole si è alzato in cielo e i camosci iniziano ad apparire in ogni punto della valle. Sono davvero parecchi. Attraversiamo alcuni canaloni, larghi poche centinaia di metri, a ognuno di questi dedichiamo un po’ di osservazione. Tanti camosci ma nulla che interessi il mio accompagnatore. Si arriva così, dopo aver camminato per un’ora buona tra pietraie e pini mughi, su una piccola cengia che si affaccia su un pianoro, un pascolo brullo lungo forse cinque o seicento metri. Il mio cacciatore rallenta il cammino e alzandosi in punta di piedi ogni due passi cerca di scoprire, senza essere scoperto, se su quel pianoro ci sono camosci. Dopo solo alcuni

passi si abbassa bruscamente e si gira verso di me portandosi l’indice davanti alla bocca, nel consueto gesto che invita all’assoluto silenzio. Sottovoce mi dice che la femmina che interessa noi è proprio lì, a meno di cento metri, che pascola tranquilla in compagnia di alcuni animali giovani. Cerco invano un punto d’appoggio per sparare ma, contrariamente a quanto m’aspettavo, Luigi m’invita a desistere, cercando invece una buona posizione per il tiro sulla via di fuga che quella femmina seguirà nel momento che, allarmata, si accorgerà della nostra presenza. Scendiamo in modo guardingo per alcune decine di metri e sistemo lo zaino su uno spuntone di roccia che domina buona parte del canalone sottostante. Il mio accompagnatore si accerta che la sistemazione sullo zaino sia sufficientemente buona e mi spiega che, la femmina, prima di scendere nel canalone, di certo si fermerà sul sentiero per osservare la via di fuga nel canalone sottostante. Certo della mia buona posizione per il tiro Luigi risale il sentiero verso il pianoro, calpestando volutamente in modo rumoroso lo sfasciume. Subito sulle rocce sopra di noi compare la femmina seguita da alcuni camosci giovani. Ora il mio accompagnatore guadagna svelto la posizione al
mio fianco e mi indica di concentrare l’attenzione verso la femmina che ha scelto, ma di non sparare fino a che la stessa non si sia fermata sul sentiero sottostante. Mi passano i camosci tanto vicini da leggere nei loro occhi bruni la meraviglia e lo spavento. Lei, come previsto si ferma, è li, forse a ottanta o cento metri; cerco in modo frenetico di inquadrarla nell’ottica del fucile ma non la trovo. Mi agito, il cuore pare voglia scoppiarmi nel petto, Luigi se ne accorge e sorridente mi tranquillizza. Finalmente riesco a inquadrarla nell’ottica del fucile. Dai movimenti e dalla posizione del camoscio che Luigi pazientemente mi descrive, acquisisco la certezza che ciò che sto mirando è il capo giusto da abbattere. Armo lo steker e aspetto che si metta in "blatt"….a cartolina….. Ora, ora o non più! …. Porto svelta la croce sulla spalla e delicatamente lascio partire il colpo. L’animale colpito ha un sussulto, guarda meravigliata e incredula verso di noi, vede inutilmente la salvezza sottostante, poi cede sulle zampe posteriori e crolla. Il terreno è in forte pendenza e la mia conquista inizia a scivolare verso il basso, accompagnata dalla mia supplica …fermati…fermati..fermati. Alcune decine di metri più in basso un pino mugo frena la sua caduta impigliandola nei rami bassi, un abbraccio mortale. Luigi controlla con il binocolo che il camoscio sia morto, strappa tre rametti da un rododendro ai piedi dello spuntone e me li offre sulla lama del coltello, accompagnando il gesto con un sorridente Weidmannsheil. Trattengo a stento una lacrima ma gli occhi lucidi tradiscono la mia emozione; il mio accompagnatore comprende il sentimento che affiora …..e stempera la tensione offrendomi la fiaschetta della grappa! Trangugio ad occhi chiusi una scudisciata di almeno 50 gradi. Lascio trascorrere alcuni minuti che mi sembrano un’eternità, poi, con mani tremanti, accendo il telefono. Arianna che è appostata alcune centinaia di metri più in basso ha sentito di certo lo sparo e vorrà sapere. Pochi attimi e il telefono squilla…con voce tremula biascico: L’ho presa, la mia camoscia è morta. M’accorgo che le lacrime mi riempiono gli occhi. Lui per pudore ignora sbinocolando lontano. Scendiamo verso la mia preda, non è facile arrivarci, il punto dove si è fermata è molto scosceso e le vertigini di certo non mi aiutano. Luigi se ne accorge e m’invita alla prudenza. Intanto una compagnia di escursionisti percorre lo stesso sentiero, dove ci siamo appostati per sparare il camoscio, si sente il loro vociare poco distante. Una signora di questa compagnia, vestita di un giallo sgargiante, informa a squarciagola il resto della truppa della sua urgente necessità di fare pipì….. Noi stiamo eviscerando la nostra bestia e la signora in questione, ultima della fila, manifesta la volontà di soddisfare le sue necessità proprio sul sentiero, sopra di noi. Rapido scambio di occhiate io e il mio boss e ci

poniamo davanti alla camoscia in modo da nasconderla alla vista della donna, una veloce ripulita del sangue sulle mani e con un sorriso degno del miglior dentifricio salutiamo la signora che si informa se la nostra presenza è dedicata alla ricerca di fiori o di funghi. Luigi soddisfa le sue curiosità raccontandogli un sacco di balle e la signora è costretta a provvedere ai suoi bisogni in luoghi più appartati. Aspettiamo che sia ben lontana e ridiamo di gusto sull’accaduto. Ora mi godo in pace la mia preda accarezzandola, le metto in bocca un rametto del rododendro offerto dall’accompagnatore. Alcuni minuti di silenzio per spiegare ciò che si ha nel cuore. Il mio accompagnatore rispetta questi momenti e ritarda le operazioni per sistemare il camoscio. Osserviamo i 12 anni di questo animale e proviamo ad immaginare quante tormente e quante insidie ha dovuto superare, e quanti figli avrà generato. Luigi ora ha il compito di portare questo peso fino al punto di ritrovo con Luciano e Arianna, poi da lì fino alla macchina. Ci dividiamo i pesi. Nel mio zaino trovano posto tutte le cose sue e nel suo, più capiente, ci mette il camoscio. Entrambi pesano un’esagerazione. Ci incamminiamo. Dopo alcuni passi sentiamo uno sparo. Arianna ha di certo trovato il suo camoscio. Riaccendo il cellulare e aspetto una sua chiamata, non voglio disturbare questi suoi momenti di grande emozione e di riflessione che seguono la cattura del suo primo camoscio. Questi attimi sono quelli che si ricordano per tutta la vita, sono molto diversi dalla tensione che si avverte prima dello sparo. Quelli sono momenti frenetici, vissuti con quell’istinto che la caccia tramanda da generazioni,… quell’indescrivibile voglia di possedere la preda. Sono gli attimi che seguono che ci riportano ai nostri tempi, che ci differenziano dalle necessità primordiali ma perpetuano il senso della caccia; quello del ritorno ai tempi della necessità con la coscienza, e la fortuna, che non si ha questo bisogno. Arianna chiama. Il suo accompagnatore sostiene che lo Jharling è andato! C’è confusione di voci al telefono. Arianna insiste nell’affermare che durante lo sparo l’ha visto cadere e, anche se la distanza era notevole, ha avuto la sensazione che il colpo fosse perfetto. La presa in giro di Luciano si risolve con una sonora risata da parte del mio accompagnatore e la spiegazione del fatto che da loro, l’essere "andato", sta anche a significare l’essere morto. Luciano ci comunica che ritarderà un poco il ritorno poiché le operazioni di recupero saranno alquanto laboriose, visto la distanza del tiro e il terreno impervio. Decidiamo di aspettare il loro ritorno su un’altura che domina la valle in un anfiteatro maestoso. Mentre mangiamo un panino, Luigi, mi indica tutte le cime che la catena montuosa presenta. L’occhio spazia per chilometri, in lontananza anche i ghiacciai del Bernina Svizzero. Intanto un tiepido sole di novembre ci tiene compagnia. Dopo un’oretta Arianna e Luciano ci raggiungono, sul viso felice di Arianna i segni della stanchezza. Luciano invece, con il camoscio nello zaino e la carabina a tracolla sembra di metallo inossidabile. Nessuna smorfia. Fresco come appena partito. Sulla via del ritorno noto nel pascolo sottostante alcune palline bianche dalla forma famigliare, mi avvicino a una di esse e noto che sono gli stessi funghi che da noi in Toscana sono chiamate "Vescie", mi faccio dare un sacchetto da Luigi e comincio a raccogliere quelle più fresche, tra lo stupore dei nostri accompagnatori che già si rifiutano, scuotendo vigorosamente la testa, di assaggiare quello che per loro rimane un fungo velenoso. Questa sera invece, preparate con un po’ d’olio d’oliva e uno spicchio d’aglio saranno un degno contorno al fegato di camoscio. Scattiamo alcune fotografie per ricordare questa meravigliosa giornata e si risale in macchina per il tragitto di ritorno. Chilometrici sballottamenti a ritroso. Arianna intanto ci racconta ciò che le è accaduto mentre percorreva il sentiero per raggiungerci. Incrociando una signora, vestita di giallo sgargiante, questa le ha chiesto come mai fosse vestita completamente di verde, complimentandosi di come questo

abbigliamento, dalla foggia inusuale per una donna, le donasse molto. Arianna, con la spontaneità di sempre, informò la signora in questione di essere una cacciatrice, vestita da cacciatrice, oltretutto una cacciatrice particolarmente fortunata visto l’abbattimento del primo camoscio…..  Alla vista della testa camoscio sporgente dallo zaino, la signora, fortemente indispettita,  bofonchiando qualcosa di incomprensibile si allontanò svelta. Intanto, con un altro po’ di sballottamenti il fuoristrada ci riporta nel piccolo paese di poche anime. Rientriamo alla casa di Luigi. Luciano s’incarica di scendere in una località della valle, dove ha la sede il Comprensorio, per sottoporre i camosci abbattuti alle operazioni serali di verifica, mentre noi donne ci attrezziamo per preparare la cena. Arianna mi assiste nella preparazione del fegato di camoscio con le cipolle e della cottura dei funghi raccolti lassù. Ci improvvisiamo cuoche. Mentre taglio le cipolle per il soffritto, Luigi, certo di non essere seguito, scende nella sua cantina segreta e ritorna con una bottiglia di Gewurztraminer per l’aperitivo e una di Lagrein per la cena. Ci tiene alla segretezza della sua scorta di vini quest’uomo. Deve averne di preziosi; chissà che un giorno non dimentichi la chiave nella toppa…. L’acqua ora sta bollendo, il mio accompagnatore e padrone di casa versa la giusta quantità di sale e inizia così la paziente preparazione della polenta, alimento sacro per queste genti. Ci viene intanto raccontata la storia di questa valle, caratterizzata da secoli di isolamento, dovuti soprattutto alla difficoltà di superare una gola rocciosa particolarmente impervia in fondo alla valle, attraverso  la costruzione di una strada percorribile con i carri per lo scambio e il commercio delle merci. Le ristrettezze economiche e la mancanza di scambi culturali, a detta di Luigi, ne hanno forgiato il carattere nei suoi abitanti, cordiali e tenaci, apparentemente scontrosi, ma abituati alla sopravvivenza in ambiente aspro e ostile come la montagna. E così ci sono illustrati gli usi e i costumi, le abitudini alimentari, la raffinata capacità nella sapiente produzione dei formaggi, in tutte le loro varietà, apprezzati ormai in ogni parte d’Europa. Luciano intanto è di ritorno con i camosci sottoposti alla verifica.  Il fegato con le cipolle sprigiona nella cucina un profumo acre e delizioso, la polenta ormai cotta è versata sull’apposito legno. Si mangia. Si trascorrono così le prime ore della sera in grande allegria raccontandoci le grandi emozioni di questa giornata, arricchita di particolari ad ogni passaggio. Il sole ora scompare dietro le montagne e offre uno spettacolo di colori incredibile. Esco sul terrazzo di casa che si affaccia sulla valle. Le montagne ora si tingono di rosa in uno spettacolo che la periferia della città mi ha sempre negato. Arianna e Luciano ci raggiungono in silenzio, solo il piccolo ruscello che scorre a pochi passi da casa sussurra il suo cammino. Weidmannsheil Arianna, complimenti amica mia. Brindiamo tutti

insieme ai nostri camosci.

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