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Hasty

Non mi ricordo se allora ero io che avevo chiuso la porta alla vita o era lei che aveva deciso che era l’ora che l’abbandonassi.
Comunque ero ancora sulla sedia a rotelle quando rividi passeggiare un pointer lungo la strada,
con sguardo mite venire verso di me e posare il muso sul mio ginocchio.
Sembrava la mano di  mio nonno che mi accarezzava  e raccontava di quei giorni nei boschi con lui a cercare di rubare con gli occhi gesti e rituali che alle donne non erano concessi.
Fu così che ricercai nella mia vita quel muso, stetti a lungo con chi allevava quella razza imparando a capire quanto e cosa potevano darti. La mia prima compagna fu una grande maestra.
Docile e mansueta a casa, abile  ladra di panini e brioche che spesso amava nascondere nel mio letto in perfetta fila e accudire come teneri e fragranti cuccioletti, ma feroce e indomabile durante la stagione venatoria.
La prima volta che la sganciai tanta era la voglia di andare che partì e non riuscì a fermarla se non a pomeriggio inoltrato.
Quanta passione aveva nel cuore.
Se le mettevo il campanaccio si bloccava e mi guardava convinta di poter essere ottimo ausiliare più senza che con. E tale è  sempre stata.
Quanta forza e quanto coraggio dimostrava nei riporti e nella cerca nei boschi, era più lei ad accudire me e a dirmi la strada che io a condurla sui crinali.
Quanto calore mi dava quando dormiva ai miei piedi  mentre aspettavo il sorgere del sole nelle tese giornate di apertura.
Non abbaiava mai. Solo una volta successe, quando provai a farle fare una monta, mi morse anche, e forse fu un bene se non volle, non sarei più riuscita a trovare neppure nel suo sangue tanto amore, tanta cura, tanta passione.
Ogni volta che ripercorro i sentieri intrecciati dai ricordi della sua cerca, ogni volta che cinicamente penso a come sia inutile andar per boschi dopo che tutti han fatto carniere all’aspetto il giorno prima, ripenso sempre all’ultima volta che mi ha accompagnato a caccia.
Lei ormai vecchia canuta e quasi sorda, seguiva con gli sguardi i miei stati d’animo e i miei cambi di percorso; avevo preso l’abitudine di buttarmi a quel tempo nel bosco senza pensar troppo a dove andare, seguendo i ricordi più che le pietre segnate di rosso. E lei sembrava seguire quel passo sconnesso con cerche svogliate e perplesse fino al momento in cui il suo naso percepiva l’emanazione.
Quel mattino non fu come gli altri, sembrava voler dire che la vita, anche all’ultimo e forse perché proprio all’ultimo, va vissuta al massimo, togliendosi anche il respiro.
Entrò nel bosco sicura e pensierosa subito attenta a qualsiasi fiato.
Scomparve, tornò dopo estenuanti zig-zag davanti al mio cammino come una cucciolina, rincorrendo una coppia di giovani daini che scalciavano al vento gioiosi per farle capire quanto ancora nelle loro gambe ci fosse vita da correre.
Non sparai, e lei si arrabbiò. Davvero, corse dietro al selvatico e poi, tornando affannata, mi guardò offesa. Si immerse nuovamente negli umori del bosco con più rabbia e sparì per un po’.
Mi illudevo di ritrovarla presto, mimetizzata nelle ombre dei faggi,  dietro chissà quale emanazione, ma nulla.
Sentivo il suo passo frusciare tra le foglie finchè giunte quasi alla vetta, in un paesaggio lunare e abbagliante la vidi arrampicarsi rabbiosa di fronte a me sul crinale, incurante delle pendenze e del mio terrore per le altezze.
Fermò appena arrivata in cima. Potei solo seguirla con gli occhi e immaginare la possibile traiettoria e sperare di colpire da lontano i cuturni così temerariamente serviti. sparai.
Il volo rotto di uno dei tre mi fece intuire di aver colto il bersaglio.
Scomparve e anche lei nei rocciosi pendii.
Attesi a lungo. Tornò col bottino nel muso. Fiera e pensosa. Ma non volle credere di aver terminato la giornata. Partì subito in cerca di nuova selvaggina.
Scendemmo e tornammo nei boschi, il paesaggio divenne meno impervio e gli alberi facevano intravedere i primi pascoli.
Al limitare del bosco, tra le felci, una cerca improvvisa e una ferma catalettica mi fecero capire che aveva individuato una beccaccia. Non feci a tempo a imbracciare che volò e lei subito dietro la rifermò. Mirai diretta alla beccaccia e lei cadde. La riportò barcollando. Stanca. Scendemmo cautamente a valle. Giunti alla macchina la caricai e lei tranquilla sembrò cercare subito riposo.
Qundo giunsi a casa e volli richiamarla al canile non si mosse.  Aveva dato tutto in quel bosco, la sua gioventù, la sua esperienza della maturità, la sua stanchezza nella vecchiaia. Mi aveva dato la vita e mille emozioni. Come avrei fatto senza di lei ora?
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