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Incontri

La sera del 2 ottobre 1957 visto il tempo bello e stabile, malgrado un leggerissimo vento di mare, decido per l'indomani di salire al Colle de la Seigne in cerca di pernici bianche.
Dalla chiusura dell'albergo ci siamo trasferiti nell'ospitale casetta, regno della nonna Agnese che sempre è la prima a scendere per accendere la stufa e preparare la colazione.
Alla partenza mi saluta con l'invito "Sii prudente e attento, non rischiare passaggi difficili, torna all'ora stabilita" e la solita domanda "Quale percorso fai?". Quando uscivo solo, ed era quasi sempre, questo era estremamente importante: in caso di mancato ritorno all'ora stabilita avrebbero saputo dove cercarmi; in allora gli unici mezzi di comunicazione erano la voce e le fucilate.
Parto dal Purtud che il cielo sulla Valle Veny inizia a schiarirsi e, a fatica, con la vecchia Ballilla a tre marce raggiungo le baite di Lex Blanche. Mi fermo lungamente ad ammirare lo spettacolare paesaggio delle guglie dell'Aiguille Noire de Peuterey, dell'Aiguille Blanche e della vetta del Monte Bianco che si stagliano contro il cielo azzurro cupo mentre le stelle stanno scomparendo: è una visione stupenda!
Il freddo si fa sentire, risalgo in macchina, riavvio il motore, scendo la breve rampa che mi porta all'imbocco del Vallone di Lex Blanche e, prima dell'insicuro ponticello, parcheggio.
Zaino e fucile in spalla, la fedele doppietta Beretta 411 con le canne corte, inizio la salita del sentiero che poi corre parallelo alle Piramidi Calcaree. Spero, qualche volta accade, di incontrare qui le pernici bianche e, quindi, la salita è lenta: sono frequenti le fermate ad ascoltare l'eventuale canto e ad osservare con il binocolo.
Ho quasi raggiunto il piccolo edificio delle fu Guardie di frontiera, edificato negli anni '30, quando il canto delle bianche giunge al mio orecchio. Cerco l'avvicinamento ed improvvisamente il frullo: sono sette o forse otto pernici che si staccano da terra frazionate, ne punto una, padello la prima fucilata ma non la seconda. E' uno splendido uccello già in cambio di livrea, mezzo grigiastro e mezzo bianco, di buon peso. Non cerco la rimessa nei pericolosi e quasi impraticabili calanchi di terra nera e riprendo la lenta salita verso il colle.
E' iniziata l'epoca del passo degli uccelli migratori e già si sente il canto di qualche allodola in transito dall'Italia verso la Francia, da est ad ovest. Rammento di aver osservato, nella seconda metà del mese di ottobre, giornate con un forte passaggio di uccelli e da tempo pensavo ad una specifica giornata di caccia, ma mai sono riuscito ad effettuarla.
Salgo lentamente con l'occhio sempre sul terreno quando improvvisamente osservo, sul crinale roccioso verso la Golletta de la Seigne, quello che mi sembra essere un camoscio fermo ad osservare. Mi getto a terra ed impugno il binocolo ma no… è un'aquila reale! La osservo per qualche minuto sino a quando, allargate le ali, si getta nel vuoto veleggiando verso la bassa valle, quindi verso di me e quasi contemporaneamente emerge da dietro il colle una seconda aquila.
Pochi secondi e le due aquile, lentamente, mi sorvolano a non più di 70 metri, bellissimo e unico spettacolo, si ripeterà solo cinquant'anni dopo nel Parco regionale ligure del Beigua.
Rimango ad osservare la scomparsa dei due rapaci e riprendo la salita, giungendo al Colle de la Seigne dove percorro lentamente le teppe erbose del vasto colle senza incontrare alcuna pernice.
E' giunta l'ora della colazione, risalgo verso il rifugio des Glaciers, trovo una piccola conca al riparo del venticello e preparo il fornello a Meta per il solito finale the caldo, fatto con l'acqua recuperata sciogliendo la neve. Due uova sode, cubetti di marmellata solida Zuegg ed i cracker Pavesi costituiranno la colazione.
Sono seduto sull'unico tratto erboso al fondo della conca e lo sguardo vaga nel cielo alla ricerca dei gracchi corallini e del possibile ritorno delle due aquile, quando la mia attenzione è attirata da un qualcosa che, per un brevissimo istante, è apparso tra le pietre.
Allento il respiro e rimango immobile, osservando solo il bordo della conca, almeno quello che riesco a vedere senza nemmeno muovere il capo.
Passano pochi secondi quando appare la testa e poi il corpo flessuoso di un ermellino che, curioso, è venuto ad osservare un intruso probabilmente mai visto. Gira attorno saltando sulle pietre, a corona della piccola conca, e mi osserva a lungo sempre saltellando con brevi soste, poi scende, si avvicina, osserva attentamente, si gira, risale e scompare. Non è la prima volta che mi accade a conferma dei racconti dello zio Aldo sulla curiosità di questi piccoli e simpaticissimi mammiferi che, all'inizio delle nevicate, mutano il manto da bruno-rossiccio a bianco, mantenendo sempre nera l'estremità della coda.
Rammentando un altro insegnamento dello zio decido allora di provare a richiamare le pernici bianche con il metodo del pettine che affermava "a volte funziona ": passare il pollice sui denti di un pettine da capelli, scelto quello più idoneo fra i tanti. Il "richiamo" così generato poteva attirare le pernici presenti nell'area.
Prima provvedo ad un'attenta osservazione con il binocolo, senza notare alcun selvatico, salvo le solite marmotte e nemmeno alcun essere umano presente nell'alta valle. E' iniziato il mese di ottobre, le mandrie hanno abbandonato gli alpeggi il sette di settembre, la Guardia di Finanza il quindici ed anche il Rifugio Elisabetta ha chiuso.
Provoco il "canto" con due tre passate ripetute ad intervalli di qualche minuto e, nel mentre, provvedo alla colazione accompagnata dall'ottimo the molto caldo.
Mi corico, la solitudine è immensa, sono felice sino a quando mi torna alla mente rattristandomi, il ricordo dell'amico e maestro Arturo Ottoz che, travolto da una valanga di ghiaccio, é scomparso nel serracco terminale del ghiacciaio della Brenva nell'agosto dell’anno prima. Grande uomo, leader dell'alpinismo e dei cacciatori a palla valdostani.
Vago con la memoria a tutto quello che mi ha insegnato e poi quasi mi appisolo quando il canto delle pernici mi giunge nitido e forte all'orecchio e, subito dopo, due splendidi uccelli compaiono contro il cielo sul margine delle pietre della conca. Rimango immobile quasi senza respiro ed altre tre si aggiungono alle prime. Sono a sei sette metri, è meraviglioso e la livrea che sta mutando le rende bellissime nel loro piumaggio misto grigio striato e bianco con la visibilissima caroncola rossa sopra l'occhio.
Passano non molti secondi e, silenziose come sono arrivate, scompaiono. Le lascio andare, non desidero rompere l'incanto e rimango, per qualche secondo, disteso, con negli occhi la splendida visione; poi mi alzo sulle ginocchia per vederle lentamente allontanarsi nella pietraia.
E' stata veramente una bella giornata, indimenticabile, mai avrei pensato a simili ravvicinati incontri che oggi, a distanza di oltre cinquant'anni, forse sono difficili se non impossibili.
La caccia è anche questo.
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