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La cagnara e il silenzio

              

Di preciso non so’ che anno era, ma il periodo si riferisce verso la metà degli anni’70.

In paese, i bar fungevano da ritrovo per i cacciatori ,ed ogni squadra di sausat (segugisti) era legata sentimentalmente e rigorosamento al bar rione di appartenenza, la rivalità era accesissima.

Abitavo sopra ad uno di questi bar, e mi ricordo chiaramente la cagnara che facevano tutti quei cani legati in strada al palo dello stop; era ancora buio ma sui banconi del bar spadroneggiava il grisvert (grigioverde=grappa e menta) come fosse un rituale. Avevo sei o sette anni , l’autunno era autunno, l’inverno era inverno.

Dalla finestra scorgevo la foschia e udivo la cagnara dei cani, e soprattutto quella dei cacciatori pieni di adrenalina e grisvert ,che si incamminavano a piedi per l’inizio della classica battuta alla lepre, ogni squadra la sua zona prestabilita da una regola non scritta. La scintilla rea schioccata!

Dal mio letto trepidavo per la canizza, tornavo alla finestra, era una spola continua fino alla luce del mattino. Mio padre che sentì il mio via vai ad un certo punto mi disse :" va che la legura la vè mia in paes" (va che la lepre non viene in paese, me lo ripeteva sempre),mentre mia madre arrivata quell’ora mi dava il permesso di uscir di casa ,i terreni cominciavano a duecento metri da casa mia, pantaloni di fustagno, stivali in gomma nera che mi facevano gelare i piedi, un maglione di una lana talmente grossolana che mi pungeva il collo- lo odiavo- ero un fulmine. 

L’odore dell’umidità era inconfondibile e per me associato alla nebbia , significava caccia. Mio padre aveva smesso di andare a caccia , perché la sua malattia più grande era la pesca….ma la sapeva lunga, tanto per intenderci, a Natale di quell’anno (’76 forse)  mi regalò una canna fissa in fibra di resina, verde,  lunga due metri e una carabina Diana 22 di quelle vere, mamma mia che roba! tutto questo per farmi capire che qualunque delle due  avrei scelto lui ne sarebbe andato fiero. Le scelsi comunque entrambe. La pesca la rimandai alle stagioni piu’ calde, mentre riguardo la carabina, penso di aver esaurito i piombini nel giro di tre quattro giorni. Andavo al casot (cascinotto) e mio padre mi faceva far pratica contro un asse di legno messo a non più di tre metri da me. Non capendo dove colpivo, un giorno si presentò mio nonno e mi disse "toh proea chi rop che" (prova questi) erano i piumini, così  avrei potuto capire dove colpivo……Mi stancai ben presto di sparare alla tavola di legno quindi cominciai ad appostarmi all’interno del casot in attesa che arrivasse qualche uccelletto. Mio padre forse notando la mia perseveranza chiese a mio zio di portami a capanno nella stagione seguente. Arrivò il fatidico giorno, ma prima del giorno non era passata la notte, la sera precedente mio padre mi disse "te ciami me duman matina!" (ti chiamo io domani mattina) da quel giorno, l’insonnia, mi ha sempre colpito, ogni volta come fosse la prima. Sta di fatto che quando sento mio padre che sta venendo a chiamarmi, io son già vestito, fatta colazione con l’imbuto e in attesa di mio zio; mio padre "va dal prestinee a cumprà ‘n frances! " (vai dal fornaio a comprare un pane francese) , andava all’Adda ad insidiare le savette. Giunti sul posto con lo zio, piazziamo il telo mimetico in mès ai mergasc (in mezzo alle stoppie di granturco) e non distante il palo per la civetta da richiamo. Il  solo fatto di esser li mi gasava e mi scansava di dosso l’umidita’ mordente che c’era. Non ricordo quante allodole fece, fissavo mio zio in attesa che  mi domandasse " te voeret fa na sciupetada?" (vuoi sparare un colpo? ) forse perché la notte precedente la sognavo ad occhi aperti mah.. un po’ deluso mi limitai a raccogliere le allodole abbattute e le cartucce, si, quelle cartucce in cartone che per me profumavano meglio di uno chanel n° 5. La sera a casa con la carabina in mano simulavo il capanno ,roba de matt!! Mentre il giorno seguente a scuola coi miei coetanei ci scambiavamo le varie esperienze che per la maggior parte erano simili. Qualche tempo dopo, una sera, si presenta a casa mio zio, che d’accordo con mio padre devono andare a cercare e catturare una nuova civetta. Questa era una pratica non proprio consentita, ma da fare, da fare di notte con le reti a borsa .Non volevano portarmi, ma la mia insistenza fu tale che dovettero portarmi e basta; facemmo passare tutte le cascine e cascinotti, la rete era infilata alle estremità da due pertiche "da fagioli" e mentre mio padre e mio zio la stendevano ,io entravo nel fienile cercando di fare il chiasso necessario per scovarne una. Catturata ! il primo passo l’avevamo fatto, adesso bisognava addestrare la civetta a stare sul piccolo pezzo di sughero, senza che si ribaltasse ogni volta che veniva mossa. Mio zio diede il compito a me sotto la supervisione di mio padre, promettendomi che a lavoro finito mi avrebbe riportato a caccia l’anno seguente. Per me fu come caricare la molla di un orologio a cucù; andavo a scuola il mattino col pensiero della civetta. Mio padre me la teneva in una gabbietta coperta da uno straccio scuro e al mio ritorno da scuola avrei dovuto aspettarlo prima di tirarla fuori, ma quel giorno la smania di fare ebbe il sopravvento e, aprendo la gabbietta infilai la mano nell’uscio, fui preso dal panico non appena comincio’ ad agitarsi e, forse per paura delle unghie o per paura del becco, sfilando velocemente la mano volò fuori anche la civetta che cominciai a rincorrere con un guadino da pesca, all’interno del cascinotto –nel frattempo era arrivato mio padre- che capì al volo l’accaduto, pensavo si arrabbiasse, ma ridendo a crepapelle mi disse " te na maset poe’ de lodul" (non ne prendi piu’ di allodole).Civetta ricatturata. Beh due settimane dopo sembrava telecomandata, con una tecnica che mi costò non poche botte! Feci comprare a mia mamma un po’ di carne trita (quella per le polpette per intenderci) fino a li niente di anormale perché pensava fosse per me……poi fortunatamente ebbi mio padre in difesa. Per qualche giorno buttai la carne nella gabbietta, poi feci, col cinturino di un orologio, una specie di collare, che, con l’ausilio di guanti misi alla civetta, legandola con una sorta di guinzaglio per tirarla fuori e rimetterla nella gabbia, il bello è che sia mio padre che mio zio mi lasciavano fare…. E io ci sguazzavo .Avevo sette anni con in testa la promessa fattami dallo zio, ma la civetta non ne voleva sapere . Nello stesso periodo giocavo a calcio e per qualche motivo anticiparono gli allenamenti, impedendomi di andare dalla civetta, sta di fatto che avrebbe saltato il pasto fino all’ indomani .Aprii la gabbietta, rapace al guinzaglio, carne nell’altra mano,  con mio immenso stupore il gioco era fatto, nei giorni seguenti aveva gia’ assimilato la carne al trespolo……..ero salito sul treno. Arriva giugno col suo profumo di frumento e di paglia al sole, la scuola è finita, ma mia mamma mi spedisce all’oratorio feriale, mi piace andarci, ma non vedo l’ora di tornare a casa papà e zio mi aspettano …………è il periodo dei tremaget (reti per catturare le quaglie) tanto vietati quanto tradizionali ,tutto questo per catturare la quaglia che cantava meglio, una sorta di competizione. Altri giorni si andava con la Briciola una bracco/ pointer di mio zio, che confrontandola con i numerosi segugi del paese mi dava come l’impressione di un cane da sciuri (ricchi) forse per i suoi lineamenti. Mia madre non mi impediva di uscire da solo col cane e allora via di corsa; mio padre mi ripeteva sempre "ul can al gà semper reson"(tu che sei inesperto guarda il cane e basta, è lui che ti insegna!)……e fu forse in quel periodo che mi innamorai dei cani da ferma, forse perché mi piaceva andar da solo, o forse perché mi piaceva andare in silenzio, quel silenzio che dalla metà di settembre si interrompeva sotto casa mia, dalla consueta cagnara.                                                                                                           

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