Menu
RSS

facebooktwitteryoutubehuntingbook

La fagiana

Il tuono della fucilata aveva prima scosso la valle poi irrigidito ogni cosa come in un sospiro trattenuto.  A terra supino Vittorio ascoltava  quel silenzio irreale infrangersi contro le fronde dei castagni, guardava oltre quei rami vetusti squarci di cielo novembrino, "l’ultima cartuccia", pensava, "l’ultima di quest’anno".

Poco dopo, ma non prima di aver  ringraziato la spessa cacciatora  di fustagno, con calma si mise seduto  cercando di evitare il tappeto di ricci che lo circondava, una strana leggerezza dell’anima lo pervadeva, aveva tanto rincorso quel colpo ed ora che tutto era finito, ora che la sua sfida era persa, si sentiva stranamente bene. L’amato Bill non era ancora arrivato  a reclamare l’improbabile riporto e Vittorio  stava lì seduto sotto ai castagni, cercava di pensare, ma non ci riusciva, un’estasi remota gli incatenava i pensieri. D’un tratto  capì che non poteva pensare perché non ce n’era bisogno e tutto gli apparve cristallino, chiaro, lui, Bill, i castagni, il monte e la fagiana tutti occupavano un posto in un’armonia senza tempo dove non esistevano né vincitori né vinti, ma solo incastri di vita. Già, quell’umile fagiana era  stata il principio di tutto, per merito suo Vittorio aveva potuto per la prima volta scivolare fuori dalla corazza culturale e totalmente  abbandonato agli istinti percepirne tutta  la loro purezza.

Tutto era cominciato qualche settimana prima. Vittorio camminava allora nel suo diciannovesimo anno , un ragazzo di valle cresciuto fra quei fazzoletti di terra che sovrastano la Brenta, nel sangue aveva la fatica di generazioni  di coltivatori dell’impossibile. Figlio di contrabbandieri  aveva cuore di sherpa e garreti da camoscio,  amava la solitudine, la cercava come antidoto a quella assurda promiscuità a cui lo costringeva lo studio in città. Quei selciati sporchi di confusione lo irritavano, lo irritava la normalità di quella gente che con leggerezza riusciva a vivere in posti così brutti, lo infastidivano anche quei pochi animali che per viverci avevano venduto la loro anima all’accattonaggio. Quante  volte a disagio dentro  a scarpe leggere e a vestiti buoni, camminando sotto ai portici soffocati dalla nebbia od oppressi dall’afa, aveva avuto la sensazione di non essere nel posto giusto e quante volte per esorcizzarne il tedio aveva chiesto aiuto alla fantasia immaginando  se stesso sui sentieri di casa con gli scarponi ai piedi e i vestiti sgualciti dai rovi.

A casa non c’era tradizione di caccia, nessuno la praticava e nessuno ne aveva il tempo, il miracolo economico del dopoguerra si era fermato all’imbocco della valle spaventato dalla durezza dei declivi. Gli anni  "60 avevano battezzato l’ultimo esodo, l’ultima grande emigrazione e già i terrazzamenti più in alto giacevano abbandonati assieme ai magri prati  ormai preda  di boschi disordinati che si riprendevano lo spazio perduto.

In mezzo al cambiamento si era consumata in fretta la fanciullezza di Vittorio, come in una macchina del tempo la sua  quotidianità gli  proponeva la coesistenza di mondi così diversi,  in salotto  assisteva allo sbarco sulla luna e pochi centimetri sotto nella stalla muggiva il medioevo, una contraddizione che probabilmente avrebbe segnato per sempre la sua vita. In bilico fra due realtà tanto incongruenti non sapeva da che parte stare. Pur attratto dalla modernità non sapeva tuttavia separarsi dalla poesia di quei declivi  che così rimodellati dalla fatica e dall’ingegno dell’uomo ai suoi occhi apparivano  splendidi in tutta la loro abbagliante armonia. Con l’aiuto di un amico più anziano capì che la forza della caccia avrebbe compiuto il miracolo, attraverso di essa avrebbe potuto nutrire le sue radici evitando  di  dissolversi  nel   cambiamento.

All’epoca dei fatti  Vittorio viveva già la sua terza stagione di caccia e il suo fedele compagno Bill aveva appena compiuto il secondo anno di vita la loro era una di quelle unioni sancite dall’amore della giovinezza, pieno e senza compromessi.  Bill era un setter bianco e nero di umile lignaggio arrivato cucciolo a casa in uno scatolone nel bagagliaio della vecchia Mille e Cento del padre, un regalo inaspettato, uno di quei gesti d’amore che soccorrono l’inadeguatezza dei rudi rapporti famigliari segnati dalla pesantezza del vivere.

Era cresciuto robusto e intelligente diventando presto il  compagno di caccia  ideale come accade spesso ai cani  che, baciati dalla fortuna, vantano un padrone pieno di entusiasmo che gli dedica ogni istante libero della giornata. Con molto esercizio e un pizzico di addestramento formale Vittorio e Bill erano diventati uno l’estensione dell’altro,dove non arrivava l’intelligenza di uno arrivavano i sensi dell’altro tanto da rendere la loro silenziosa collaborazione quasi perfetta .

Quell’anno  dopo le prime uscite in compagnia degli amici a Vittorio cominciò andare stretta anche quella labile promiscuità, "la montagna non è cosa che puoi condividere con persone che vanno bene per passare tre ore al bar", pensava, "e poi non piacciono neanche a Bill".  Forse dipendeva dall’eredità che si portava appresso, ma Vittorio non sapeva vivere la montagna  se non in religioso e furtivo silenzio. In fondo nelle sue vene scorreva il sangue di generazioni di  contadini disperati che, per sfuggire al vesso di un monopolio affamante e ai suoi controllori, avevano  dovuto percorrere quei   sentieri  aspri e inaccessibili, solinghi  e silenziosi  come evanescenti  spettri. Ora Vittorio non aveva niente da nascondere, ma quando usciva con Bill, col fucile o senza, l’imperativo era il silenzio, anche sparare lo infastidiva, al momento giusto andava  fatto, ma con parsimonia senza disturbare troppo. Gli piaceva cogliere la vita di sorpresa e lasciare in pace quella che non gli interessava.

Ai primi di ottobre esauriti i facili incontri di settembre gli altri si dileguarono per rinchiudersi dentro ai capanno di qualche amico a tordi e fringuelli. "Poco male", pensava Vittorio, "in fondo  proprio non ci si capisce , quelli là sanno solo misurare la caccia a cartucce sparate! ".

Le coturnici erano ormai un ricordo, le poche brigate rimaste preservate dalla provincia arrancavano , la loro nicchia si dileguava al passo dell’abbandono e al di là della legge, sarebbe stato comunque criminale perseguirle, la medesima fine stava facendo il francolino di monte che comunque non era buono per il cane. Per uno che considerava caccia solo quella condivisa con un ausiliare da ferma rimanevano i fagiani, quelli rimasti dopo le assidue cacciate dei primi giorni.  La stanziale si poteva cacciare solo due giorni fissi alla settimana e Vittorio aspettava sempre con trepidazione i giorni dedicati, i fagiani rimasti erano di quelli furbi, nati in libertà sapevano come cavarsela e aiutati da un ambiente difficile diventavano spesso folletti irraggiungibili. Bisogna dire che Bill, in quei posti, aveva incarnato alla perfezione  la caccia al fagiano, quando ne avventava uno non lo mollava più e con la pazienza di Giobbe con estenuanti guidate e accostate alla fine ti ci portava sempre sotto bastava aver pazienza, e  quella a dispetto dell’età a Vittorio non mancava. Fu in una di queste uscite che l’incontrò.

Quel giorno  di metà ottobre però qualcosa andò diversamente Bill non riuscì a bloccare la fagiana che si involò lontanissima e prese per il bosco della Val de Spin. un altro vezzo di Vittorio era quello di non ribattere quasi mai gli uccelli che in qualche modo gli sfuggivano al primo approccio, non era tanto per una questione etica che lo faceva, ma piuttosto per noia, ritrovarli fuori dai luoghi dove se li aspettava, diminuiva di molto il fascino della caccia che per esaltarlo doveva essere come un quadro ben fatto con ogni scena rappresentata al posto giusto. "Tanto ti prendo alla prossima", disse fra sé e si incamminò sulla via di casa in compagnia dell’invitante proposito.

Quando aspetti qualcosa i giorni sembrano non passare mai, alla fine però arrivò anche giovedì e i due si accinsero a partire che il sole era già spuntato dai monti. "Ai fagiani bisogna dare il tempo di svegliarsi, al mattino sono un po’ pigri e non ha senso cacciarli all’alba",  disse  a Bill come per giustificarsi, ma il cane dimostrò con i consueti sommessi uggiolii di impazienza la sua ferma avversione al  dogma, "hai ragione anche tu", pensava Vittorio, "ma lo sai a che ora mi sono coricato e poi un po’ di sana pigrizia migliora l’esistenza". Presero subito per il sito della fagiana e una volta arrivati Bill raddoppiò la sua prudenza memore della figuraccia della volta precedente, anche Vittorio era teso e concentrato come  chi si aspetta un frullo improvviso. Passarono il boschetto di castagni e si incamminarono per lo stretto e ripido sentiero che costeggia i terrazzamenti , Bill entrava con diligenza in ognuno, raggiungeva il fondo e poi tornava e saliva per entrare nel successivo, ma nulla fino all’ultimo. Ora non restava che perlustrare il vecchio prato, appena entrato nel gerbido Bill prese  a filare lento e serpeggiante come la vipera, "ci siamo" pensò Vittorio raddoppiando  l’attenzione, ma Bill non fece che pochi passi e la fagiana frullò ancora una volta lunghissima prendendo sempre per la Val de Spin.

La situazione cominciava a diventare un po’ imbarazzante, "cosa abbiamo sbagliato" pensava Vittorio, "abbiamo fatto tutto in religioso silenzio e la prudenza di Bill è stata proverbiale" , "diavolo di una fagiana" disse forte, guardando verso il bosco, "ci rivedremo domenica non pensare di averla fatta franca!"

La domenica successiva erano là pronti a rinnovare la sfida, Bill questa volta andò dritto al prato certo che l’avrebbe trovata al solito posto, così fu e  la scena si ripeté tale e quale solo che questa volta a Vittorio, un po’ attardato, non rimase altro che il debole suono di un frullo lontano. Nella mente di Vittorio cominciava a farsi strada l’idea che una fagiana così, in fondo, era più utile nel bosco che nella sua cacciatora.

L’uscita  successiva coincideva con l’odiata ultima giornata alla stanziale della zona alpi, al mattino Vittorio bloccato da un impegno non poté recarsi a caccia, ma il pomeriggio fece di tutto per liberarselo  e all’una i due avevano già iniziato a scalare la mulattiera dietro a casa , uno scalino dopo l’altro con Bill tenuto al piede lo portò senza accorgersene sotto al boschetto di castagni. Si accorse che  per tutto il tragitto non aveva pensato alla fagiana, solo ora che era vicino a quella che ormai era diventata la loro arena, si disse: "va bene oggi in ogni modo si metterà la parola fine alla  singolar tenzone", l’espressione gli piaceva in tutta la sua comica epicità, caricò il sovrapposto e presero a salire. Ancora una volta Bill tentò l’approccio più prudente che conosceva, Vittorio era ancora sotto ai castagni quando un’ombra fulminea ne attraversò le chiome, d’istinto imbracciò il fucile  e puntò in alto, ma lo scatto lo fece scivolare sulle foglie secche dei castagni quando ormai l’impulso all’indice destinato al  grilletto era stato inviato, il risultato fu una fucilata sparata a mezz’aria, prima della schienata  sui ricci.

La storia si sarebbe potuta chiudere così con un tragicomico ruzzolone, un cacciatore seduto sui ricci di castagno appena folgorato dalla consapevolezza della cristallina forza del divenire e l’immagine  ben augurante di  una fagiana che  plana  felice verso il suo bosco salvifico, se un petulante pettirosso non avesse deciso che la parola fine non poteva ancora scriversi. Un centinaio di metri più in basso il  ripido sentiero che portava a valle svoltava bruscamente a sinistra evitando un grosso cespuglio di rosa canina, la sera incombeva annunciata dal tic tic di un pettirosso che per nulla intimorito intonava il suo saluto al giorno morente proprio dalla sommità del cespuglio. Ormai i due eroi sconfitti gli erano vicinissimi, ma lo sfacciato non volava via, tanto che Vittorio  si fermò a guardarlo, fu allora che si accorse di una minuscola piuma accoccolata fra le spine. Si sporse e la raccolse, era inequivocabilmente di fagiana, poco dopo Bill arrivava, orgoglioso e ingenuamente felice come solo i cani sanno essere portando  a Vittorio l’immeritato trofeo, lui lo prese,  lo lisciò per bene e lo ripose nella cacciatora. Più tardi, mentre scendeva, pensava che l’anno seguente gli sarebbe piaciuto dedicarsi alla beccaccia non ne aveva mai viste, ma gli avevano detto che era una bella caccia da fare col cane. … "Bill cerca di fartene una ragione l’anno prossimo si molla i fagiani e si va a beccacce e non fare quella faccia vedrai che ci divertiremo, fai così perché non hai mai visto le faggete, sono bellissime…….."

Torna su

Normative

Ambiente

Enogastronomia

Attrezzatura