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Passeggiando attraverso le mie licenze

Altri tempi: con il consenso paterno la licenza di caccia si prendeva a 16 anni; la mia arrivò il 24 dicembre, e mai dono fu più gradito!
Son passati 38 anni, e a forza di consumar scarponi ho attraversato un periodo di grandi cambiamenti; nella cultura, nell’etica, nel modo di esser cacciatore; sopraffatto a tutt’oggi da grande passione, ho assaporato ed assaporo tutto quello che il mio territorio offriva ed offre.
Ed è proprio la passione, piena, sana, corpulenta, che fa da filo conduttore ed unisce esperienze diverse, accomunandole nel grande carniere delle emozioni: mai venute meno, pian piano più consapevoli!
Ricordi…
Il primo fucile: una doppietta calibro 16 appartenuta allo zio di mio padre, canne per tirar lungo. Un bel rientro mi regalò 70 cartucce sparate a tiro per raccogliere un tordo! La uso ancora di tanto in tanto, dopo aver modificato le strozzature; un animale che si immola con lei ha un sapore diverso, come se il grilletto lo avessimo stretto in tanti di casa!
Il primo periodo: la ragazza che sarebbe diventata mia moglie spesso mi era compagna anche a caccia, pur di stare insieme; mai sparerebbe ad un animale, ma sempre ha fatto il tifo per me e compreso la mia passione, ancora oggi: le mogli dei cacciatori, almeno nel mio caso, hanno una sensibilità speciale.
Il primo cane: un breton di ottima stirpe, Mirco, che ha insegnato a me ad andare a caccia; certo non io a lui! La natura e l’istinto hanno fatto tutto! Mi ha regalato tanto: la doppia coppiola sulle starne in quella magica apertura, quando con mio padre, mio cugino ed un amico ci trovammo inaspettatamente senza altri contendenti in zona! Aspettammo il loro canto e ci dividemmo verso i due luoghi da dove pareva venire; il canino le fermò in alto e l’unico ad aver fiato per vederle partire a tiro fui io. Ne trovammo due covate e qualche quaglia, ed io tornai a casa sanamente ebbro. Mi ha regalato recuperi di animali che neanche pensavo di aver colpito; il primo cinghiale, cercando beccacce, che mi partì quasi fra i piedi mentre correvo a difendere il canino.
Altri l’hanno seguito, tutti pointer, tutti maschi! Un amore entrato nel sangue quando, bambino, arrancavo dietro ai lunghi passi di mio zio ed a quelli più misurati di mio padre. Lui, che con la coda dell’occhio controllava, senza intervenire, se riuscivo a star loro dietro. Quel pointer, Max, mi affascinava: ricordo la nuvoletta di polvere che si alzava quando passava dalla massima spinta alla statua di sale nelle stoppie riarse, col tartufo appeso ad una quaglia a far da perno per tutto il corpo che si immobilizzava; quando fermo nel bosco rispondeva, beeper ante litteram, al fischietto di mio zio con un tocco di campano; quel fagiano ferito d’ala che guidò per un percorso infinito, ed io dietro a pizzicarmi con lui, per poi prenderlo dalla sua bocca in quel che restava di una probabile tomba antica, ormai usata come riparo dai contadini. Quando mi veniva concesso di tenerlo al guinzaglio, mi rideva ogni lineamento del viso!
Poi i miei di pointer: Ribot, Victor, Sax, Bliss e Rum. Gli ultimi due ancora son con me, ad onorarmi della loro passione infinita come il loro affetto! Ognuno meriterebbe un capitolo…! Di sicuro un capitolo di vita lo stanno riempiendo: quello della memoria! Il più importante!
Gli episodi più cari son di caccia vissuta: la beccaccia che Ribot ad 11 mesi alzò 11 volte prima che riuscissimo a fargliela meritatamente imboccare; la fagiana tenuta da Victor per non so quanto, fino a raggiungerlo in quella ginestraia scoscesa; la beccaccia di gennaio inventata da Sax in un calanco quasi irraggiungibile, mezzora per affiancarlo e tre botte per un pallino nell’ala; la ferma di Bliss con la quaglia in bocca mentre riporta, per poi prenderle in bocca entrambe e tornare da me; le due beccacce in due giorni fermate da Rum a 5 mesi, che se non ci fossero stati Sandro la prima volta e Arturo la seconda, io avrei padellato vinto dall’emozione; i tanti consensi, come quello in zona addestramento di 6 figli di Sax nati da tre diverse cucciolate: tutti fermi attorno al padre, immobilizzati insieme a distanza come toccati da un incantesimo! Lasciarono me incapace di fotografare, e gli astanti con gli occhi sbarrati e la bocca aperta! Immagini felici!
Come infelice e pieno di lacrime ogni addio: dal sedicenne Mirco, a Ribot, che a tre anni ha lasciato tante promesse e un affetto ancora non sopito!
E, sulle tracce dei miei scarponi che hanno inciso nel terreno le stesse tracce che le emozioni hanno inciso in me, quante cose sono cambiate?
In alcuni casi, basta osservare: Mirco ha conosciuto qualche cinghiale e pochissimi occasionali altri ungulati; tutti gli altri ne hanno conosciuti svariati, sempre più fino ad oggi: ogni uscita lottano con l’istinto per non seguir troppo quell’odore diffuso..., molto più diffuso di quello che si cerca. Gli ultimi 3 hanno portato e portano i segni delle difese del cinghiale, tanto che ormai è chiarissimo quando lo fermano: gli occhi di Bliss, dal desiderio quasi morboso che traspare con una beccaccia davanti, diventano tristi e timorosi, e non accosta neanche a spingerlo. Il giovane Rum ferma e poi comincia a girare attorno a distanza, senza mai perder d’occhio l’origine dell’effluvio. Loro padre, Sax, fermava normalmente; ma appena lo accostavo mi girava dietro per interporre me tra lui e il cinghiale!
Il cane da ferma è e resterà la base di questa passione che non passa, se Dio vuole! Ma altre esperienze si sono aggiunte e fanno da sapido contorno al piatto preferito: la gestione in selezione e la cacciarella al cinghiale: evoluzioni anch’esse, in tempi diversi, del tempo trascorso e dei cambiamenti che lo hanno accompagnato.
Entrambe hanno una origine.
Un giorno, un carissimo amico mi chiese di accompagnarlo in una bella riserva dove avremmo cercato caprioli alla cerca. Accettai, scettico! Dopo una buona camminata, una sottile si palesa in una tagliata…Luigi mi passa la carabina e mi telecomanda: “sdraiati su quel mucchio di terra, respira profondo e poi mettile la croce nella spalla, manda avanti il grilletto e poi trattieni il fiato; ricordati che il grilletto è sensibilissimo”. Talmente sensibile che la botta partì senza che quasi me ne rendessi conto, ma Diana aveva già messo la croce al punto giusto! Da quel giorno ho acquisito una passione in più, ed oggi sono capodistretto, a testimoniare quanto quel momento di amicizia abbia inciso sulle mie abitudini venatorie.
Un altro caro amico mi invitò ad una cacciata al cinghiale; avevo sempre rifiutato, e quella volta accettai! Mi mise di posta al bordo fra una tagliata giovane ed un fitto inestricabile, avvertendomi sui probabili punti di arrivo dei cinghiali, e soprattutto sui limiti di sicurezza per sparare. Per abitudine, guardavo in terra alla ricerca delle fatte di beccaccia, immaginavo i miei cani in quella costa… fucile in spalla, tanto la muta abbaiava lontana! Poi mi resi conto che le poste vicine erano tutte sul presentat arm, e mi venne il dubbio che il cinghiale potesse arrivare anche distante dai cani. Una scarica vicina, e il fitto sulla sinistra si animò di rumore…eccoli! Non so a quale tirare…mollo una botta ad uno senza colpirlo, poi uno più grosso e più vicino si becca due palle addosso mentre è “in volo” per superare uno sbalzo. Poco dopo due porcastri escono e si fermano sul bordo; sparo il primo a fermo, mentre il secondo prova a rientrare e deve fermarsi colpito! Sono emozionatissimo! “Vieni giovedì prossimo?” “certo”, quasi urlo! Vado a ricomprare un po’ di cartucce, guardo la fuciliera dell’armeria, ed esco con una carabina! Un’altra febbre è entrata ad alimentare la mia malattia!
Tutto senza per nulla disdegnare altri momenti vissuti: le anatre che girano prima di arrivare a tiro facendoti trattenere il fiato per timore d’esser visto; i colombi e le tortore che arrivano verso i girasoli e allargano ali e cuore; la canizza della muta compatta che scova la lepre e la porta magicamente a una posta! Ogni forma di caccia merita rispetto, se rispetto merita chi la fa!
Forse il giorno più bello venatoriamente parlando l’ho passato dal dentista! Era il 4 giugno 1990! Era un lunedì, e gli appelli al voto per raggiungere il quorum per abrogare la caccia si susseguivano. Arrivò l’ora dei verdetti, durante una cura canalare! Io, ignobile vigliacco, avevo attenzione solo per quella radio, nonostante il mio fisico tremasse sotto il lavoro del dentista, peraltro cacciatore! La sensazione era chiara, ma volevo l’ufficialità! Finito il lavoro, gli altri clienti aspettarono in sala per un po’, fino a sentire due urla come se avesse segnato l’Italia nella finale del mondiale di calcio! Era fatta! Per quella volta, era fatta!
Molte volte ho ripensato a quel giorno.
E’ nato il legame col territorio, a volte solo il suo tentativo; come cacciatore “di confine” fra diverse realtà, sentivo menomato il mio spirito libero. Poi, giocoforza mi sono adeguato. Ho vissuto la nascita, la crescita ed in alcuni casi la decadenza (in altri il perenne malfunzionamento) degli ATC; ho visto morire le “riserve sociali” e quelle padronali; nascere le Aziende Faunistiche nelle loro duplici tipologie.
Sempre di più, accompagnato nella interpretazione dai corsi per le varie abilitazioni – anch’esse figlie dell’evoluzione verso la “gestione” - ho pensato a come l’ambiente ed i suoi abitanti si fossero modificati. Ricordo i primi cinghiali abbattuti al mio paese: sembrava una storia con Tiburzi protagonista! Ricordo la prima volta che vidi un capriolo, del tutto inatteso, negli anni 80…ma uno! Un piccolo branchetto di daini in una zona circoscritta, nello stesso periodo, mandava al manicomio i cani e lasciava interdetti i padroni.
Mai il pointer di mio zio sentì l’usta del cinghiale o di altri ungulati; giorni fa tagliavano un granturco non lontano da casa, ed un grosso verro è uscito passando davanti al cancello di casa! Ormai non c’è uscita che i cani non trovino caprioli o daini! Sempre più frequente la presenza del lupo, e non casuale! In compenso non vedo una starna fuori riserva da quella famosa apertura del 1983!
Allora i colombacci erano solo “di passo”; ora son quasi più quelli che nidificano che gli altri; e con loro gli storni…ma di rondini sempre meno! Altro è cambiato intorno!
Le riserve, lasciate che le chiami così: allora distribuivano selvaggina nei dintorni, probabilmente più e meglio della maggior parte delle ZRC; oggi nella maggior parte dei casi, il “pronta caccia” regala illusioni a chi vuol crederci.
Ecco come in 38 anni è cambiata la caccia: nuovi animali popolano i nostri territori, altri son scomparsi o son diminuiti. E i territori stessi son diversi: ove le macchine possono lavorare, c’è agricoltura; il resto è sempre meno curato, e spesso il bosco se ne riappropria. E le due cose, cambiamenti del territorio e di chi lo popola, non son ceto fatti disgiunti.
E noi? Non viviamo più la “Bella vita vagabonda” che ci raccontava Eugenio Barisoni: siamo, dobbiamo essere, parte attiva di un modello di gestione.
Per alcuni animali, la gestione deve aiutare la crescita; per altri deve contribuire alla protezione del territorio e dell’agricoltura. E questa gestione deve vederci protagonisti consapevoli: per perpetuare quella passione che non ci fa dormire pensando al cucciolo appena arrivato, alla tramontana di fine ottobre che promette beccacce, alla sera prima di tutti i Santi perché il giorno dopo alla posta…; protagonisti per difendere le colture che danno cibo a chi ci ospita sui loro terreni in un connubio ormai indispensabile; per creare ambiente; …! Tutto perché si possa perpetuare un futuro da cacciatori, e non diventare portatori sani di passione inespressa e di nostalgici racconti, incomprensibili ai più.
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