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Pensieri e caldarroste!

Un caminetto acceso polarizza sempre gli sguardi. Le fiamme guizzano eteree, assumono forme strane, sono magiche, si tramutano in demoni, diventano fate. Se poi ci aggiungi le caldarroste e a queste affianchi vino rosso... Hai fatto davvero l'en-plain! Allora si trascende veramente, si rischia senza tema di smentita di essere trascinati dalle creature immaginifiche intraviste in mezzo alle fiamme nei loro balli scatenati! È quello che è accaduto a me pochi giorni fa. Serata fredda, caminetto acceso, caldarroste e vino rosso a ingentilire la serata, mentre attendi gli ospiti. E lo sguardo che si perde in mezzo alle fiamme. In bocca, sapori di bosco e di vigna E in simili situazioni, con le papille gustative irrorate dai sapori della natura, guardando demoni e fate danzare è impossibile non pensare alla Natura e quindi alla caccia, perlomeno a chi cacciatore lo è nell'anima, a 360 gradi. Crepita un rametto – o era lo schioccar di dita di una fata malandrina? - e sei in campagna! Sei al fiume ad attendere le anatre, senti perfino l'odore della vegetazione palustre, ne senti l'umidità sulla pelle; oppure no, sei a quaglie col tuo compagno a quattro zampe: senti il calore del sole sulla pelle, ne senti il riverbero sugli occhi, il profumo della stoppia riarsa dal sole invade le narici. Sei a caccia insomma! E chi mi ci ha portato? Stavo a impigrirmi a casa mia, davanti al caminetto, avevo appena rabboccato il bicchiere di vino e ragionavo se era il caso di mettere a cuocere un'altra padellata di castagne, e ora... com'è che sono qui? Come ci sono arrivato? Sta' a vedere che mi ci hanno portato gli allegri danzanti del mio camino. Oppure no. Oppure... C'è un'altra possibilità infatti. Esiste una particolare forma di associazione di idee, per cui se io mi ritrovo ad avere a che fare con frutti di Natura, non posso finire che dentro alla medesima, insomma. Ma io, in realtà, come uno studioso che analizza un batterio al microscopio, sto solo gettando uno sguardo nell'anima mia. Perché questo è il fine. A caccia io ci vado perché mi fa stare bene, perché a caccia cerco l'Uomo come neanche Diogene con la sua lanterna, mi ci perdo e mi ci ritrovo. Ritrovo me stesso e a volte ci trovo Dio. A caccia l'uomo va pressapoco da quando ha raggiunto la posizione eretta, per nutrirsi e nutrire la sua famiglia e il suo clan; poi certamente, secolo dopo secolo,  l'evoluzione ha toccato ogni ambito dell'umana esistenza, figurarsi la caccia! Ma l'impatto emozionale quello no, non è mai variato. Sensazioni uniche, veri e propri caleidoscopi emozionali di una portata  incredibile, forti come solo lo è la verità. E i ricordi che genera, poi... Dico, dove li mettiamo i ricordi, che vengono fuori a due a due come le ciliege? Sono i tranelli della memoria, che è bastarda e puttana, ci addolcisce o ci addolora a seconda del momento mentre sotto sotto ci presenta il conto degli anni che passano. Ma all'insidia dei ricordi non ci si può sottrarre. Ed eccoci dunque a ricordare quella preapertura a tortore, nel caldo bestiale di quel giorno, immersi nell'odore dolciastro dei girasoli, sulla stoppia, dentro a spartani capanni, ad attendere saette alate made in Africa. E l'apertura di quell'anno? Sotto una pioggia torrenziale che andava e veniva, il vecchio Argo non aveva mollato un istante e alla fine quel furbo fagiano si era dovuto arrendere! Albe di ghiaccio, trasparenti come vetro in palude, attendendo i germani, le dita che diventavano bianche perché il gelo se ne frega dei guanti super-tecnici che indossi. La prima uscita col cucciolone. No, perché bravo è bravo e sembra appassionato, e per lui è tempo dell'esame di maturità. E quando a fine mattinata torni alla macchina con un fagiano e cinque quaglie, con un sorriso da ebete stampato sul viso è perché sai di avere tra le mani qualcosa di speciale. E quando ad ottobre quel cucciolone lo hai ritrovato inchiodato in un viottolo nel bosco e la maga beccaccia è frullata, anche i tuoi dubbi residui sono volati via. E i compagni di caccia? Amicizie indissolubili, anche quando non sono più tra noi, fisicamente almeno, perché in spirito – lo sappiamo e lo giuriamo – camminano e parlano con noi, nei campi e nei boschi. Come quegli esseri meravigliosi che sono i nostri cani, che ci venerano e che noi amiamo di un amore folle, ai quali dedichiamo attenzioni che neanche ad un'amante, ai quali rimproveriamo solo il loro maledetto orologio biologico, che corre troppo veloce rispetto alla nostra vita. In fondo alla caccia noi questo chiediamo e null'altro: emozioni che ci trascinino lontano dalle falsità del nostro vivere attuale, che ci proiettino in una dimensione che sembra parallela ma che in realtà dovrebbe essere la sola. Avventure come quelle che abbiamo letto sui romanzi quando eravamo ragazzi. Chiediamo di essere messi alla prova, di insegnarci giorno dopo giorno cose nuove, di saper accettare gli errori e la capacità di porvi rimedio. Ci nutriamo di emozioni più che di prede. Nutrirsi, camino acceso, castagne, vino... Mmhhh! L'accostamento ora è sin troppo facile: la cucina, l'arte culinaria, le cene di caccia. Simposi di sapori, di allegria, di convivialità, che richiamano alla memoria ricordi ancestrali di tempi ormai passati, dove uomini ricoperti di sole pelli di animali si riunivano dopo la cacciata, in allegria, raccontandosi di sicuro anche loro di tiri incredibili, azioni coraggiosissime. E chissà, già da allora, quante balle!!! Per un attimo torno al presente. Sospiro e rimesto le castagne in padella, attizzo la brace e sono di nuovo rapito. E' una pietra preziosa che esamino rigirandola da ogni lato. E arriva quindi il momento della riflessione, inevitabilmente. Si riflette sulla caccia di oggi, in Italia, sempre più vituperata, infangata. Con i territori sempre più ristretti e noi, asserragliati in difesa delle nostre posizioni, Spartani in difesa delle nostre Termopili. Non combattiamo con lance e spade, no, ma combattiamo con armi altrettanto affilate e aguzze: la nostra conoscenza. Per troppo tempo abbiamo mantenuto il "basso profilo" di fronte ad attacchi a tutto spiano a noi e alla nostra passione, quasi ce ne vergognassimo, sperando ingenuamente che "quelli" se ne dimenticassero, che ci lasciassero in pace. È stato un errore madornale. Un simile atteggiamento ha partorito come figli legittimi Impreparazione e Incapacità a sostenere un dibattito. E invece di dimenticarsene, di lasciarci in pace, "quelli" hanno guadagnato l'appoggio dei media e ci hanno attaccato su tutti i fronti, sempre più forti, sempre più avvelenati, approfittando di un costume cittadino che ignora le cose di campagna e di una politica volta solo al proprio tornaconto; ci hanno dipinto con le tinte più fosche, hanno diffuso le cose più false. Hanno inanellato perfino vittorie, arrivando a far sospendere calendari venatori grazie alla longa manus del TAR. E il popolo delle campagne che si raccoglieva su sé stesso, tremante, cercando qualcuno che li difendesse, ma anche un responsabile di ciò. Sì, forse c'era anche un responsabile, quasi sicuramente anzi: ma, come disse il grande V: "Se cercate il vero responsabile, non avete che da guardarvi allo specchio". E noi ci siamo guardati allo specchio e ci siamo vergognati di noi stessi. Abbiamo ripreso a studiare e ci siamo preparati. Abbiamo rialzato la testa e ci siamo difesi. Non più l'inutile "basso profilo", spedito ad ammuffire in soffitta, ma "alto profilo", conoscenza e competenza assoluta. Le nostre armi hanno avuto ragione su idee prive di fondamento e il bombardamento su molti siti, anche su quelli più dichiaratamente "anti" si è spesso concluso a nostro favore, quando verità e obiettività scientifica si sono fatte largo tra morale spicciola e falsità. Lo grida la scienza: nessuna specie selvatica ha nulla da temere dalla caccia. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Per questo abbiamo e avremo sempre bisogno di dati scientifici aggiornati, per integrare o talvolta confutare quelli attuali, per difendere la nostra passione da sterili attacchi di un mondo che idealizza un amore che è finto, perché non vive l'oggetto di tale amore. Di fronte all'obiettività di dati scientifici il loro attacco si è spuntato, il loro veleno annacquato. E spesso si sono ritirati. Uccidere deliberatamente un animale è un gesto forte, lo sappiamo bene. Non deve mai essere preso alla leggera e per questo ogni cacciatore del nuovo millennio deve pretendere da sé stesso una preparazione assoluta che sappia inquadrare come fine ultimo non l'abbattimento di una preda, ma l'inserimento della figura del cacciatore all'interno di un ecosistema, a fianco dell'agricoltore, entrambe figure indissolubilmente legate con patti di diamante per la difesa e la salvaguardia del territorio. 
Improvvisamente, nel camino un ceppo si ribalta e una fontanella di scintille s'innalza, sicuramente  opera delle fate danzanti. Appena in tempo – meno male – per ritirare dalla brace la padella bucherellata, colma di caldarroste fragranti! Mentre apparecchio la tavola per gli amici in arrivo, mi si scaricano dalla memoria i miei studi classici, come spesso mi capita: ora mi sovvengono i mitologici daimones, spiriti guida in grado di trasportarti in realtà parallele. Saranno stati loro a farmi compiere questo viaggio in un'altra dimensione? Oppure sono solo arrivati al fondo all'anima mia? Non so dirlo. Raccontarlo agli amici? So già cosa mi risponderebbero: altro che daimones! Darebbero la colpa all'ottimo vino rosso che ha annaffiato la mia meditazione e non mi rimarrebbe che mandarli a quel paese!
Ma li perdono. D'altronde, sono compagni di caccia!!!
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