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Una scimmia alle macchie

Poggiolino,  rannicchiato al caminetto,  lo guardava  divorare la minestra. Un colpo di cucchiaio  e una succhiata,  questo era il ritmo andante di una musica chiamata fame.
A  fine cena  fece due o tre risciacqui con il rosso Chiannerino  e  schioccò la lingua nel palato.
Solo allora il più anziano  ruppe il silenzio:
“ Ma sei proprio sicuro? ”
Beppone stizzito buttò  gli occhi al cielo.
Di solito la moglie intenta a sfaccendare nemmeno si curava dei  soliti discorsi di caccia,  ma quella sera aveva sentito della bestia e stava inorecchita.
“ Andava ritta e faceva dei saltacci, oh cos’era secondo te ? ” rispose  Beppone con la voce strozzata dall’ingubbio.
La donna ed il povero Poggiolino  si guardarono sgomenti.
A quel ora  per colpa del fuoco e del fiasco che stavano spegnendosi  si cominciava a sentire l’umidità che aleggiava nella grande cucina.
Era giunto il momento di andare a letto  ma prima si doveva stringere.  
“Domani che si fa ... si va a ribattere la zona dei Macchioni ?” Chiese a mezza bocca  Poggiolino.
“ Non so che dirti, il Turco s’è infilato in fondo al bidone e non è più uscito,  non ha nemmeno toccato la cena. ”
“ Oh Beppe… un  so se le mia gli faranno alla sc...”.
“ Ora mi raccomando andiamolo a raccontare al Bar e diventiamo gli zimbelli del paese ”.
“No, no,  io sto zitto,  ma se s’ammazzasse  ci starebbe proprio bene in mezzo a tutti quei briai ...”.
La notte fu insonne, il Poggiolino  si rigirò mille volte in quel  letto foderato di spine.
Nel dormiveglia gridò anche  : “ Attenti  la scimmia  è saltata sulla Ventola ! ”.
La  moglie preoccupata lo svegliò e gli disse che la sera mangiava  e soprattutto beveva  troppo ed alla fine anche  lei voleva sapere che cosa fosse questa  storia.
Lui gli rispose che non era niente poi guardò la sveglia e visto che mancavano solo due ore decise di andarsi a preparare.
La donna  temendo una sciagura gli gridò dalle scale:
“ Un porterà mia male ammazzà  una scimmia !”.
“Ora dillo  alla bottega !”
Seduto alla tavola Poggiolino si teneva la testa con  le mani. A tiro aveva   una  brancata di cartucce ed  una tazza di caffè cotto nel bricco, invece  la mente  era lontana  alla guerra d’Africa.
“ Avevano certi  denti  quei macachi...”.
Prima che uscisse  la moglie gli gridò di stare attento.
“ Vedrai ho paura a prende una scimmia!” rispose lui tirandosi dietro l’uscio.
Augusto che stava  caricando i cani da lepre sull’Apetto,  dall’altro lato della corte,  sbottò:
“ Testimone io, voi le prendete al volo !”.
Il vecchio  guardò torvo  il rivale di tante battaglie  fino a che questi non sparì con il suo rombante mezzo, lasciando una scia  puzzolente  che appestò l’aria.
“ E’ sempre ingolfato !” mugugnò il vecchio.
Poggiolino prese alla catena le due seguge  e  s’incamminò verso il podere di Beppone.
L’ uggia  riempiva il fondo delle valli  e le vinacce ritornate alle  vigne profumavano come non mai.  I cacciatori confusi da quelle atmosfere si struggevano.  Era Novembre, il mese della lepre.
Appena giunto nei pressi del podere di Beppone vide l’aia illuminata e lo sentì imprecare.
Ce l’aveva con una mucca che,  infervorata,  aveva mugghiato per tutta la notte.
“ Non  ho chiuso occhio per via di quella bestiaccia”.
“ Io l’ho anche sognata !” lo confortò  il  vecchio.
Beppone illuminava il fondo del bidone con un accendino,     si vedevano gli occhi del Turco brillare, parevano spiritati. Dopo qualche : “ Vieni bellino… andiamo Turchino”   dette una tale tirata alla catena che il povero Turco schizzò fuori  come  un cane volante sparato in aria dal cannone di un circo.
“E’ sortito, vedi !” esordì soddisfatto Poggiolino.
I lepraioli si mossero per i Macchioni che albeggiava.
Per la via sentirono la muta della squadra d’ Augusto che già scagnava.
“Nato d’ un cane ha sempre avuto il vizio di scioglie a buio!.
La valle dei Macchioni quella mattina sembrava più selvaggia del solito.  Sondri  zuppi d’acqua e biancospini dagli  aculei  ardenti stavano lì,  alle  porte di quelle macchie,  pronti a tramutare gli uomini in  poveri Cristi.
Dopo aver lasciato il Turco al Poggiolino,  Beppone  prese a scendere il sentiero che lo portava in fondo al fiume, dove iniziava il bosco. Si appostò dove sapeva,  caricò lo schioppo a piombo grosso e attese che il compagno sciogliesse i cani.
Poggiolino alla sua ora liberò  i segugi.
La Brina e la Ventola  partirono come al solito in caccia di pelo,  il Turco invece  restò  al suo fianco. Il  vecchio lo guardò pensieroso. Possibile che  un cane come quello non se la sentisse di andare in cerca?
Così caricò  la doppietta con  due cartuccioni che aveva serbato per un cignale che in estate aveva l’abitudine di visitare la vignetta della Santina. L’avrebbe certamente preso se non fosse stato per l’Augusto che quando lo vedeva partire o accendeva un fuoco o faceva le giratine con il  trattore con la scusa di prendere  un po’ di fresco.
Le seguge intanto  uggiolavano  ma niente di più.
Quando raggiunse le Franate, un ripido terreno ricoperto di rovi,  le cagne si agitarono e subito il Turco abbandonò il Poggiolino a se stesso.
Lui lesto  imbracciò lo schioppo e fece attenzione a non ruzzolare.
La  canea fu rabbiosa e breve, l’animale scovato al centro di un grosso rovo partì  puntando il fondo valle.
Pronto a tutto,  seguiva l’incedere della bestia che si apriva la strada tra la vegetazione, senza riuscire a vedere a quale specie appartenesse.
Alla fine di quei rovi vi era un dirupo ricoperto di paglia alta, il cacciatore  puntò la doppietta proprio li dove iniziava il precipizio.
La  faccia legnosa del vecchio era  imperlata di sudore, le gambe gli tremavano un poco ed il fucile pesava come non mai.
“Da giovane ero agile e non sentivo mai la fatica..” pensò fra se.
Proprio in quell’attimo una palla grigiastra schizzò dai rovi e si lanciò nel dirupo. L’animale quasi rotolava e saltava a causa della forte pendenza del terreno.
Poggiolino,  colto di sorpresa,  urlò all’amico: “Eccolaa…eccolaaa…”.
Beppone si strusciò gli occhi, calzò il cappello e si tenne pronto.
La  strana creatura arrivò caracollando  come  uno di quei baldacchini che i fedeli spingono a tutta velocità per ingraziarsi  i loro santi.
Terreno com’era sparò  e la povera bestia finì a gambe all’aria a pochi metri da lui.
“ Porca miseria un istrice … o quella?”.
Poggiolino raggiunse l’amico,  vide l’animale impallinato e scuotendo il  capo  si sedette per un giusto riposo.
 Il vecchio che era un omino dai capelli  bianchissimi e dall’animo sognatore  tirò fuori un  sigaro irrancidito dalle tasche della giubba: “Saranno vent’anni che non fumo” poi dopo averlo annusato disse:
 “ Peccato che non ho da accendere”. Beppone gli dette il fuoco della  sua  macchinetta.
Un fumo  che sapeva d’erba bagnata corresse quell’aria di pace.
Arrivarono le cagne e dopo un bel po’ anche il  Turco.
Beppone vedendo il suo cagnetto in quello stato  lo prese per il collo e gli spalancò le fauci :
“ Porca miseria ecco perché stava male e non mangiava, c’aveva un aculeo ficcato  nel palato ”.
 I due vecchi compagni presero a ridere come fossero tornati bambini, poi si alzarono e  andarono a preparare l’animale per la festa.
Lo spellarono della sola  parte superiore, quella ricoperta di spine, poi lo legarono all’altezza della vita  con un  pezzo di corda e lasciarono che circa un metro di questa apparisse tra le gambe dell’animale.
Beppone presa la cima della corda  si mise la bestia a spalle,  Poggiolino recuperò i cani  e così conciati tornarono verso casa.
Per tutta la via i due fecero battute e risatine indirizzate alla squadra d’Augusto mentre la bestia, agguantata  per quella falsa coda,  dondolava mettendosi in mostra.
Ugo che cacciava i sasselli a Poggio al Pero,  dalla buca del capannello vide passare i cacciatori. “ Oh  cosa hanno preso loro là… ?” penso fra se  lustrandosi gli spessi occhiali comprati ai banchetti.
Il giorno dopo il cognato di Poggiolino che abitava a Marina venne a fargli visita portandogli un chilo d’anguille di fiume.
Vista la rarità di quel cibo volle invitare Beppone e la moglie a cena la sera stessa.
La Poggiolina,  fece il sugo con la testa ed il tronco delle anguille, le code,  invece,  le frisse.
Augusto  non era tranquillo, aveva sentito sparare ai Macchioni,   poi  aveva incontrato  il tordaio e così si era messo a spiare i movimenti del vecchio.
Quando vide arrivare, tutti in ghingheri,  Beppone e la consorte  pensò che forse qualcosa era successo per davvero. Infatti,  in vita sua,  quell’ odore che proveniva dalla cucina dei Poggiolini  non l’aveva mai sentito.
In  serata  si mise a girottolare  per la comune aia.
Ad un certo punto gli parve di sentire : “ La pasta sapeva di mota,  ma la coda  fritta era eccezionale ”.
Augusto rientrato in casa  prese a dialogare con la moglie e la discussione che lui stesso mantenne sul  vago,   proseguì anche a letto.
Distaccato criticava la moda  di portarsi dietro,  come souvenir,   animali esotici che una volta fuggiti o liberati volutamente impestavano la nobile selvaggina.
“Una  bestietta  abituata  a vivere in quelle foreste,  capita  in questi calanchi argillosi  per forza prende di fango  poi metti che ti  trova  due rincoglioniti  come quelli lì che gli danno la caccia … la frittata è fatta ! ” finì lui.
“ Oh un c’avevano fatto il sugo e fritto la coda ? ” rimarcò lei mezza addormentata.
“ E si lo sai che fritto è tutto bono ! ”.
La moglie,  girata di spalle, chiuse:
“ Dormi  che s’è fatto tardi con questa storia …”.
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