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Scontro finale, per la vita...

"…Nell’aria c’era irrequietezza e si percepiva netto il fermento che preannunciava il periodo degli amori. Lui era entrato ormai nell’età adulta e aveva raggiunto la piena maturità sessuale, diventando senza dubbio alcuno il maschio dominante del branco. I maschi giovani del gruppo non osavano attentare in alcun modo alla sua autorità, riconoscendolo come capo indiscusso, ma ogni tanto giungevano da altri branchi individui che cercavano di scalzarlo, ingaggiando furiose battaglie e inseguimenti forsennati, fino al limite delle forze.

Per la verità non tutti osavano sfidarlo, perché quando lui si inalberava, con la barba eretta che sembrava la cresta di un gallo pronto alla battaglia, era un’apparizione inquietante, di un’imponenza che non aveva eguali.

Diversi pretendenti, radunando tutto il loro coraggio, avevano tentato lo scontro, ma il Nero prima li aveva inseguiti fino a sfiancarli, poi, con irrisoria facilità per le superiori doti fisiche, ad uno ad uno, li aveva respinti.

A quel punto gli avversari si diradarono, timorosi di un così formidabile avversario, fino a cessare del tutto.

Il mese di novembre volgeva al termine e chiudeva in bellezza, con una nevicata copiosa che in una notte aveva coperto ogni cosa, portando con sé un freddo polare, preludio del vicino inverno.

Da alcuni giorni non si vedevano maschi forestieri in giro, ma un mattino freddo e ventoso, quando ormai i combattimenti sembravano conclusi e i branchi assegnati, fece nuovamente la sua comparsa il maschio della nebbia.

Si avvicinò, lentamente, col suo portamento altero abituale, guardandosi intorno per individuare le minacce, fino a giungere in prossimità del branco.

Improvvisamente, il gruppo delle femmine si disperse e lui si trovò davanti il Nero.

Istintivamente si bloccò, soppesando con la sua esperienza l’avversario, la sua mole imponente, la sua giovane età, la forza, il suo incedere tranquillo, perfino indolente, verso di lui. E per la prima volta, in tutti i suoi lunghi anni, il germe di un dubbio si insinuò nella sua mente e appannò d’un velo leggero di paura il suo essere.

Ma fu un attimo. Non poteva esistere! Lui non conosceva la paura, non era mai stato battuto, aveva ucciso e mutilato più avversari di quanto ne avesse ricordo e i suoi discendenti popolavano molte di quelle montagne!

Si preparò alla battaglia, come sempre, deciso a spazzare via quella minaccia alla sua autorità, senza alcuna pietà, all’ultimo sangue.

 

 

Fu uno scontro epico.

Le ali del cielo, nere e roteanti, si fermarono a guardare, per una volta silenziose.

Intuivano le forze in gioco e sapevano che uno dei due sarebbe spettato a loro.

L’inizio fu leggero, quasi delicato. Cominciarono a correre, affiancati, superandosi con scatti improvvisi, attenti alla guardia delle corna, sempre alzata, correndo e correndo e correndo, avanti uno e l’altro dietro a testa bassa; poi viceversa, poi incrociando gli uncini, saltando da una roccia ad un ghiaione, da un pendìo ad una cresta, sempre cercando il ventre molle, la gola, la vita dell’altro.

Gli unghioni divaricati mordevano la roccia ed il terreno, zampilli di erba e ghiaccio lordavano i mantelli e il roteare folle degli occhi tagliava spicchi di cielo e sole e neve, vigili al lampo scuro della morte in agguato, vicina, in corsa.

Poi, si scontrarono.

Cozzi tremendi, senza tregua, mentre le zampe perdevano presa sul terreno ghiacciato ed una schiuma rossastra di respiri ansimanti macchiava la neve, mescolando insieme furore, sangue e sofferenza.

Ripresero ad inseguirsi, mentre il sole si alzava sempre più e il vento spingeva nuvole bianche, forme fantastiche di pensieri erranti, ad assistere allo scontro, a guardare con gli occhi del cielo il folle esistere della terra.

Non era più lotta, o conquista ma furia belluina di spiriti opposti.

Correvano, incalzati e sorretti dalla forza dell’odio, che consumava loro le viscere e il cuore, spinto ad un ritmo folle per dare forza ai muscoli e divorare terreno.

Correvano, ciechi e sordi del loro delirio rabbioso, senza più badare a null’altro che non fosse sangue, senza più vedere l’asprezza dei pendii; senza accorgersi che davanti a loro si spalancava l’abisso, di fameliche zanne e lame di roccia, spaventevoli e nascoste nell’oscurità sottostante.

Si fermarono, all’ultimo istante e incrociarono gli uncini, tenendo l’altro a distanza, fino a giungere al contatto con un urto potente, seguito dalla spinta poderosa del corpo, di ogni grammo di peso e forza e presa sul terreno.

Il Nero era giovane, ma più massiccio e pesante dell’avversario, che nonostante la sua esperienza era allo stremo delle forze, con i muscoli che tremavano per lo sforzo di resistere a quella spinta incontenibile che non riusciva, ormai gli era chiaro, a contrastare.

Erano in bilico sull’orlo del burrone, su di un terreno infido di ghiaccio e neve e la situazione si faceva di secondo in secondo più critica. Il maschio forestiero, piegando il capo riuscì a sganciarsi dal contatto e tentò di indietreggiare, dimostrando chiara l’intenzione di abbandonare lo scontro. Il Nero allora desistette, dandogli tregua e abbassando la guardia delle corna.

In quell’attimo, veloce come un serpente, l’altro abbassò il capo facendosi sotto e gli agganciò il petto con gli uncini.

Lo strappo lacerò cuoio e carne, ma non riuscì ad arrivare alla vita palpitante, nascosta da muscoli possenti, ed ebbe l’effetto di accrescere a dismisura la forza e la furia del Nero. Prima che l’altro riuscisse a indietreggiare ed a sottrarsi, lui si alzò sulle zampe posteriori e si abbatté con tutto il suo peso sul capo dell’avversario, stordendolo e cominciando a spingerlo con forza irresistibile verso il baratro.

Spingeva con tutta la rabbia della sua potenza fisica, pungolato dal dolore acuto della ferita, deciso ad uccidere.

In uno spasmodico tentativo di resistere, il suo rivale s’impuntò disperatamente, tentando di sottrarsi, ma fu inutile.

Impotente, cominciò a perdere presa e, una zampa dopo l’altra, scivolando sul ghiaccio, oltrepassò lentamente il ciglio del burrone, finché, con un fioco lamento, gli occhi enormi di terrore, precipitò. …"

 

 

Testo tratto dal volume "Lui, il Nero" di Vincenzo Decarolis

Edizioni "Il Piviere" 2011

 

 

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