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Uomini e camosci

“…Dolore, sordo e pulsante di articolazioni, muscoli ed ossa, duramente provati dalla marcia, tormentati dalle punte di roccia che per tutta notte avevano premuto contro le reni e la schiena, Franco si svegliò e si mise a sedere.

Era solo nella grotta. Il fuoco era acceso e nel pentolino fumava il latte, caldo ed invitante.

Il vento era calato e la notte stava sfumando in un chiarore lattiginoso, che dall’orizzonte s'affacciava ad illuminare una giornata plumbea e grigia.

Non nevicava, ma le nuvole formavano una cupola incombente che si estendeva ovunque, scura e minacciosa, sfiorando le cime in lontananza.

Toni era seduto su di uno spuntone di roccia e stava osservando col binocolo il fianco della montagna.

 Nella luce scarsa dell’alba si distinguevano appena i radi cespugli di ginepro dalle rocce che costellavano i bordi della spaventosa spaccatura, che avevano aggirato la sera prima.

Franco si sedette vicino a lui e gli porse la tazza di latte.

-Hai visto qualcosa?-

-Troppo presto. Questa zona è parzialmente in ombra e, vista la temperatura, è probabile che siano sul versante di fronte, più a sud.-

-Ci muoviamo?-

- No. E’ meglio che aspettiamo più luce, per controllare bene e decidere dove andare. Fai colazione poi prendi il binocolo e controlla la montagna di fronte.-

Nell’ora successiva avvistarono diversi stambecchi, alcuni camosci solitari, sicuramente maschi, ma nessuna traccia del branco che erano venuti a cercare, per cui Toni decise di spostarsi aggirando il fianco della montagna.

Raccolsero le loro cose e lasciarono la grotta, ma prima ricostituirono la scorta di arbusti secchi, che a detta di Toni, sempre previdente, potevano tornare utili una prossima volta.

E, mentre arrancavano sui pendii ripidi di sfasciume roccioso, cominciò a nevicare.

Fiocchi radi e ghiacciati, che colpivano come punture di spillo il viso e gli occhi dei due uomini e che in breve tempo imbiancarono d’una leggera ragnatela ogni cosa.

La temperatura molto bassa impediva l’infittirsi della nevicata, che si manteneva moderata, ma costituiva comunque un ostacolo alla marcia, accumulandosi e rendendo estremamente scivoloso il passo.

Il fianco della montagna era costituito da una serie di piccoli canali, che salivano verso la cresta e ogni volta che riemergevano da un avvallamento, Toni, prima di valicare il crinale, sporgeva oculatamente la testa per controllare la presenza di selvatici; poi, faceva segno al compagno di proseguire e affrontavano l’avvallamento successivo.

Improvvisamente, durante l'ennesima occhiata di controllo, Toni, invece di proseguire si acquattò, facendo segno al compagno di mantenere il silenzio e di stare giù a terra.

Cautamente, sporsero appena lo sguardo, mimetizzandosi tra i ciuffi d'erba secca.

E li videro!

Erano più in alto rispetto a loro e a circa cinquecento metri di distanza.

Brucavano tranquillamente, sparsi sul crinale che avevano di fronte, diverse femmine, piccoli e alcuni maschi giovani, tra cui un esemplare di femmina molto anziana, con un trofeo che a prima vista sembrava fuori del comune.

Era il branco del crepaccio che stavano cercando e Franco, le mani tremanti per l’emozione, prese il binocolo per osservare meglio l’animale.

Aveva un trofeo eccezionale, alto e stretto, che pareva quasi di un maschio, con un'età apparente di sedici - diciotto anni e senza piccolo, perché ormai in età non più fertile da diversi anni.

Toni lo toccò leggermente sulla spalla, facendogli segno di abbassarsi e gli sussurrò all’orecchio:

-Dobbiamo salire un po’. Teniamoci bassi nel canalone per restare fuori vista. Vienimi dietro, ma attento a dove metti i piedi!-

Controllò la direzione del vento guardando la neve che aveva iniziato a cadere copiosa, poi, visto che era a favore, cominciarono a salire cautamente verso la cresta.

 

 

Molto al di sopra di loro, in piedi su di una cengia di roccia, il Nero osservava immobile ogni loro movimento.

L’odore del fumo portatogli dal vento l’aveva messo in allarme, quando ancora non era giorno e una rapida ricerca gli aveva permesso di scoprire i due intrusi, all’uscita della grotta.

Era preda di un’inquietudine strana, mentre seguiva con lo sguardo i due uomini che salivano lentamente verso la cresta, avvicinandosi sempre più al suo branco, ai suoi compagni, che continuavano a pascolare, ignari del pericolo.

Li vide gattonare cauti verso il bordo di roccia che li nascondeva alla vista del branco e prendere posizione con lo zaino davanti a sé, preparandosi al tiro.

Lui non capiva, non poteva sapere cosa stava per accadere ed osservava turbato le movenze guardinghe, tipiche di un predatore che si prepara all’assalto.

Allarmato, si decise infine ad avvertire il branco di un possibile pericolo ed emise un fischio potente di allarme, che fece alzare la testa a tutti i componenti.

Ma era troppo tardi.

All’improvviso, una lingua di fiamma, luminosa come un sole, scaturì dai due uomini e un rombo spaventevole colmò la vallata, rimbalzando dalla terra verso il cielo, ripetendosi da ogni parete della montagna, rotolando minaccioso verso l’orizzonte, fino ad esaurirsi in un brontolio lontano di tuono.

Il branco si disperse istantaneamente, in tutte le direzioni, senza la loro guida che rimaneva immobile, ancora in piedi.

Poi, lentamente, quasi al rallentatore, scivolò a terra, rimanendovi immobile; solo un piccolo spasmo incontrollato delle zampe posteriori animava ritmicamente la figura altrimenti inerte.

Tutta la scena gli si impresse indelebile nella memoria, come un marchio a fuoco sulla pelle e lo lasciò annichilito per alcuni secondi, incapace di una qualsiasi reazione.

Neppure pensò a fuggire, per la sua sicurezza; guardava l’anziana decana a terra e, ad un certo punto cominciò a scendere, avvicinandosi al corpo immobile, con un’urgenza che si faceva strada in lui, man mano che procedeva e che lo portò a giungere vicino a lei in pochi minuti.

Nemmeno fece caso ai due uomini che, ancora lontani, si stavano avvicinando lentamente, con la loro goffa andatura ondeggiante.

Respirava ancora, debolmente e lui le sfiorò con il muso la testa, spruzzata dal grigio dei suoi tanti anni, tentando di rianimarla, di capire, di aiutarla.

Appoggiò il capo contro di lei e lì vi rimase, ascoltando il battito sempre più debole del suo cuore e in quell’ultimo istante di vita un messaggio, in qualche modo, riuscì a farsi strada tra quei due spiriti primigeni, esplodendo nella mente di lui in un’unica parola, gridata con le ultime forze: “ PROTEGGILI! “

Poi, la fiammella si spense e lei ristette, immobile.

Il Nero rialzò il capo, ancora stordito da ciò che era successo e si avvide dei due uomini che si stavano avvicinando. Pian piano si fece strada in lui una sorta di comprensione dell’accaduto e, istintivamente, li vide come i responsabili di tutto quanto.

Nello spazio di un attimo, nella sua mente primordiale esplose incontrollabile la furia e, contro ogni regola, contro ogni principio, che lo volevano un’animale mite e pauroso dell’uomo, lui caricò.

Si lanciò con un impeto incontrollabile di pazzia e furore contro le odiate figure erette, con tutta la potenza della sua prestanza fisica, abbassando all’ultimo istante il capo per colpire, per abbattere e calpestare a morte.

Toni ebbe appena il tempo di spingere a terra rudemente il compagno e buttarsi di lato anche lui; il camoscio passò fra loro ad andatura folle, pronto ad incornare e, non trovando l’obiettivo, proseguì nella sua folle corsa; saltò a piè pari il canalone di risalita, con uno scatto incredibile, che gli fece superare in volo gli oltre dieci metri della fenditura, sparendo poi oltre il fianco della montagna. …”

 

 

Tratto dal volume: “ Lui, il Nero” di Vincenzo Decarolis. Edizioni “Il Piviere” 2011

 

 

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