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Arci Caccia fa quattro chiacchiere con Renata Briano, neopresidente del Comitato Scientifico di Fondazione Una

Fondazione Una rinnova i suoi organismi e al vertice del suo Comitato Scientifico troviamo con piacere una vecchia conoscenza del mondo venatorio: Renata Briano, dottoressa in Scienze Naturali, ex Assessore alla Caccia della Regione Liguria, ex Parlamentare Europeo, sempre molto attenta alle istanze di tutto il mondo rurale, fino a svolgere il ruolo di Vicepresidente dell’Intergruppo Biodiversità, ruralità e attività venatoria del Parlamento Europeo. L’abbiamo raggiunta telefonicamente e le abbiamo rivolto alcune domande, utili a capire meglio cosa farà da ora in avanti la Fondazione:

Buonasera Renata, finalmente una donna ai vertici di un’importante fondazione legata al mondo rurale. Cosa cambierà in Fondazione Una con il tuo arrivo?

Fondazione Una, indipendentemente dalla mia figura, ha deciso di rafforzarsi in questa fase del suo cammino. Dopo un primo periodo di crescita e di lancio di progetti che hanno dato risultati positivi ha deciso di cambiare puntando molto sul Comitato Scientifico, organismo composto da persone di grandissima professionalità e, cosa molto interessante, provenienti da mondi diversi tra di loro che dobbiamo portare a collaborare. Abbiamo esperti di natura, che lavorano nei parchi o fanno ricerca in università, esperti di economia che possono aiutare a capire qual è l’impatto dell’attività venatoria sul tessuto produttivo ed esperti di alimentazione, in larga parte provenienti da Slow Food. Quindi, quello che sicuramente in qualche modo cambia è il ruolo del Comitato Scientifico. Io ci metterò tutto quello che posso della mia esperienza, sia a livello politico che scientifico, visto che, il lavoro che ho fatto prima della politica era un lavoro di ricercatore universitario in ambito faunistico. Perché il messaggio che Una vuole portare avanti è essenzialmente politico, dove in qualche modo la natura e la difesa della biodiversità sono al centro e in questo, l’attività venatoria ha un ruolo fondamentale. Ovviamente, quella praticata dal “cacciatore gestore” moderno, proiettato verso il futuro. Il Comitato scientifico dovrà creare anche nuovi rapporti, farsi conoscere, aiutato dal vicepresidente Veneziano e dai delegati territoriali e per raggiungere questo risultato verranno coinvolti ATC e CA che dovranno farci da portavoce dove la nostra penetrazione risulta più debole. Per fare questo, ci sono stati degli innesti importanti, tra cui giovani che dovranno occuparsi di molte cose, tra cui la comunicazione, che una delle parti più importanti del progetto.

Fondazione Una portava avanti numerosi progetti che, purtroppo, in questi due anni, come il resto del mondo, hanno dovuto fermarsi. Come avverrà o sta avvenendo la ripartenza?

L’idea è quella di ripartire con i progetti in modo anche più attivo di prima, perché, per esempio, tutto il lavoro sulla filiera del cinghiale fatto in provincia di Bergamo, con la collaborazione dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha bisogno di essere esteso secondo le indicazioni del nostro referente Barbero. Questo processo, però, ha bisogno di riunioni in presenza e confronto, così come altre iniziative, ad esempio quelle che impegnano i cacciatori nel recupero degli ambienti e nella pulitura di boschi e sentieri. Speriamo che le vaccinazioni ci aiutino a ripartire con le iniziative e le fiere. A settembre, pandemia permettendo, parteciperemo a Futura, la grande fiera dell’economia circolare che si svolgerà a Brescia. Un’occasione per portare il nostro messaggio fuori dal mondo venatorio.

La Fondazione ha un compito davvero arduo, fare il proprio lavoro di associazione di tutela ambientale e al contempo far emergere il ruolo di gestore del mondo venatorio nella società civile. Come si può riuscire a portare a casa questo risultato?

Ci si può riuscire, ad esempio, cercando di sviluppare al meglio la comunicazione perché io credo che nel passato, forse, il cacciatore si è un po’ parlato addosso e adesso è ora di cambiare. Occorre uscire dai soliti luoghi fisici e virtuali e parlare su altri palcoscenici che sono più comuni al mondo animalista a cui è dato sempre molto, forse troppo, spazio. Qualche giorno fa ho parlato a una radio con un target che parla ai giovani. Mi hanno intervistato due giornaliste, una che conosceva la caccia di selezione e la sostenibilità ambientale di questa attività; l’altra, invece, era vegetariana e quindi di fatto già un po’ contraria. Abbiamo fatto insieme un ragionamento e, pur riconoscendo che “è meglio mangiare un cinghiale che un maiale di allevamento intensivo”, a loro detta per chi è vegetariano continua ad essere meglio avere una dieta vegetale. A questo ho risposto che, proprio l’agricoltura, che produce le verdure, è in profonda crisi per la presenza del cinghiale che ancora non è gestito in modo sufficiente; il tutto cercando di far loro capire anche queste contraddizioni. È stato un modo per parlare ad altri mondi, perché occorre pubblicizzare tutte le azioni positive che i cacciatori fanno per l’ambiente, come primi difensori della biodiversità e avversari del bracconaggio. Perché non ci scordiamo che l’Europa dice che la perdita di biodiversità ha molte cause, principalmente l’agricoltura intensiva, la cementificazione e l’inquinamento, ma non la caccia, perché questa è regolata in modo da essere sostenibile. Infatti, il prelievo su una specie viene fatto se è in salute, mentre se è in crisi la si chiude. Inoltre, il mondo venatorio deve essere netto nella condanna del bracconaggio, senza timidezze, e occorre evitare di spettacolarizzare il carniere. Mi ricordo che mio padre, ex cacciatore, trovava soddisfazione nel lavoro del cane, nel contatto con la natura, mentre l’abbattimento della preda per lui era l’ultima cosa.

In questa prima parte dell’anno, alcune associazioni semisconosciute hanno avviato campagne referendarie contro la caccia. Cosa ne pensi?

Briano Fondazione UnaSono sicuramente contraria allo svolgimento di referendum pro o contro la caccia, perché si tratta di una materia molto complessa, su cui è necessario ragionare e confrontarsi, cosa che non può riuscire dicendo si o no a un quesito. Penso, inoltre, che noi abbiamo una legge sulla caccia che è stata costruita con grande abilità, cercando di mettere insieme e far collaborare tutti gli attori, garantendo una grande democrazia nella gestione di questa attività. E’ chiaro che sia una legge che si può migliorare ma, piuttosto che abrogarla, o modificarla in modo sbagliato, sicuramente è meglio lasciarla com’è. Credo che questi referendum, tra l’altro, abbiano scopi diversi dall’abolizione della caccia, scopi più politici, tanto che molte associazioni ambientaliste nazionali ne hanno preso le distanze.

La Fondazione è un luogo di sintesi a cui contribuiscono portatori di interesse molto diversi tra loro. Non sarebbe auspicabile arrivare ad un confronto permanente tra i mondi venatorio, agricolo e ambientalista?

Sarebbe importantissimo e bisogna creare un percorso che arrivi a questo risultato. Occorre fare azioni comuni, concordate anche con quella parte di mondo che magari non è così favorevole alla caccia e bisogna fare tutto con molta umiltà. Occorre far capire ad agricoltori ed ambientalisti che i cacciatori sono fondamentali se si vuole fare la gestione di molte specie ma anche se vogliamo tenere un po’ di attività nell’entroterra. Come ci dice Cioppi, l’esperto economico del Comitato Scientifico, dietro la caccia c’è un’economia che rafforza alcuni territori che per me sono fondamentali e che non sono le città ma nelle aree marginali. E caccia, pesca e raccolta dei funghi portano persone, e quindi economia, nelle trattorie, nei ristoranti, nelle affittacamere di luoghi dove c’è un gran bisogno di lavorare. Inoltre, vanno affrontati e risolti nodi divisivi come il bracconaggio, ma anche il problema causato dall’esubero numerico di alcune specie. E ciò va affrontato con coraggio da tutti, compresa la politica, che spesso su temi divisivi come la caccia tende a svicolare.

Arci Caccia, a settembre, celebrerà il suo Congresso Nazionale e ha prodotto un corposo documento tecnico politico. So che hai avuto modo di leggerlo, che ne pensi?

Direi che il vostro più che un documento è un manifesto. Il manifesto del cacciatore paladino dell’ambiente, quello che poi, diciamolo, è l’obiettivo e il motto della Fondazione Una. La vostra visione è decisamente avanti e credo che ci sia voluto coraggio per parlare ai cacciatori in questo modo perché, forse, non tutti sono ancora pronti a ricevere questo tipo di visione. Io sono assolutamente d’accordo con tutti i punti contenuti nel testo, scritto, tra l’altro, molto bene, con grande equilibrio, che trovo assolutamente in linea con il pensiero portato avanti dalla Fondazione. Questo fa ben sperare che la collaborazione possa continuare non solo con Arci Caccia ma anche con le altre associazioni. Perché credo che ci sia bisogno di un forte dialogo con tutte le categorie ma anche tra le associazioni venatorie perché, comunque, la caccia è un settore che sta perdendo numeri e, l’ultima cosa, di cui c’è bisogno sono le guerre intestine.

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