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L'esultanza del Cacciatore

E’ un fatto usuale: tutti coloro che sono impegnati in un’attività sportiva o agonistica esultano quando raggiungono un obiettivo importante. Quando la posta in gioco è molto alta, la tensione alle stelle e lo sforzo prolungato, la gioia diventa incontenibile e ci si abbandona ad essa con salti, urla e piroette.

Accade ai campioni di sci al termine di una discesa da brivido, quando superano l’ultimo paletto e sollevano le racchette al cielo. Accade anche a quei tennisti che sono soliti accompagnare un urlo con la stretta possente dei pugni che fa risaltare la potenza degli avanbracci. Fanno scuola in materia di esultanza i grandi campioni di calcio, capaci di esibire un corollario di atteggiamenti che non ha eguali: salto del cartellone, strisciata pancia a terra, piroetta da ginnasta, saluto al pubblico, saluto romano al pubblico, dito alle labbra per intimare il silenzio, abbraccio di gruppo, ballo di gruppo, trenino, ammucchiata, esibizione di magliette con i saluti alla mamma, alle fidanzate o a Gesù, straccio della maglietta, urlo acuto, grido profondo, risata stridula, sguardo feroce, sguardo piangente, braccia alzate al cielo, braccia abbassate, braccia conserte. E non succede soltanto tra i grandi idoli delle serie maggiori, coscienti di essere inquadrati dalle telecamere. E’ qualcosa che matura fin da bambini, quando si rincorre una palla sgonfia sui campetti spelacchiati dei paesi. Embrionali imitazioni di ben più grandi maestri.

Maggiore è il pubblico che assiste all’evento e maggiore sarà il riverbero amplificato dalla folla, laddove al grido di un singolo giocatore si uniranno le voci di molte migliaia di tifosi e a un “batti cinque” risponderà la “ola” di un esercito di mani all’aria. 

Dall’ormonale dimostrazione del gorilla alfa che si batte i pugni sul petto, l’esultanza diventa dunque gioia condivisa, si trasforma in qualcosa che unisce facendo palpitare all’unisono molti cuori. Diventa infine spettacolo. Questa è la felicità allo stato puro, lo spasso senza pensieri, il momento in cui ci si può abbandonare ad un breve stato di godimento che non ha bisogno di freni inibitori: si può urlare, ridere e brindare ed è bello che sia così. Per l’uomo di oggi, che fin troppo spesso è ingabbiato tra le sbarre invisibili dell’ansia, del dovere e della responsabilità, l’esultanza dello sportivo è una delle più genuine rappresentazioni del divertimento.

Anche il cacciatore esulta quando riesce a catturare la preda, non per forza con il fucile, ma quasi sempre la soddisfazione viene espressa in maniera alquanto diversa, si potrebbe dire con una certa moderazione. Si prova piacere nella caccia, si gioisce, e tuttavia non si urla e quasi mai si stringono i pugni o si alzano le braccia al cielo. Qualche volta semmai può scapparci un insolito bacio al cane che riporta la beccaccia, la stretta di mano ad un compagno di battuta o la lacrima sul corpo di un vecchio camoscio. E’ un altro modo di godere. Forse la caccia, sotto qualsiasi forma venga intesa, possiede in sé una sacralità che viene percepita inconsciamente da chi la pratica e che impone una sorta di raccoglimento e di moderazione. La caccia non è uno sport e la gioia che comporta non può essere sguaiata. E’ una passione, un rito che ci lega ai nostri antenati e che ci fa assomigliare agli altri predatori del mondo che ancora vivono in assoluta simbiosi con la natura.

E questo è un altro motivo per cui vale la pena essere cacciatori: per testimoniare di fronte a questo mondo sempre più “stranamente” allegro che si può anche gioire seguendo dinamiche diverse, che può esserci anche sobrietà nell’esultanza…e un’educazione che qualche volta chi esulta si dimentica.

 

Ma intanto esultiamo per questo periodo di gioia che è la Pasqua. Tanti auguri.  

 

Marco Sartori

 

 

 

 

 

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