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L'Unione fa la forza

Chi mi conosce sa che non sono mai stato granché interessato dall’associazionismo. Mi è sempre parso che, frammentate, disperse, qualche volta in aperto conflitto tra loro, troppo spesso le associazioni si siano nascoste dietro belle parole trovando poche soluzioni tangibili ai reali problemi dei cacciatori, soprattutto quando ricorsi, tranelli e ratifiche varie mettevano in discussione le aperture e una serena prosecuzione dell’attività venatoria. Devo ammettere di esser sempre stato uno degli scettici: un tesserato disilluso come tanti, che paga con ben poche speranze di ottenere un servizio in cambio!
Oggi credo che in Piemonte, la nostra regione, sia stato fatto un grosso passo avanti perché le associazioni possano davvero avere parte attiva nella gestione del territorio e questo passo è stato la costituzione del Coordinamento delle Associazioni Venatorie Piemontesi. Un esperimento, fra i primi ad essere messo in atto in Italia, che riunisce sotto un’unica bandiera la Libera, l’Arci, l’Enal, l’Italcaccia, la Federcaccia insieme all’Anuu Migratoristi e all’E.P.S.
Un segnale importante in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla crisi dei legami personali, da frammentazioni politiche e nazionali a tutti i livelli (pensiamo a quello che sta succedendo in alcuni paesi esteri): l’unione di associazioni che, pur mantenendo le proprie identità storiche, si prefiggono di lavorare sul territorio con obiettivi comuni.
Un Coordinamento che si pone come priorità la realizzazione di indirizzi di gestione unitari per quegli ambiti e comprensori della regione che oggigiorno formano una galassia eterogenea e variopinta, sostenuta dai più fantasiosi regolamenti possibili. E basta guardare come viene recepita ed applicata nelle diverse sedi la recente (e in qualche punto bizzarra) normativa per il prelievo del cinghiale per capire quanto bisogno ci sia di dare una nuova impronta al sistema. Vallata che vai, usanza che trovi! E discorsi analoghi si potrebbero fare per il prelievo del capriolo o l’organizzazione dei censimenti alla tipica fauna alpina o ancora i ripopolamenti della stanziale.
Invece qui si parla di unire, di lavorare insieme ad un progetto comune, di proporre istanze intelligenti per il bene di tutti, mettendo da parte la logica dell’interesse personale per sfoderare la formidabile arma dell’unità.
Un modus operandi davvero innovativo. Questa è la grandezza dell’essere umano che troppo sovente viene dimenticata e che i cacciatori in questa occasione sono riusciti a tirare fuori: persino il bramito di un possente cervo a ottobre può essere facilmente disperso dal vento, perdersi tra le montagne e rimanere inascoltato; ma un coro di voci affiatate, convinte, che cantano come una sola persona, è qualcosa che può abbattere i muri e smuovere il mondo. Questo bisogna fare: muoversi insieme, formare una sola voce autorevole (non autoritaria) che tutti possano sentire, impegnandosi a crescere e ponendo la cultura come motore centrale del sistema.
Solo così sarà possibile difendere e valorizzare la figura del cacciatore, restituendole la dignità che merita e ridando prestigio a un’attività venatoria in buona parte danneggiata dall’arguzia dei suoi accaniti oppositori e qualche volta anche dalla scarsa lungimiranza di coloro che avrebbero dovuto sostenerla e non l’hanno fatto.
Una volta tanto un luogo comune che mi risulta simpatico: l’unione fa la forza!
Io mi auguro che sia così e che ancora una volta il Piemonte precorra i tempi, diventando un esempio positivo per il resto d’Italia.    
Marco Sartori
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