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La Regina dei miserabili

 

 

 

Quante volte la mia mente ritorna presso di lei! Rustica, decisa, instancabile. Con quei suoi occhi neri e tondi, dotati di un’espressione tutta particolare che nessun’altra creatura possiede. E quel suo profumo dolce che sa di buono, di pulito e genuino.

E’ lei: gioia e delizia dei miei autunni, incarnazione di sogni ed emozioni, oltre che viva speranza per il futuro. Sua maestà la beccaccia.

Sono anni ormai che mi interrogo sul mio rapporto con essa, ricercando dentro di me i motivi che la fanno obiettivo privilegiato del mio esser cacciatore, e non sono ancora convinto di essermi dato una risposta adeguata: forse alla fine tutto si riduce alla sua caratteristica peculiare che sembra essere quella di rappresentare perfettamente la ricerca profonda di cui l’Uomo ha bisogno. Questo piccolo frequentatore dei nostri boschi mi ha ispirato spesso spingendomi a scrivere racconti, incidere immagini, pubblicare articoli, facendomi così scoprire membro di una brigata composta da ben più illustri compagni.

Autori, poeti, pittori e scultori di tutti i tempi si sono dedicati allo studio e alla rappresentazione delle sue forme, affascinati dal mistero che la permea. E l’hanno descritta con molte metafore suggestive: maga, maliarda, regina del bosco; definendo poi sé stessi con epiteti altrettanto affettuosi: amanti, amici, quando non addirittura seguaci.

Caccia che si trasfigurata in pura arte.

Oppure arte che si fa cruda retorica e grottesca finzione?

Non lo so, sono molto confuso. Perché laddove si incontrano persone stregate, dedite al culto con tanto fervore, innamorate quando non veramente seguaci, il primo atteggiamento che salta all’occhio di un osservatore non può che essere quello di un reverenziale rispetto: un’ansia velata, quasi una forma di timidezza. Non dimentichiamo che gli occhi di un giovanotto infatuato spesso sono quelli di qualcuno che non riesce a sollevare lo sguardo per timore di incontrare, a volte di perdere, la donna che gli ha rubato il cuore. Questo è sintomo di un sentimento genuino, privo di retorica. L’oggetto dell’amore si fa delicato, si gode nel contatto, ma si ha paura di toccarlo e di romperlo.

E’ veramente così? C’è tutto questo rispetto dietro la poesia con cui si decanta la nostra regina? Quando sfoglio riviste o lancio un’occhiata su internet ai vari gruppi e forum che trattano l’argomento, quando parlo con amici cacciatori, spesso ho l’impressione che le cose non vadano affatto in questo modo. Mi riferisco alle piccole mancanze di tatto quali sono le segnalazioni multimediali di avvistamenti e passo, lanciati attraverso l’etere quasi si trattasse di intercettare stelle cadenti; mi riferisco alle esposizione di fotografie di ghiotti carnieri, già macabre quando si tratta di sardine, che fan tanto onore al cane e al tiratore ma ben poco riguardo mostrano per i mucchietti di penne stesi in fila sul cofano dell’auto. Mi domando dove sia tutto questo sentimento quando i cacciatori mostrano palese incapacità di allontanare il dito dal grilletto in barba a qualunque legge regionale o nazionale, portando a casa ben più di quanto è consentito giornalmente o annualmente. O quando battono il bosco mettendo al collo del proprio ausiliare uno strumento gps che la scienza ha messo a disposizione per il reperimento dei segugi dispersi al termine di una battuta ai cinghiali e non certo dei cani da ferma!

E mi domando ancora dove sia questo sentimento, questo rispetto, questo amore, quando si affrontano discorsi sulla gestione della beccaccia con cinofili e beccacciai che si arroccano su posizioni assurde, come quella di definire inutili i limiti del carniere, dimostrando quanto immatura sia ancora la loro formazione (proviamo a pensare a cosa sarebbe oggi la caccia di selezione negli ungulati, il più raffinato sistema di gestione della fauna attualmente esistente, senza la definizione di limiti nel prelievo). Tutto questo senza tener conto del fatto importantissimo che negli ultimi decenni la pressione venatoria è aumentata in maniera esponenziale in tutta la penisola e l’attenzione per la beccaccia, da caccia per meri appassionati, è diventata condizione abituale pressoché per chiunque possieda un cane da ferma.

No, ecco. Vista sotto questa luce la retorica con cui si dipinge il nostro prezioso scolopacide mi pare quanto meno disgustosa: se per titoli onorifici si deve proprio parlare, quello che le si addice maggiormente credo sia proprio quello di regina dei miserabili.

E se è vero che il mondo della caccia oggi più che mai ha bisogno di coesione, di un comune procedere senza darsi addosso uno con l’altro, di parole pacate, pure io non me la sento di uniformarmi a una tendenza che non mi piace. A me questo stato di cose non sta bene.

Eppure, nonostante tutto, resto fiducioso. Sono uno scrittore e credo nella forza dell’arte e della cultura. Credo nella possibilità di evocare immagini e non penso che sia tutto vano: dietro le poetiche parole con cui tanti autori hanno definito la loro passione per la beccaccia si celano davvero buone intenzioni. E allora spero che questo anno nuovo porti maggiore sensibilità in coloro che pensano che la cosa più importante al mondo sia quella di "servire" o "addestrare" il proprio ausiliare. Spero, come ho sempre fatto, che il futuro porti consapevolezza e azioni ponderate nei cacciatori miei colleghi, al fine di avere un giorno un piedistallo vero, fatto di metallo pregiato e pietre preziose, non di balsa e cartone, su cui elevare la nostra sovrana.

 

 

Marco Sartori

 

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