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Questione di cultura

Capita, qualche volta, di sentirsi fortunati: di accorgersi della bellezza della vita che ogni tanto sembra grigia e monotona, di essere protagonisti di un evento emozionante o di assistere ad un incontro che passerà alla storia.
Sabato scorso ho avuto il privilegio di presiedere la premiazione del primo concorso letterario Scrivendo e Cacciando e mentre stavo là seduto nel mio cantuccio, osservando quella sala gremita di centinaia di persone, sentivo che in quel momento stava senza dubbio nascendo qualcosa di grande. In quel di Vicenza, rapiti dall’abilità oratoria dell’anfitrione Alessandro Bassignana, ammutoliti di fronte all’incanto della lettura del racconto vincitore, scritto da Claudio Zanini, tutti quei cacciatori erano lì con uno scopo ben preciso: non era per brindare alla conclusione della solita gara di tiro al piattello o per commentare il valore dell’ennesima rassegna trofeistica (manifestazioni comunque di indiscussa importanza). Quei cacciatori sabato erano lì per ascoltare e per parlare di letteratura. Già, proprio così.
Ognuno con la propria storia personale, ognuno sotto la propria bandiera, quegli uomini e quelle donne erano là perché credevano fermamente che una parte fondamentale del mondo venatorio consista nella capacità di trasmettere ciò che abbiamo dentro. Sognando Barisoni o Mario Rigoni Stern, ambendo a una pubblicazione oppure soltanto per gioco, quelle persone hanno capito che scrivere e leggere sono cose importanti: che la narrativa ha il potere di donare qualche istante di gioia e di serenità e che al tempo stesso è in grado di affidare gli eventi alla memoria, di imbalsamarli, come ama dire il buon Mauro Corona, perché un giorno i più giovani possano leggere ed apprendere.
Saper scrivere significa avere le idee chiare: unire conoscenza e competenza tecnica ad abilità nella comunicazione. Questo è il passaggio fondamentale: la necessità di fare cultura, che è anche più che mera divulgazione. Questa deve essere la parola chiave del nostro futuro. Cultura.
Se la caccia ai nostri giorni non viene più giustificata, se viene analizzata dai più come attività anacronistica e distaccata dai bisogni dell’uomo di città, è perché ciò che manca al cacciatore moderno è una valenza sociale. Ma se i media non sono dalla nostra parte e ci muovono guerra facendo leva sull’emotività dei commentatori, a mio avviso possediamo un’arma formidabile per vincere questa battaglia: dimostrare giorno dopo giorno che è proprio la nostra cultura a legittimarci. Che siamo promotori delle tradizioni e custodi della scienza. Che sappiamo comunicare, insegnando quanto sappiamo sull’ambiente e sulla natura, rispondendo alle provocazioni senza cadere nella volgarità.
La letteratura venatoria deve ritornare ad essere a pieno titolo parte di quella letteratura tout court che ogni giorno le genti di tutto il mondo consultano, uscendo così dalla nicchia in cui è stata relegata, ma temo che la strada sia ancora lunga: potrà accadere soltanto quando il ruolo del cacciatore sarà nuovamente inserito nel tessuto sociale della nostra epoca.
Perciò è importante che sempre più cacciatori si dedichino con impegno anche a questo aspetto della loro passione. E di fronte al successo di Scrivendo e Cacciando ho avuto finalmente l’impressione che sia stata scoperta la giusta ricetta per riavvicinare i cari amici nembrotti alla narrativa. Come se una scossa avesse attraversato l’aria satura di gente della Fiera di Vicenza. Laggiù c’erano appassionati d’armi e di coltelli, falconieri e segugisti; c’erano cappelli in loden con la penna del forcello, giacche di fustagno e pantaloni impermeabili; c’erano scarponi consumati e stivali che non fanno passare l’acqua. Carabine, doppiette, semiauto e canne slug. Ma soprattutto c’erano libri e gente che li sfogliava.      
Qualche tempo fa uno dei soliti slogan animalisti in cui mi sono imbattuto diceva che la caccia è per gli ignoranti.
Credo che mai come questa volta i cacciatori siano stati in grado di smentire i propri detrattori.    
Marco Sartori
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