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Trasmissione dei valori e importanza degli esempi

Lo avete mai notato? E’ un fatto molto curioso! Esiste una caratteristica particolare che spesso accomuna il ritrovo per una mattinata di censimento in montagna e una di quelle messe celebrate di sabato pomeriggio sul tardi: quasi sempre a partecipare a entrambi gli eventi sono persone di età piuttosto avanzata. Tempo fa leggevo da qualche parte che le statistiche rilevano dati interessanti: i giovani stanno tornando ad avvicinarsi al mondo della caccia. Davvero? Personalmente non me ne sono accorto. Che si dedichino alla selezione piuttosto che alla migratoria, alla cinofilia piuttosto che alle battute al cinghiale, la stragrande maggioranza dei cacciatori del nostro paese ha spesso in comune il fatto di avere capelli grigi e barbe argentate. L’età avanza inesorabilmente sulla nostra categoria. Per carità, a caccia, ai censimenti o alle serate di approfondimento si incontrano anche  cinquantenni o giù di lì. Comunque molti meno rispetto ai primi. E purtroppo per contare i miei coetanei e quelli ancor più giovani quasi sempre bastano le dita di una mano.

Non so chi abbia steso certe statistiche, ma sulle nostre montagne l’età media dei cacciatori è davvero molto elevata, tanto che a mio avviso tra qualche decennio, quando gli attuali over-sessanta avranno loro malgrado appeso il fucile al chiodo, sarà necessario ripensare il nostro modo di concepire la caccia. Credo sia evidente che dagli anni ottanta in poi l’interesse delle nuove generazioni si è allontanato costantemente dal mondo venatorio: la caccia, proprio come la messa prefestiva, è diventata un’attività anacronistica, in qualche modo staccata dal tessuto della società, che assegna alla vita ben altre priorità. L’ho già scritto altre volte: è un sintomo del distacco dell’uomo moderno e metropolitano dell’ambiente naturale. E’ una questione complessa di cui si parla e si continuerà a parlare. Ma mentre la gente comune ha una sorta di giustificazione culturale o evolutiva per questo allontanamento dal selvaggio, c’è una categoria di persone che invece non capisco. Dove sono coloro che un legame stretto con la caccia dovrebbero averlo avuto fin dalla nascita? Dove sono i figli e i nipoti di tutti quei cacciatori anziani che ancora alimentano le file di partecipanti a censimenti e stagioni venatorie? Perché ci sono uomini anziani che vanno a caccia mentre i loro discendenti se ne disinteressano completamente fino, in alcuni casi, a dichiararsi abolizionisti? Qualcosa non ha funzionato. Forse la società del secondo dopoguerra era una società di cacciatori, ma di cacciatori in qualche modo sterili, incapaci cioè di trasmettere i  valori in cui credevano.

Mio padre era persuaso che nell’attività venatoria fosse radicata una componente educativa e credo fortemente che avesse ragione: un cattivo cacciatore non ha nulla da insegnare e non riesce a trascinarsi dietro il figlio. Non trasmette valori perché non ne ha o ne ha troppo pochi. Spara per sparare e non sa spiegarne il motivo. Non comunica. Se la caccia si riduce ad uno sport o ad un hobby a cui ognuno può dedicarsi per il proprio personale diletto o ambizione, per un godimento riservato soltanto a sé stessi, essa diventa un’attività chiusa e che non genera nulla. Ma se il cacciatore è motivato, consapevole, aperto alla collaborazione con gli altri, capace di comunicare e dotato di un bel bagaglio di competenze tecniche, oltre che di etica, avrà molti strumenti in più per trasmettere quanto la sua passione sia forte. Sono convinto che la caccia ben fatta sia qualcosa di buono, positivo e fecondo e che possa essere ancora un’attività accattivante agli occhi di un giovane. Soprattutto quando ad essa si abbina l’intenzione di agire per la tutela del territorio e la salvaguardia del patrimonio ambientale. Allora sì che la caccia viene condita da una miscela di valori positivi che ognuno desidera far propri. Poi non sarà una regola, per carità: esistono di sicuro anche ottimi genitori e figli riottosi o vie di mezzo complicate e difficili da spiegare. Ma è certo comunque che un esempio positivo da seguire è un eccellente punto di partenza.

Perciò i cacciatori parlino con i loro ragazzi e le loro ragazze, li convincano a seguirli: non promettano il tiro del secolo o fiumi di sangue. Queste sono cose che fanno breccia nell’animo di un fanciullo, ma per cui l’entusiasmo si secca come una pozzanghera al sole. Mostrino piuttosto quanto è bello avere  il cielo pulito sopra la testa, meglio di qualsiasi soffitto illuminato in discoteca, o che vibrazione sanno donare la guidata di un setter, la canizza di una muta e il bramito del cervo a ottobre. Nutrendo di emozioni indelebili gli occhi e lo spirito dei ragazzi, persuadendoli che la caccia è una strada per raggiungere un genuino contatto con la Natura, forse si potrà creare una vera alternativa ad un futuro patinato fatto di gossip, videogiochi e talk-show che questo mondo di consumo sta preparando per loro. 

  

Marco Sartori

 

 

 

 

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