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Il Pennino della Beccaccia. Negazionismi assurdi

Il Pennino della Beccaccia. Negazionismi assurdi

Si è conclusa da pochi giorni l’ultima edizione dei Giochi Olimpici e già le polemiche spuntano sul web come colonie di amanita muscaria in un bosco di betulle dopo la pioggia.

Ancora una volta il nostro Paese porta a casa ottimi risultati in quelle competizioni sportive che richiedono l’utilizzo di lame, pungiglioni, frecce e la forza fisica nel corpo a corpo. Addirittura eccelle laddove gli strumenti da maneggiare sono le armi da fuoco. Onore ai nostri campioni per la loro precisione, per la costanza e la preparazione nel tiro a volo o nel tiro a segno (non è da tutti, provare per credere). A loro vada il nostro plauso per la disciplina e l’educazione dimostrati di fronte agli avversari e anche per la tenacia e la dedizione con cui portano avanti attività sportive che sono quasi sempre ignorate dai media, che non fanno notizia, non sono blasonate, non aprono le porte dei talk show, comportando un ben misero profitto se viste in proporzione ad altre. Atleti che riescono a strappare medaglie vere, anche senza avere alle spalle sponsor generosi e veline ammiccanti.

Eppure, anche di fronte a questa valanga di metalli preziosi e prestigio su scala mondiale, c’è chi storce il naso, schierandosi nettamente contro le discipline che coinvolgono l’utilizzo di armi da sparo e arrivando addirittura a proporne e auspicarne l’eliminazione dai Giochi Olimpici.

Diseducativo, immorale, non adatto alla visione da parte di un pubblico di bambini, connesso al traffico d’armi da guerra, il tiro a segno suscita l’astio di molti opinionisti della rete. Figlio primogenito della caccia, il tiro a volo indigna e offende chi vede nelle due canne il principale strumento di morte ancora presente nelle case di noi occidentali. Quasi dietro le marche prestigiose di fucili e carabine si nascondesse il male oscuro della cattiveria umana. Qualcosa da estirpare per sentirsi più civili.

Un atteggiamento nuovo? Non esattamente. Ricordo che da bambino avevo un amichetto a cui i genitori proibivano tassativamente di possedere fucili o pistole giocattolo e anche solo di fingere con me di esser cacciatori in giardino. Poteva trascorrere intere giornate con gli amici al bar, fondendosi la faccia davanti ai monitor dei videogames, circondato da gente che fumava e che faceva anche di peggio. Ma i fucili giocattolo proprio no. Vietato.

L’arma mai, neppure per scherzo. C’è chi rifiuta a prescindere il fatto che uno strumento in grado di proiettare un dardo con precisione, sfruttando una detonazione, possa essere maneggiato anche solo per colpire un bersaglio di carta o di coccio, in un momento assolutamente pacifico e conviviale quale può essere una competizione sportiva. Un tabù che da decenni ormai si radica ogni giorno di più in una società fatta di persone che per lo più non hanno mai preso in mano una pistola ad aria compressa per cimentarsi in una gara con gli amici, che non hanno mai imbracciato un sovrapposto per provare a colpire un piattello, scommettendoci su un prosciutto o una bottiglia di vino, che ignorano lo studio, la perizia e il lavoro nella meccanica di precisione che sta dietro la fabbricazione di certi gioielli della tecnologia. Persone che vedono nell’arma semplicemente uno strumento del male, punto e basta. Molto diverso dall’arco, il nobile cugino imbracciato da elfi e indiani pellerossa, il fucile suscita scandalo e colui che lo impugna appare estraneo, selvaggio e pericoloso, richiamando immagini di qualcosa che l’uomo evoluto dovrebbe ormai essersi lasciato alle spalle.

Ma perché? Per quale motivo, pur non sapendone niente, pur non avendo dimestichezza e confidenza con la materia, pur non avendone un’esperienza diretta, in molti assumono aprioristicamente atteggiamenti così ostili nei confronti di pistole, doppiette e cartucce?

La questione è spinosa e certamente andrebbe approfondita da chi ha più competenze di me in materia di sociologia e antropologia, ma sinceramente mi pare di vedere, celata dietro questo disprezzo, la stessa tendenza che spinge sempre più a rifiutare idee come la caccia, quindi la morte degli animali selvatici, ma anche l’alimentazione con carni provenienti da animali allevati. Viviamo in un universo che va sempre avanti dritto in una sola direzione, inseguendo il sogno di una crescita infinita, di un’evoluzione che non subisca arresti. E non sono solo i nostri politici a dirlo, ma i cuori della gente. Stiamo mettendo al bando la sofferenza, vietando ai nostri figli di raccogliere i fiori perché abbiamo paura che il gesto di recidere qualcosa richiami alla loro mente l’atto di spezzare una vita. Siamo ossessionati dai controlli preventivi della nostra salute perché non possiamo tollerare l’idea di ammalarci e lasciare questo posticino che tanto ci piace, convincendoci l’un l’altro che a ottant’anni un uomo o una donna possono ancora essere considerati giovani e produttivi.

Avanza e si impone la sottocultura del negazionismo della morte: come struzzi evoluti, nascondiamo la testa sotto la sabbia per non vedere questa cosa che ci ferisce la vista e ci fa tanta paura. E’ un pensiero superficiale e basterebbe soffermarsi un attimo a pensare che si può uccidere e far del male con un bastone o una forchetta e ancor più con una bomboletta di gas; che il fuoco d’artificio, per quanto simile a una bomba, resta pur sempre un fuoco d’artificio. Ma è un passaggio che non viene automatico: nel nostro schema mentale di buonisti abitanti del vecchio Continente, che l’arma da fuoco sia una cosa negativa si sta affermando come un postulato che non ha bisogno di ulteriori riflessioni o dimostrazioni. La morte è brutta da vedere, meglio girare lo sguardo dall’altra parte. Non pensarci nemmeno, se si riesce.

Lo dimostra il fatto che il nostro cuore prende a palpitare furiosamente quando un attentato terroristico scuote la tranquillità delle nostre città, incollandoci con il topicida del panico agli schermi dei televisori, eppure la consapevolezza che ogni giorno migliaia di donne e bambini periscono sotto le bombe o di fame in qualche paese lontano non basta ad intaccare la nostra serena quotidianità. La morte non ci piace e così esercitiamo per quanto ci è possibile l’esorcismo della negazione, nell’ottusa speranza che un giorno o l’altro se ne vada via, smettendo di essere l’elemento che ci tiene radicati a questa obsoleta ciclicità.

Peccato che su questo pianeta abitino anche brutti ceffi che invece, stando un po’ più coi piedi per terra, sanno fin troppo bene quanto questa paura ci renda deboli e molli. Plastilina. Gente che la morte l’affronta e la procura con gran naturalezza a suon di esplosivo, ma anche di lame arrugginite. Dio voglia che non dobbiamo mai avere a che fare direttamente con questi. E non a caso scrivo in prima persona plurale.

Perciò stiamo desti. Insegniamo ai nostri figli che la pace e il rispetto di ogni forma di vita devono essere le nostre priorità, ma non fingiamo di non vedere che la morte e la sofferenza continuano ad esistere, qualunque sia il nostro modo di pensare, e potrebbe succedere che ci capitino addosso, prima o dopo. Allora, forse, saper maneggiare un’arma per difenderci o procurarci del nutrimento potrà avere i suoi innegabili risvolti positivi e anche i più benpensanti dovranno ammetterlo.

Per tornare sull’argomento principale, quello con cui ho esordito, sarebbe bene che certe persone non si sforzassero di guardare oltre quello che è soltanto un gioco o uno sport, giacché per altro, spesso sono così miopi da non riuscire a vedere ciò che mostra loro il minischermo dello smartphone. L’utilizzo di armi per fini puramente ludici è qualcosa che addestra la mente, disciplina l’animo, richiedendo grande educazione, concentrazione, doti atletiche e costanza nell’allenamento. Il tiro a segno e il tiro a volo, oltre ad essere ambiti in cui noi italiani non possiamo che andare fieri, testa alta di fronte al mondo intero, sono discipline divertenti ed educative, che aiutano a sgombrare la mente dai cattivi pensieri e a trovare fiducia in sé stessi. Sarebbe anzi il caso che se ne parlasse un po’ di più, così da fare un po’ di chiarezza su argomenti che l’Uomo contemporaneo sembra conoscere davvero troppo poco.

Sono cresciuto in mezzo ad armi di tutti i tipi, neanche chiuse a chiave come oggi vuole la legge, eppure sono cresciuto retto, senza mai farne uso improprio o intimidatorio. E dirò di più: mai in vita mia ho tirato un ceffone a un altro uomo o mancato di rispetto ad una donna. Il male non sta nel fucile e neppure nel dito che preme il grilletto, ma sempre nella testa di chi non è capace di ragionare con lucidità, con o senza armi da fuoco in mano.   

   

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