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Contrasti d'autunno

Quando il sole gira dietro Punta Sivella, le ombre azzurrine della sera prendon possesso del fondo valle e le tre baitine arroccate appena sopra il torrente improvvisamente intristiscono. D’autunno inoltrato  ciò accade nel primo meriggio. In alto invece, nei versanti a solivo, è ancora tripudio di luce e colori.
L’aria frizzantina che veniva giù dalle cime e versanti innevati induceva fremiti tali da far fatica a rimaner fermi con le lenti per scrutare pascoli alti, pareti e crinali. Solo dopo che le ombre avevano faticosamente risalito anche quel versante i camosci erano comparsi, altissimi, appena sotto i crinali che valicavano per portarsi in pastura dal versante innevato. 
Sere serene trascorse in baita azzardando piani per il domani e studiando percorsi accanto a ceppi accesi nel camino ed una stufa così rovente da tenerti discosto. Le parole fluiscono pacate tra un  bicchier di vino ed un salmì di cinghiale, una fetta di toma vecchia e le patate novelle dell’alpe bollite con due foglie d’alloro.


 Immaginavo i camosci nella notte serena, sdraiti sulle alte balme con negli occhi un mare fondo scintillante di stelle. I piccoli addossati alle madri, i giovani un poco discosti, i becchi isolati sui greppi dominanti le vallette.   
Nel buio compatto della notte senza luna s’era aperta verso est una fessura, la tenue luce che ne filtrava ci aiutava a procedere più sicuri sull’insidiosa giavina coperta di erica e magri rododendri d’altura. I giochi s’erano subito ingarbugliati: un giovane maschio, fermo su un promontorio lungo il nostro percorso, ci aveva costretti ad una lunga pausa sdraiati nell’erba prima di decidersi, comunque, a fuggire allarmando il branco. Nel cielo terso, di un azzurro che solo certe giornate ottobrine san dipingere, i profili delle creste, i picchi e le cime si stagliavano nette come cesellate dalla mano di un estroso ciclope.  Si faceva a rimpiattino coi camosci tra cenge erbose a picco sulle roccette, ripidi canalini stretti tra pareti verticali appoggiati su salti vertiginosi.
 Il tonfo del sasso che rotola da sotto lo scarpone e dopo pochi salti precipita nel vuoto ritorna dopo un tempo paurosamente lungo. La carabina a tracolla, spogliata dell’ottica, beccheggia incontrollata tra zaino e ginocchia. Quando il cespo d’erba ollina a cui stavo aggrappato si era improvvisamente staccato  rubandomi un’imprecazione ed un pezzo d’unghia, “quella vocina” dentro s’era fatta più insistente..”Flavio ma ti pare..non è cosa, non è cosa da fare”. Brutta bestia la paura se non la sai dominare.

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Il branco aveva guadagnato i crinali e svallato beffandoci. Inutilmente avevamo cercato nelle lenti dei binocoli suggerimenti sul dafarsi. S’era così deciso di puntare verso i paglioni sotto bocchetta Dea. Altri canalini, altre roccette, piccole conche, e di nuovo fermi a scrutare.
 “Là, sul bastione roccioso che si erge dal crinale oltre la bocchetta, ci sono tre camosci li vedi?” Alberto è nato col binocolo in mano.. Via, di traverso alla sommità dei paglioni, appena sotto la linea del crinale per stare coperti. Accidenti, ci mancava anche la neve a rendere ancor più insidioso ogni passo. Finalmente gli ultimi metri carponi nella neve fin sul dosso più avanzato, gli zaini aggiustati sul punto più alto, ma il “lungo” era stato spietato: tre giovani maschi.
 Accovacciati nella neve sul crinale, gli occhi incollati alle lenti cercavano altre soluzioni per risolvere a nostro favore una partita che pareva ormai persa.
 Un piccolo gruppo stava uscendo lentamente dagli ontani parecchie centinaia di metri sotto di noi.
Nessuna ansia, nessuna tristezza ci sfiorava sebbene fosse ormai mattino inoltrato. La giornata era splendida, eravamo usciti dal “brutto” e la posizione ci permetteva di godere del paesaggio di due valli attigue e delle due stagioni sugli opposti versanti: un mite autunno inondato di luce e colori ed il crudo inverno bianco di neve, sfumato di ghiacci azzurrini.
Forse è vero che “cuor contento il ciel l’aiuta”.  Un camoscio era apparso, come materializzatosi dal nulla, uscendo allo scoperto da un avvallamento a metà strada tra noi ed i maschi che intanto avevano raggiunto la cima. Trofeo anomalo, un corno rotto, l’altro di diametro fin grosso e troppo uncinato per una femmina, il muso però non ha un aspetto tronco, la corporatura robusta sebbene non massiccia farebbe pensare ad un giovane maschio, ma l’aspetto è da adulto e...non si vede il pennello, aspettiamo che si metta di culo per vedere se ha lo scroto...se almeno urinasse.. Le ginocchia nella neve cominciano a dolere. Lentamente brucando si gira...”Io non vedo nulla....tu col lungo?”, “Nemmeno io...”, “Per me è una femmina ed è sola, non avendo allattato è bene in carne il che le dà quell’aspetto robusto, tu che ne pensi?”, “Preparati!”.
Steso nella neve, la carabina ben assestata sullo zaino, avevo atteso a lungo, distogliendo di quando in quando lo sguardo dalla croce per sciogliere la tensione, che la camozza tornasse a brucare di traverso. Avvertivo tutto il disagio d’esser sul punto di stroncarle la vita. Anche i gomiti iniziavano a far male. Poco più di tre quarti: lo schianto. La camozza s’era rovesciata all’indietro ruzzolando per diversi metri fino ai primi salti, da cui era caduta alla sommità dei paglioni, scivolando aveva acquistato velocità, ne era arrivata alla base dove ruzzolando s’era infilata in un canalino sparendo alla vista. Ne riemersero prima le zampe levate verso il cielo mentre scivolava ancora verso il basso, altri salti ed altri ancora, fino ai paglioni sottostanti dove aveva incontrato la neve crespa di una recente piccola slavina e vi si era adagiata.
“QUESTA E’ CACCIA!!!” aveva gridato Alberto complimentandosi per il tiro, “C’è anche chi gli tira dalla macchina, ma è caccia quella? Questa è caccia!” Ed era felice ed io con lui.
Fatiche, paure, speranze, disillusioni, emozioni, gioie...a tutto questo sto pensando, ora che è sera, sul comodo divano, riassaporandone ogni sfumatura. “Te sè stracc eh?” Con passo incerto, pencolante come uno scricciolo nella siepe coperta di galaverna, la mamma si avvicina e mi si siede accanto a stretto contatto. Le membra ormai stropicciate dagli anni, il viso solcato dal tempo, solo gli occhi, due gocce di blu intenso, son rimasti gli stessi dei miei ricordi di bambino. Ora che mi è accanto sprizza gioia come un passerotto in primavera. Mi sale alla gola una gran voglia di pianto.

Lirurus Tetrix

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