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E ciao

 

L’uomo chiuse la portiera dell’automobile, si mise lo zaino in spalla e sospirò. Dietro di lui, il vecchio lo imitò come un’ombra.

Imboccando con passo deciso il sentiero che si inerpicava nel bosco, si guardò intorno alla ricerca del cane, ma il bracco tedesco si era già allontanato troppo. Allora emise un fischio leggero, quasi sottovoce, e dopo qualche istante l’allegro compagno arrivò di corsa dal sentiero immerso nell’oscurità: aveva il passo leggero di una capretta e gli occhi brillanti d’euforia. Nonostante gli anni, possedeva ancora una grinta straordinaria. L’uomo sorrise e gli accarezzò la testa; poi, con un comando secco, lo obbligò a procedere dietro le sue ginocchia.

Cercando di distinguere la battuta tra i lamponi ormai secchi, si fece strada nel fitto di faggi e frassini già parzialmente senza foglie, ansioso di salire oltre il limite degli alberi ed avventurarsi tra le rocce e le praterie. Lassù si sentiva più a casa.

Sentendo il proprio respiro farsi più affannoso, si rimboccò le maniche del maglione e scavalcò il tronco di una giovane betulla che era crollata di traverso sul suo cammino. Il vecchio, dietro di lui, fece la stessa cosa. Il cane invece ci passò sotto. Giunsero ad una radura tra i faggi, una carbonaia abbandonata, e d’istinto l’uomo si lanciò uno sguardo intorno, nel folto tappeto di foglie, per vedere se era cresciuto qualche fungo. Nell’eventualità che la giornata fosse andata male, un bel porcino da mettere nel ragù avrebbe rimesso di buon umore la moglie, imbronciata per essere stata abbandonata di mattino presto.

Guardò sotto un ramo pendente, non vide nulla e decise di lasciar perdere i funghi. Il bracco, irrequieto, emise un mugolio per incitarlo. Il vecchio, senza dire una parola, si allontanò da lui di qualche passo.

L’uomo capì, tirò giù la doppietta dalla spalla e la caricò. Quindi riprese a camminare, un po’ più in fretta di prima. Poco dopo, come ben sapeva, i faggi lasciarono il posto ai larici radi ed il sottobosco divenne un complicato intrico di rododendri, felci e lamponi. L’uomo inspirò a fondo e si riempì i polmoni dei profumi della montagna. Allora non riuscì a trattenere un sorriso: aveva imparato a conoscerli da tanto tempo, eppure non ne era mai sazio; si sentiva come purificato, rinnovato dagli aromi degli ontani bagnati, del muschio e della terra impregnata di pioggia. In montagna tutto aveva un odore così intenso e particolare: i boschi soprattutto, ma anche le praterie e le brughiere. Persino la nebbia, a volte, sapeva accarezzare il naso in maniera piacevole. Rinvigorito, l’uomo accelerò ancora il passo. Aveva l’impressione di respirare meglio ora.

Con un cenno della mano toccò il collo robusto del cane e lo incitò a correre via. Questo, lieto di potersi finalmente sfogare, si lanciò al galoppo nel sottobosco e si allontanò tra gli arbusti.

Giunto ad una roccia sporgente, là dove anche i larici smettevano di crescere e lasciavano il posto alla brughiera, l’uomo sollevò lo sguardo al cielo che schiariva e vide alcune nubi grigie scivolare verso il fondovalle, spinte lontano dal vento.

Mentre riprendeva a camminare l’eco di uno sparo gli giunse da lontano, subito seguito da un altro. Guardò sul versante opposto della valle e scosse il capo. Lassù, oltre il bosco e poco sotto il vecchio alpeggio, c’era una nidiata di forcelli e lui lo sapeva: li aveva visti volare in estate, durante una gita con i figli. Eppure aveva deciso di non andare a caccia in quel posto e lo aveva fatto per un motivo ben preciso. Là c’era una strada. Una di quelle belle strade bianche che qualcuno aveva costruito per incentivare il turismo dei fuoristrada e delle motociclette. Sospirò. Avevano detto che sarebbe servita solo ai margari e alle loro vacche, ma quando le stalle erano state abbandonate, la strada era rimasta, diventando un interessante richiamo per gli amanti delle due e quattro ruote. Qualcuno evidentemente ne traeva profitto. Ma chi poi?

Sbuffò. Lui era un burbero e un polemico, sua moglie non perdeva occasione di ripeterglielo: parlava poco, ma sembrava avercela con il mondo intero.

E c’era anche un altro motivo per cui odiava quella strada: oltre ai turisti della domenica, altre persone in autunno la utilizzavano per i propri scopi. Uomini che a parole si definivano i custodi della montagna. Gente che non perdeva occasione per blaterare ad alta voce. Cacciatori che partivano ad un orario onorevole per arrivare in macchina fino a tre o quattrocento metri dal luogo della caccia e qui, abbandonato con rammarico il comodo fuoristrada, andavano a sparare ai forcelli per poi correre a vantarsi al centro di controllo. Signori, diceva qualcuno. Gente con il culo pesante, pensava lui.

L’eco di un terzo sparo giunse dall’altro lato della valle e l’uomo sospirò ancora, quasi i pallini avessero raggiunto lui. Forse era sciocco, ma quella cosa proprio non gli piaceva. Guardò il vecchio, che nel frattempo lo aveva superato, per cercare in lui un po’ di comprensione, ma questo procedeva a testa bassa, tutto concentrato a mettere un piede dietro l’altro. Sbuffava per la fatica e probabilmente non aveva neanche sentito.

L’uomo scosse il capo. Aveva imparato ad andare a caccia quando i giovani delle valli non sapevano ancora cosa fossero le automobili; i suoi vecchi gli avevano insegnato a voce, come antichi druidi, che in montagna è necessario faticare per ottenere qualcosa. Perciò nella sua vita aveva logorato tante paia di scarponi e ghette da rifornirci un esercito ed aveva girato in lungo e in largo valloni, cime, boschi e pietraie. Sempre a piedi, sempre con lo zaino sulle spalle. Quello per lui era l’unico modo di amare la montagna: accettando le sue regole crudeli, quelle che qualche volta permettevano che i camosci fossero trascinati dentro le valanghe e costringevano chi non poteva più usare le gambe ad una vecchiaia di nostalgia.

Improvvisamente, mentre camminava sul sentiero con la mente altrove, vide il bracco avanzare sospettoso tra i ginepri nani, menando forte la coda. Anche il vecchio se ne accorse e, con il fucile già pronto, gli fece cenno di avvicinarsi. Il suo cuore prese a battere più forte. C’era qualcosa nello sguardo acceso del cane che gli diceva inequivocabilmente che aveva avvertito un odore: l’emanazione della preda risvegliava nel suo amico la brama dell’assassino e l’intelligenza del predatore. Con una serie di virtuosi zig-zag, il bracco si portò rapidamente su per un canale, puntando una macchia isolata di ontani.

L’uomo afferrò il fucile e, già affaticato, si mise a correre per colmare la distanza. Il vecchio rimase indietro. La sua corsa tuttavia fu inutile: precedendo di molte decine di metri cane e cacciatore, il grosso uccello si librò rumorosamente in aria e si lanciò nel vuoto. L’uomo fece per sollevare la doppietta, ma si rilassò subito e riprese fiato. Aveva riconosciuta, ancor prima di vederla, la femmina di gallo forcello, che in tutto quello sbatter d’ali si era lasciata sfuggire il classico lamento da chioccia. Se anche si fosse trattato di un maschio, comunque sarebbe stato fuori tiro.

Solo poche settimane prima aveva visto i forcelli alzarsi dai ginepri nani come fossero stati quaglie, lasciandosi avvicinare fino a pochi metri nella nebbia per poi decollare lentamente e scomparire come fantasmi. Ma quel giorno, con un po’ di vento e i galli già sul chi va là, sarebbe stata necessaria molta fortuna per tirare un colpo.

Aspettando che il bracco si calmasse un po’, l’uomo decise di fermarsi ad osservare i costoni più in alto. Si sedette perciò su una roccia sporgente, aprì lo zaino e prese il binocolo. Lo puntò in su e mise a fuoco una pietraia, iniziando la sua lenta ricerca. Scandagliò con attenzione le praterie gialle, accoglienti, simili ad un vecchio tappeto disteso sul fianco della montagna, seguì il volo di un gruppo di gracchi fin contro il cielo blu scuro, profondo, immenso. Ritornò giù, di nuovo sulle praterie e di nuovo sulle pietraie grigie. Sembrava che grigio e giallo fossero divenuti i colori dominanti di quel mondo selvaggio. Ma no, si era sbagliato. Spostandosi un po’ di lato puntò lo sguardo sulla testa della vallata, là dove la neve d’autunno era già scesa a rinforzare ancora una volta i ghiacciai perenni. Lassù ogni cosa si tingeva di bianco, nero e azzurro, obbligando la Natura ad un freddo lunare. Ancora una volta era andato troppo in alto.

Abbassando il binocolo, ritornò sulle praterie e finalmente avvistò i camosci: piccole macchie nere che si muovevano lentamente, le teste abbassate sull’erba preziosa.

Quello stesso anno, il secondo giorno di caccia, l’uomo era salito fino là ed aveva preso il suo binello. Prelevato ovviamente, seguendo regole scrupolose. Aveva camminato per un’ora nella nebbia e aveva sentito cantare le pernici. Dopo aveva avvistato i camosci, ma non aveva potuto sparare: erano tutti maschi adulti. Imbacuccato, con la giacca a vento ed il cappello di lana, aveva aspettato fino a mezzogiorno, ripensando con un po’ di malinconia alle recenti vacanze al mare. Quando ormai si era deciso a ritornare a casa, la nebbia si era aperta un istante e il suo binello gli si era presentato a tiro. Proprio lui, proprio quello!

Il vecchio venne a sedersi accanto a lui.

"E’ là che hai preso il camoscio?" chiese, togliendosi il maglione.

Lui lo guardò con la coda dell’occhio, senza distogliere lo sguardo dalle lenti del binocolo.

"Proprio lì" rispose. "Dove ci sono quelle rocce chiare."

Il vecchio fece una smorfia. Conosceva tutta la storia, l’aveva già sentita una decina di volte.

"Come è diventato strano il mondo della caccia" commentò "Così difficile e pieno di regolamenti."

"E’ il mondo intero ad essere cambiato e non avrebbe potuto essere altrimenti" rispose l’uomo.

"Da ragazzo uccidevo le lucertole e i passeri con la fionda" brontolò il vecchio. "Poi tiravo ai merli con la carabina ad aria compressa. Era così, non si scandalizzava nessuno. I vecchi in paese mangiavano i tassi, mettevano le tagliole per vender le pellicce delle volpi e catturavano i piccoli dell’aquila. Per imparare a sparare bastava prendere il primo fucile e puntarlo contro tutto ciò che volava."

"Lo so" disse l’uomo abbassando il binocolo. Il cuore gli batteva più forte. "E’ stato lo stesso per me. Era semplice, romantico e crudele anche. Ma di cose ne sono cambiate parecchie: là dove c’erano le campagne oggi ci sono strade e zone industriali, e i fagiani selvatici sono diventati personaggi per i racconti. Non si può pretendere che tutto continui come prima."

Lo disse con amarezza e vide il vecchio abbassare lo sguardo. Le rughe intorno ai suoi occhi parvero approfondirsi. Lo capiva, avevano vissuto le stesse esperienze, ma con il tempo lui era cambiato: era cresciuto, aveva capito molte cose e la sua vita aveva in qualche modo assunto un senso, tanto che ora gli capitava di ripensare ai passeri uccisi da bambino e di domandarsi come avesse fatto. Chi lo avrebbe mai capito? Il mondo aveva mutato faccia e lui era stato uno dei primi ad intuire l’importanza di questo cambiamento.

"Io non mi sarei fatto tanti problemi" sentenziò il vecchio. "Avrei tirato al primo camoscio in vista. Ce ne sono tanti."

"E avresti fatto male" rispose lui, seccato. "I cacciatori non possono più sbagliare così."

Tornò a guardare nel binocolo. Poteva anche provare uno spunto di nostalgia quando posava gli occhi sulle logore copertine di Diana o quando sfogliava quegli album di fotografie tanto sbiadite da sembrar ritratti impressionisti, ma in questo nuovo mondo non c’era più posto per tanta retorica. In un’epoca fatta di tecnologia e programmazioni non ci si poteva più permettere il sogno di un carniere traboccante di lepri e fagiani, come in una di quelle nature morte rinascimentali.

Il vecchio scosse il capo. Forse non capiva o forse non ne aveva voglia. L’uomo sbuffò ed abbassò il binocolo. I camosci si stavano spostando sull’altro versante e scomparivano alla sua vista. Prima che riuscisse a rialzarsi il bracco gli si avvicinò all’improvviso e gli leccò la faccia. Con un sorriso, l’uomo lo allontanò e poi gli lanciò un tozzo di pane. Come un animale da circo, il cane lo prese al volo e lo trangugiò in un solo boccone, sedendosi poi ad attenderne un secondo. Dopotutto aveva fatto il suo dovere!

L’uomo ripose il binocolo nello zaino e si alzò in piedi.

"Vai ancora su?" chiese il vecchio.

"Sono venuto per cercare le pernici" rispose l’uomo. "Devo salire ancora."

"Allora io ti aspetto qui. Sono stanco."

L’uomo provò ad insistere perché l’altro non si fermasse, ma capì che non ce l’avrebbe fatta. Lieto di potersi godere un po’ di sole e di aria pulita, il vecchio gettò il maglione a terra e vi si distese beatamente a pancia in su. Promettendogli di tornare appena possibile, l’uomo si rimise in cammino.

All’inizio gli sembrò di avere di nuovo le gambe pesantissime, ma dopo pochi passi riprese con la stessa lena di prima. Superò in poco tempo la brughiera, senza incontrare altri forcelli, raggiunse alcune rocce aguzze e scoprì alla loro base le fatte rotonde di una lepre.Ciò nonostante decise di mettere nella doppietta del piombo più fine.

Proseguì il cammino, superò un’ampia pietraia, camminando da un sasso all’altro come un goffo ballerino, poi prese finalmente a calpestare quella calda erba gialla dove aveva visto i camosci. Il bracco intanto correva libero, tenendosi a qualche centinaio di metri da lui. Quando salì sopra una cresta vide lontano, in basso, alcuni escursionisti che seguivano un sentiero per recarsi al vicino colle. Gli zaini rossi, brillavano al sole.

Si guardò intorno: una brezza leggera soffiava sulla prateria e rombava nelle sue orecchie, trasformando la distesa d’erba in un mare bizzarro: inclinato ed ondulato, cosparso qua e là di scogli affioranti.

Probabilmente quella sarebbe stata l’ultima giornata di caccia alla piuma lassù ed improvvisamente gli parve che fosse proprio un bel modo per concludere.

In quel momento si accorse di aver perso di vista il cane. Si accigliò, provò a fischiare per chiamarlo, ma quello non tornò indietro e non ricomparve. Allora l’uomo iniziò a camminare spedito nella direzione in cui gli era sembrato di averlo visto l’ultima volta. Per precauzione tolse la sicura alla doppietta. Era quasi sicuro che si fosse diretto verso la rupe che si affacciava sul vallone. L’erba sotto i suoi piedi era morbida e produceva un fruscio ovattato. C’era un odore acre nell’aria.

Con la coda dell’occhio fece appena in tempo a vedere il bracco fermo immobile, con il collo allungato e la testa piegata da una parte. Agendo d’istinto provò ad avvicinarsi, ma improvvisamente il terreno sembrò vibrare e l’uomo non si rese più conto di cosa stava succedendo. Un frullo isterico proprio sotto i suoi piedi gli fece andare il cuore in gola. Vide in maniera confusa delle penne grigie e rosse che si agitavano di fronte ai suoi occhi, sollevò il fucile ed esplose due colpi che contribuirono soltanto ad aumentare la confusione di quel momento. Poi quattro o cinque piccole frecce si allontanarono rapide ed intatte nel cielo per virare decisamente e scomparire. In un istante tornò il silenzio.

Con un sospiro e gli occhi sbarrati, l’uomo abbassò le canne e guardò il cane. Questo era ancora là dove stava e ricambiava il suo sguardo. Forse era il suo modo di rimproverarlo e dimostrargli delusione. L’uomo annuì ed aprì il fucile ormai scarico.

"E ciao" disse.

 

Marco Sartori

Racconto segnalato alla IV edizione del "Premio Giacomo Rosini"

 

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