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Muflone

Muflone

La stradina che percorriamo ancora a buio col pick up dell’amico Alberto si snoda zigzagando in stizzosi tornanti sul fianco opposto della montagna che sarà teatro dell’odierna battuta. La sottile striscia d’asfalto appare come l’unghiata grigia di un gigante estroso puntigliosamente tracciata su un immenso tappeto rosso di foglie di faggio e acero. Percorrendo a piedi il largo crinale che fa da spartiacque tra le due vallate, non possiamo fare a meno di commentare quanto valido debba essere come approdo per le beccacce d’entrata. Una fascia di bosco di faggio e betulle ne ricopre per lungo tratto la sommità aprendosi in radure che si fondono coi pascoli circostanti punteggiati da macchie di felci, ginestre e radi ginepri, il tutto vaccinato per gran parte della bella stagione. Si dice che qualcuna si fermi, spesso, anche per metter su famiglia.

Oggi siamo con la carabina e dopo lungo tratto abbandoniamo il crinale per abbassarci appena sotto sul versante di N/O dove la prima neve della stagione resiste al riparo dal sole. Il volto della montagna si fa più severo. Le nuvole basse sul fondo della valle s’accalcano spintonandosi nelle vallette cieche, lentamente risalgono i fianchi espandendosi in cerca di sfogo fino alle bocchette da cui travasano fondendosi nei vapori che presidiano gli altri versanti. Nel lucore incerto di un’alba tardiva si apre un giorno cieco di spazi e sordo di suoni. Inutile rimanere in quota senza orizzonti da poter scrutare. Scendiamo a cercar fortuna nei vasti boschi dove il tappeto di foglie, pressato dalla recente neve ormai disciolta, rivela distintamente il percorso degli animali e qualche sopravvissuto porcino. Una partita a scacchi disperata, non c’è confronto nell’uso dei sensi, ma avvincente. Alberto conosce ogni appicco che consenta di sporgersi sopra le fronde con un minimo di visuale, ma in tutta la mattinata le lenti dei binocoli catturano solo le immagini di tre giovani maschi di camoscio in cerca d’avventure amorose e di altrettanti caprioli. Sul far del mezzodì, finalmente, un maschio di muflone si palesa in quel che resta di una radura prospicente un’antica baita a mezzo soffocata dai noccioli, distante 635 m. 

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Consumiamo con calma il nostro pranzo (1 tavoletta di cioccolato e qualche barretta energetica) prima di incamminarci in quella direzione. Il luogo è sul cammino che vorremmo fare per risalire in quota a scrutare ampie radure sul fianco prospicente, confidando nelle mutevoli bizze delle nuvole che, ora risalite compatte a far da tetto alle cime, si stan fittamente sciogliendo in un’acquerugiola tanto fine quanto, a lungo andare, fastidiosa. Troviamo le tracce fresche dell’animale che dopo aver pascolato si è allontanto risalendo il bosco, le seguiamo a lungo intervallando la salita con brevi pause di osservazione binocolando le radure. Il silenzio è profondo, le parole appena sussurrate, lieve il fruscio dei passi nelle foglie bagnate, le brevi note del pettirosso paion scolpite nell’aria. Su un dosso di terreno duro ed esposto ai venti che lo tengono pulito dalle foglie ne perdiamo le tracce. Non ci diamo pena, sono quasi le 14, proseguiamo sull’itinerario prefissato che ci porterà fino all’ultimo alpe da cui si domina gran parte delle radure sul versante prospicente. Un ripido strappo ci consente di raggiungere il punto più agevole per attraversare una profonda ruga nel bosco dalla quale risaliamo... Porc.! E’ qui davanti presto! Alberto si cela dietro un faggio mentre io avanzo di qualche passo per sporgermi quel tanto che mi consenta di inquadrarlo, lui ci ha scorto e parte in salita, il coprioculare vola via, gli ingrandimenti eran già ridotti al minimo per simili occasioni, lo trovo a braccio libero sui 40 passi in corsa di tre quarti in allontanamento, la blaserina fa udire l’unica sua nota,... continua la corsa senza accusare fin sul bordo di una stretta valletta, vi si ferma un attimo (?) poi scompare.. corro avanti ricaricando l’arma, guadagno la sponda e scruto d’attorno sperando di piazzare il secondo colpo sull’animale che risale sull’altro lato ma.. nessun movimento tradisce l’animale in fuga. Sono perplesso. L’ho sbagliato?! Ci potrebbe anche stare visto come ho sparato, ma quello stop prima del fosso un animale integro, in fuga, non l’avrebbe mai fatto dopo aver visto l’uomo e sentito fischiare un palla d’appresso. Alberto mi richiama sull’anschutz: “C’è parecchio pelo, colpire l’hai colpito, speriamo non sia di striscio”.  Controlliamo la via di fuga in attesa di liberare Birra, la dachsbracke di Alberto, valido aiuto nel ritrovamento di un animale ferito. Tracce di sangue su una pietra bianca, altre, molte, gocce sparse sulle foglie e, a bordo fosso uno spruzzo più alto del punto di passaggio: lesioni ai polmoni, la ferita non è lieve. Mi volgo a scrutare verso il basso, una quindicina di metri sotto, a bordo rio, il muflone giace riverso. Lo tengo prudentemente sotto mira mentre Alberto scioglie Birra che in poco tempo arriva sull’animale a strappargli ciuffi di pelo. E’ finita! Toccherà “coccolarlo” nello zaino per un paio d’ore lungo sentieri tutt’altro che agevoli, zuppo d’acqua e di sudore ma sono, SIAMO, felici. Un’altra bellissima cacciata con l’amico Alberto, di quelle che si rammentano spesso accanto al fuoco.

Lirurus Tetrix

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