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Stella

Stella era una cucciola di setter inglese cercata a passa parola e portatami un giorno di giugno da chissà dove in una scatola di cartone, ultima rimasta, non scelta, di una numerosa nidiata. Odorava di cuccia e di latte, due macchie attorno a occhi vispi e buoni, da allora sempre ancora in me.

Ci conquistammo all’istante e subito impaziente la portai fra larici rododendri e sorgenti alla conquista del blu.

Fu lei a condurmi e mostrarmi i bombi sui fiori, verdi tettigonie fra l’erbe, pigre salamandre nel muschio. E il suo agile cercare frugare e rovistare mi indicò l’arvicola furtiva e il veloce ramarro, la farfalla alitante e l’alchemilla rugiadosa. Apriva, anche per me, cassetti e scaffali, ante e pertugi nascosti di un mondo solo intravisto e quasi minore. Poi, spossata da tanto alacre scoprire, l’avevo con me, sul petto, palpitante, a respirar tanto cielo; un momento, il mio, a coniugar quel minimo e percepire l’immenso. E io, ormai uomo, mi sentivo bambino fra la gioia e il sereno, a riguardar questo mondo dai celati sentieri di fiaba e racconto.

Novizio di cani mi stupii, quella volta, del suo stare estasiata, fra sfasciumi di rocce e chiazze nevose. Poi dal tremar delle membra capii il segno, scritto nel sangue, acquisito dagli avi. Rispondeva al suo mondo interiore, a profonde ancestrali ascendenze che le imponevan la ferma, l’alt non voluto, il dettato già scritto e chissà da chi per lei preparato. Una lotta intestina fra l’arresto e lo scatto, una fatica prescritta e a nostro favore.

Poi il frullo della pernice vicina, la liberazione sua e mia a lenir la tensione, a liberar muscoli e tendini dal crampo dello stare.

E ubbidì ancora e ancora alla sua razza e ben presto l’andare giocando divenne ricerca e passione. Sottili e impalpabili fili cercava nell’aria, anche i più tenui, che la collegassero alla sua antica natura, a quella disputa fra l’avanzare e lo stare, per lei e per noi vero orgasmo di vita.

Corse cenge boschi e pascoli, mai sazia e stanca di rocce nevi torbe e terre gelate, di bramati effluvi vicini e lontani. Incontrò mani amiche, gesti e parole a lei cari, di famiglia, i marmocchi, gli amici, le mie. Era sempre con noi in giardino e lassù a galli e pernici e in baita, al fuoco, i suoi occhi sereni ad attender un cenno dai miei.

Ora che la ripenso, mi rivedo giovanotto a imparare a salir di notte alle stelle, a cercare la luce più su e in me, là dove il prima, l’ora e il poi nell’eterno si incontrano, fondendosi in un chiaro che tutto pervade. È il momento cercato, un incontro, sacro o profano, tra l’umano e il creato. Non sarebbe mutato mai quel cercar tra le cime, ché più del possesso è il desiderio a scavar solchi profondi nel corpo e nell’anima.

Ricordo con lei, compagna fedele e silente, albe e tramonti, venti e bufere, ampi silenzi e scoppi improvvisi. La sua vita finì e con lei un po’ della mia. La rivedo nei sogni e ancora sbagliando la chiamo

- Dai Stella, andiamo.- e mi corre incontro festante la Breva, figlia di figlie di lei.

 

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