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CAPRIOLO, PATOGENI, E...GESTIONE?

CAPRIOLO, PATOGENI, E...GESTIONE?
“Che gioie e dolori siano le due facce della stessa medaglia” è frase fatta quanto reale. Che il rapporto tra fauna e patogeni rientri perfettamente in questo contesto è un dato tuttavia che ci ricordiamo solo quando accade qualcosa di anomalo, di “patologico” e siamo messi di fronte all’evidenza che il “nostro” patrimonio faunistico viene intaccato da una patologia. E quindi la gioia di godersi un patrimonio faunistico viene soppiantata dal dolore di vederlo mettere a repentaglio dalle malattie. Dovremmo invece pensare che la fauna (ma ogni essere vivente in generale) è una nicchia ecologica, un luogo dove trovare casa e cibo, per tutta una serie di agenti patogeni che quindi vivono normalmente all’interno di un altro organismo, usandolo come casa e fonte di alimento. Questa premessa nasce con l’intento di far riflettere il lettore sul fatto che gli agenti patogeni sono una presenza a cui difficilmente ci si può sottrarre (a meno di vivere in quarantena tutta la vita, ma questo è impossibile immaginarlo per la fauna). Si propone di far riflettere sul fatto che in realtà, per quanto riguarda la malattie della fauna, non è tanto la loro esistenza che ci preoccupa, quanto il fatto che talvolta si manifestano in forma epidemica. Una discreta parte della popolazione di caprioli muore per cause “naturali” e noi non ce ne accorgiamo neanche.

(Parassiti polmonari del genere Dictyocaulus, che colpisce i cervidi, nei polmoni di un giovane soggetto. Di solito gli adulti sono parassittati da un numero ridotto di parassiti, ma a volte capita che i giovani abbiano cariche levate, come in questo caso.  Come si può veder in questo soggetto un bronco è praticamente tappato dai parassiti.) 

Il problema nasce quando molti soggetti iniziano in una zona e/o in poco tempo a manifestare i sintomi di una malattia o a morire per essi.  Un patogeno che, in una valle, provochi la morte di 3 caprioli al mese per un anno (totale 36) preoccupa sicuramente meno di uno che ne faccia morire 10 in due settimane, perché dei 10 caprioli morti se ne troveranno sicuramente alcuni e quindi si avrà la “percezione” che qualcosa “non funziona”. Mentre i tre al mese saranno in buona parte non rilevati e trovarne uno ogni tanto non ci fa “temere” che ci sia qualcosa di anomalo. Per quanto riguarda le patologie, e soprattutto quelle epidemiche, il capriolo è una specie un po’ particolare, che tende a darci poche preoccupazioni. Sono infatti altre le specie per cui temiamo focolai di rogna, broncopolmonite o di cheratocongiuntivite. In buona parte questo è dovuto allo stile di vita del capriolo che tende, per buona parte dell’anno, a vivere isolato o in piccolissimi gruppi. Immaginate per un attimo di essere un agente patogeno. Preferireste colpire una specie che vive in grandi raggruppamenti, dove il passaggio da individuo a individuo è facile, o in una in cui gli individui raramente si incontrano e vengono a contatto tra di loro? La risposta è ovvia: la prima delle due ipotesi. Questo non vuol dire che non ci sono patogeni che colpiscono specie in cui gli individui raramente si incontrano e vengono a contatto tra di loro. Solamente che queste tenderanno ad essere affette da patogeni che hanno trovato sistemi un po’ più complessi per diffondersi rispetto, ad esempio, a quelli che possono usare il virus dell’influenza, i virus e i batteri della bronco-polmonite o l’acaro della rogna. Tutti agenti che si diffondono passando direttamente da soggetto a soggetto. Il capriolo è colpito più che altro da patogeni che hanno magari trovato il sistema per sopravvivere in un’altra specie in attesa di “trovare” un altro capriolo (magari in una zecca o in una zanzara) o di stare nei caprioli a lungo senza dare “tanto disturbo” e passando quindi “quasi inosservati”. In effetti i caprioli raramente sono colpiti da “epidemie” e quando questo avviene spesso è dovuto al fatto che vivono in densità ”inusuali”. Infatti il raggiungimento di densità molto elevate, magari solo in spazi limitati e per brevi periodi, come può avvenire in inverno attorno ai punti di foraggiamento, o in primavera nei prati di fondovalle, può “innescare” la trasmissione di qualche agente patogeno. E’ il caso delle epidemie di “diarrea” che occasionalmente vengono riportate in diversi distretti e possono venire attribuite a batteri o, in alcuni casi, a parassiti gastrointestinali. Questo non vuol ovviamente dire che i caprioli non sono colpiti da patogeni, anzi. Solamente che i patogeni si comportano, come il loro ospite, anch’essi da “folletti dei boschi”.
 
(Giunti a questo punto l’autopsia è “superflua”. Si può comunque stimare ancora il livello di nutrizione del soggetto valutando le condizioni del midollo osseo delle ossa lunghe. In alcuni annate ,quando l’inverno è particolarmente rigido e lungo, in zona alpina la starvation (morte per fame)  rappresenta una vera e propria epidemia, e i morti si contano a decine.)
 
La maggior parte delle popolazioni di capriolo è il frutto di reintroduzioni avvenute negli anni, spesso in tempi diversi e da aree diverse. Questo vuole anche dire che i caprioli si possono essere “portati dietro” dalle zone di origine alcuni patogeni che magari restano presenti in modo “silente” nell’area per molti anni fino a quando la popolazione non aumenta o qualcuno non li va a cercare. I caprioli poi possono anche venire a  contatto con patogeni presenti in altre specie, domestiche o selvatiche, presenti nell’area e, in alcuni casi, far propri questi patogeni. Lo spostamento di animali selvatici, ormai poco frequente, rappresenta sicuramente un grande rischio sanitario che, in passato, non è stato assolutamente considerato, se non occasionalmente, nei vari piani di reintroduzione/immissione. Pertanto occorrerebbe che il rischio sanitario venisse incluso in ogni attività che prevede di “muovere” degli animali. Voglio ricordare il caso di un parassita che non è normalmente presente in Italia, che è stato trasmesso al capriolo attraverso i pascoli contaminati dalle feci di un dromedario di un circo. Come potete immaginare ci vuole quindi proprio poco per  introdurre un parassita in una nuova area.
Siccome i caprioli non presentano normalmente epidemie, le segnalazioni di patogeni sono spesso il frutto di analisi ad hoc eseguite in pochi contesti dove vi sono dei ricercatori che, per motivi vari, si interessano di patologia della fauna. Si tratta spesso di segnalazioni occasionali solo perché nessuno ha “tempo e interesse” ad andare oltre. Quando invece si cerca di andare a fondo, ci si rende conto che molti parassiti sono normalmente presenti e che …...basta cercarli per trovarli. E’ il caso di molti vermi presenti a livello dei polmoni che solo raramente portano a morte i caprioli affetti, ma sono molto diffusi nei giovani. Oppure il caso di ipoderma, una “mosca” che in estate depone le uova sulla cute del capriolo. Dalle uova schiudono delle larve che iniziano a migrare nei tessuti del capriolo fino a raggiungere il sottocute del dorso in primavera. Qui si ingrandiscono e, quando sono mature in tarda primavera inizio-estate, escono dalla pelle e cadono nel terreno dove si forma la pupa da cui esce l’insetto adulto che vivrà pochissimo. Giusto il tempo di riprodursi e deporre le uova sulla cute di un altro capriolo o comunque di un cervide. Ipoderma non è presente in tutto l’areale di distribuzione del capriolo proprio perché casualmente alcune popolazioni originano da animali che, al momento dell’immissione, non erano parassitati. Ovviamente introdurre caprioli, anche solo la pelle con le larve mature a livello di sottocute, in queste zone vorrebbe dire “rompere l’incantesimo”.  Oppure setaria, un sottile verme rotondo lungo alcuni centimetri e un lontano parente della filaria dei cani che, invece di vivere nel cuore, vive libera nell’addome dei caprioli e dei cervidi in genere. Viene trasmessa dalle zanzare che, quando succhiano il sangue da un capriolo colpito, assumono anche le larve del parassita che sono appunto in circolo. Al pasto di sangue successivo la zanzara trasmetterà le larve ad un nuovo ospite e il ciclo potrà così mantenersi. In Piemonte l’abbiamo scoperta casualmente una quindicina di anni fa, ma oggi è presente in diverse aree e, grazie ai cambiamenti climatici e ambientali, la si trova anche in aree montane sopra i 1000 m dove in passato le zanzare erano poco conosciute, mentre adesso sono una “poco gradita” presenza. A proposito di cambiamenti climatici e ambientali, quando si parla di caprioli diventa difficile non parlare di zecche. Immancabilmente, nelle zone dove ci sono caprioli o cervi, compare anche il problema delle zecche.
(Il capriolo, ma tutti gli ungulati in genere, sono ottimi “amplificatori di zecche. Qui una femmina di Ixodes ricinus che ha finito il suo pasto di sangue  su di un capriolo. Resterà attaccata fino a 10 giorni e una volta finito il pasto si lascerà cadere sul terreno dove deporrà un migliaio di uova da cui schiuderanno altrettante ninfe.)
 
Questo perché Ixodes ricinus, che è la zecca che si trova normalmente nei boschi, usa i grandi ungulati come ospiti su cui si nutre la femmina adulta per poter deporre le uova. Quindi dove ci sono buone densità di cervidi, soprattutto capriolo, il numero di zecche tende ad aumentare e, con esse, il problema delle malattie trasmesse da zecche. Quello delle malattie trasmesse da zecche è un problema serio e sentito da tutti coloro che frequentano i boschi. Negli ultimi anni la situazione è peggiorata in molte zone e si è alzata la quota in cui sono presenti le zecche. Ormai le si trova abitualmente anche ad altitudini sopra i 1500 metri dove, fino a 20 anni fa, erano veramente sconosciute. Il problema è che molte malattie trasmesse da zecche colpiscono anche l’uomo e quindi siamo, in prima persona, direttamente interessati al problema. In realtà poi per molte zoonosi trasmesse da zecche il capriolo ha solo colpa indiretta, infatti non fà da serbatoio (che è colui che mantiene il patogeno) ma, mantenendo alto il numero delle zecche, permette il passaggio di questi patogeni da altre specie (soprattutto micromammiferi) all’uomo. Tra i vari patogeni trasmessi da zecche va ricordata Babesia venatorum, una cugina delle babesie che si trovano normalmente nei cani, ma che può colpire anche l’uomo. Tanto per dare un’idea della presenza di questo parassita, conosciuto nell’uomo da pochi anni, una recente indagine condotta in Piemonte ha mostrato che questo parassita (presente peraltro in molte aree d’Italia) rappresenta quasi il 10% delle babesie che si trovano nei ruminanti selvatici e, a seconda delle aree, fino al 40% dei cervi e caprioli sono affetti da babesia.  Come lascia intendere il nome dato a questa Babesia venatorum, i cacciatori sono parte in causa tant’è che il primo caso umano è stato segnalato proprio in un cacciatore. 
Se nella vita ci sono cose che lasciano il segno, anche alcuni parassiti lo fanno e qui non si può non accennare a Fascioloides magna, un parassita del wapiti introdotto accidentalmente in Italia (nel parco della Mandria di Venaria Reale vicino a Torino) e in diverse aree d’Europa più di 150 anni fa che è attualmente presente in alcune popolazioni europee di cervidi.
O meglio bisognerebbe dire di cervi, perché, mentre i cervi possono sopravvivere normalmente alla presenza del parassita (possono esserci piccole epidemie nelle annate favorevoli al parassita), i caprioli finiscono con il soccombere facilmente all’infestazione. Pochi parassiti, che in un cervo potrebbero passare “inosservati”, sono infatti letali per il capriolo e, ovunque Fascioloides è presente, i caprioli non riescono a sopravvivere. 
Giunti a questo punto si  potrebbe pensare che non vi siano epidemie tra i caprioli. In realtà una specie di epidemia esiste. E’ però legata alle aree alpine dove inverni rigidi e lunghi con molte nevicate, soprattutto quelle tardive che rallentano la ripresa vegetativa, possono portare a starvation (morte per fame) i caprioli. Non è raro, in queste circostanze, ritrovare le carcasse di decine di soggetti morti letteralmente di fame. Ma sappiamo che i tempi cambiano e oggigiorno rinvenire i resti di carcasse di capriolo non è necessariamente legato alla starvation; in molte aree infatti l’arrivo del lupo rappresenta per i caprioli una “sfida di quelle che ti prendono … per la gola”. 
(Al centro dell’immagine un capriolo colpito da Fascioloides magna. Si noti lo stato di dimagrimento generale e il ritardo di muta  del soggetto in questione rispetto ai soggetti sullo sfondo morti nello stesso periodo per investimento stradale.)
 
 
(Anche se è difficile da riconoscere come tale  prima vista, si tratta del fegato del capriolo colpito da Fascioloides. E’ chiaro che il fegato così malridotto dalla presenza del parassita diventa impossibile sopravvivere.)
 
 
(Se ogni tanto trascuriamo i siti di armi e balistica per curiosare tra siti che parlano di malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, come questo di www.antropozoonosi.it, sicuramente possiamo portare a casa qualche utile informazione. Magari partendo dalla pagina dedicata alle malattie trasmesse da zecche.)
 
 
Articolo scritto dal Prof. Ezio Ferroglio e pubblicato su Caccia a palla, serie "Gli Speciali", giugno/luglio 2016
 
 
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