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Carema

S’i meuiro, j’arcomando
Ch’a m’sotro ant una crota
Dont ai sia tavota
Dji bon botai pien ed vin

Canson vinoira di Ignazio Isler, poeta dialettale piemontese del ‘700.


Vino rosso, molto conosciuto sin dall’anno mille. Il medico Andrea Bacci nel suo testo De naturali historia vinorum del 1.597 afferma che il Carema allietava le mense dei Savoia ed era spedito sino a Roma con gran gioia di cardinali e pontefici, tra cui Paolo III Farnese, gran bevitore, che pare avesse vini diversi per accompagnare i vari momenti della giornata oltre che delle stagioni. Il suo cantiniere, tale Sante Lancerio cita più volte, in un suo piccolo libro di memorie, i “vini d’Invrejia”(di Ivrea appunto).
Carema, un piccolo Comune poco lontano da questa cittadina dell’alto Piemonte ed ai confini con la valle d’Aosta, si caratterizza per la coltivazione del vitigno Nebbiolo dalla cui vinificazione si ottiene un ottimo prodotto rosso rubino, tendente al granato, con profumo di viole e lampone.

Per essere pienamente apprezzato richiede un periodo d’invecchiamento di tre anni circa. Le vigne di Carema sono molto particolari, dato che le viti, ancora oggi abbarbicate sulle pendici a tratti scoscese delle locali colline, sono modellate a forma di vero e proprio pergolato, risentendo in numerose occasioni del dissesto idrogeologico dei luoghi.

 

Da una innegabile ostilità del luoghi, si dice che ne derivi un superbo prodotto: il Carema infatti, che è degno fratello del Gattinara e del Barbaresco, è eccellente con i grandi arrosti come con la celebre bistecca “alla valdostana” (che declineremo presto in una ricetta di selvaggina): carne infarcita di fontina e prosciutto e cotta in forno a legna, secondo tradizione. Va servito tra i 18 e 20° va aperto un’ora prima del pasto.

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