“LA GATTA FRETTOLOSA HA FATTO I GATTINI CIECHI”
- Scritto da Marco Benecchi
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Una triste storia ma fortunatamente a lieto fine
“La gatta frettolosa ha sempre fatto i gattini ciechi”, è un proverbio molto comune in Maremma, ma credo sia abbastanza conosciuto anche nel resto d’Italia. Vuole significare che le cose fatte di fretta non vengono mai bene. Anche mio padre amava spesso ripetermi, specialmente quando dovevamo fare qualche lavoretto in casa insieme: “Marco, se oggi sei svogliato, non metterti al lavoro perché tutto quello che faresti verrebbe malfatto e potresti anche farti male!” Come dagli torto?. Con gli anni ho imparato bene la lezione, tanto da sentirmi in dovere di dare lo stesso consiglio anche a mio figlio Giuliano che, a sua volta, deve averlo recepito bene perché è sempre molto serio, pacato e soprattutto preciso ed accurato sul lavoro. Purtroppo qualcuno quel proverbio invece non deve averlo né conosciuto né recepito perché ancora lavora controvoglia con il risultato finale ovviamente deludente. Più o meno quello è capitato a me tanti anni fa, quando decisi di portare il calcio della mia carabina preferita da uno dei più illustri e famosi costruttori di armi italiani per fargli fare una piccola revisione ma, come mia abitudine, vorrei partire dall’inizio.. dalla Rolls Royce delle carabine semiautomatiche da caccia, dalla mitica Heckler & Koch 770 Kurtz con l’otturatore a rulli e la canna corta in calibro 308 W, quella che mi ha accompagnato in tantissime avventure e che mi ha regalato innumerevoli soddisfazioni sul terreno di caccia. Proprio per questo motivo, dopo anni e anni d’uso venatorio, un bel giorno (o forse sarebbe meglio dire bruttissimo!) decisi di dare una “rinfrescata” alla sua calciatura perchè presentava qualche piccolo segno dovuto all’intenso uso quotidiano. Mi reputo un discreto Armaiolo ma non ho mai avuto molta dimestichezza con il restauro delle calciature. Quando ho bisogno di fare degli interventi sui legni mi rivolgo a dei carissimi amici che sono degli ottimi professionisti. Quella volta, chissà perché, forse per il valore sia affettivo sia commerciale dell’arma, volli proprio esagerare. Decisi di smontare il preziosissimo calcio perché, essendo l’HK 770 fuori produzione da quasi mezzo secolo, non è certo facile reperire dei pezzi di ricambio, e di portarlo da un “amico”, famosissimo costruttore di armi fini italiane. Lo feci perché la persona in oggetto smaniava di potermi soddisfare in qualche modo, per ricambiare le tante attenzioni che avevo dato negli anni coi miei articoli alle sue armi. Gli consegnai l’arma a mano, presso la sua ditta a Gardone Val Trompia in occasione della Fiera di Vicenza e poi andai a ritirarla più di due mesi dopo per la Fiera di Riva del Garda. Non mi sembrò di avergli messo troppa fretta per eseguire la normalissima pulizia di una calciatura, oltretutto in buono stato, ma evidentemente mi sbagliavo, perché quando lo chiamai per dirgli che la settimana successiva sarei passato a ritirare il calcio, lo sentii contrariato, molto freddo, come se gli avessi chiesto in prestito del denaro. Sta di fatto che un bel mattino (forse uno dei più brutti di tutta la mia vita, tanto che mi sentii male!) arrivai a Gardone accompagnato da un caro amico che fu provvidenziale duranti le fasi che seguirono. L’armaiolo gardonese ci accolse nel suo salottino dove era solito intrattenere gli ospiti e nel centro del locale spiccava un bel tavolo con sopra una singola scatola di cartone. La prima cosa che feci, dopo averlo ovviamente ringraziato, fu chiedergli come fosse venuto il calcio e la sua risposta mi gelò: “Potrebbe anche piacere!”. Potrebbe anche piacere???? Io, la mia scassata Ford Fusion, il vecchio trattorino di mio padre o l’icona acquistata a Gerusalemme che mio donò lo zio di mia moglie “potrebbero piacere”!! Ma la Cappella Sistina, un fucile Cosmi , un Express Holland & Holland, non potrebbero piacere… Sono stupendi, meravigliosi, punto e basta. Un bel calcio in legno di noce stagionato lucidato a dovere “dovrebbe” almeno rientrare nella categoria delle cose belle, non di quelle che “potrebbero piacere”. Allorché, nonostante il brivido che mi percorse la schiena, mi feci coraggio ed estrassi la mia povera calciatura dalla scatola. Quel che vidi mi fece barcollare, nel vero senso della parola. Quasi svenni, mi sentii male. Il mio vecchio, amatissimo calcio era ormai ridotto ad un bruttissimo pezzaccio di legno nero come un bastoncino di liquirizia col zigrino bianco….. come il latte!!! Non bestemmio mai e cerco anche di contenermi molto con le imprecazioni, ma dovetti fare uno sforzo disumano per riuscirci. Se non mi è venuto un infarto quel giorno allora credo che non possa venirmi mai più. Maurizio, il mio amico, vista la mia reazione, mi abbracciò fortemente da dietro, forse preoccupato che potessi scattare e fare qualche azione di cui in seguito me ne sarei potuto pentire. L’autore di quello scempio, dopo aver assistito in silenzio alla mia reazione alla vista del suo putrido lavoro, cominciò a sviolinare una serie di scuse tipo: che il legno era vecchio, che la trama della tavola era scadente e poi…. che gli avevo messo anche fretta! A quel punto sentii che mi stavano abbandonando i freni inibitori, che avrei potuto oltrepassare il limite, che mi sarei potuto rovinare irrimediabilmente commettendo un atto violento. Così afferrai il calcio e scappai via. Ero talmente sconvolto che mi toccò far guidare a Maurizio, da quanto tremavo. Sostammo in un BAR il tempo necessario per calmarmi, poi, ritornato in me, decisi di fare il punto della situazione. Non bisognava essere dei geni per capire cosa fosse successo. Quando avevo avvisato quell’incompetente che sarei passato a ritirare il mio calcio, forse dovevo avergli anche ricordato che doveva farmelo e invece lo aveva sicuramente dimenticato in qualche angolo polveroso della sua officina. A quel punto doveva aver immerso la preziosissima tavola in un bidone di mordente noce scuro e, visto il risultato finale da rigurgito, aveva completato l’opera con un zigrino di colore bianco sporco. Di quella bruttissima vicenda ho un grosso rimpianto, quello di non aver fatto un bel po’ di foto a quell’orrore per testimoniare l’incapacità umana. Ora però avrei dovuto rimediare, dove avrei potuto comperare un calcio nuovo? Mi scervellai e mi adoperai per un bel pezzo, ma non riuscii a trovarlo in vendita in nessun sito né europeo né tanto meno americano. Cos’altro fare? A quel punto, a mali estremi estremi rimedi, decisi che me ne sarei fatto fare uno nuovo di sana pianta dal miglior calcista del mondo, dal santo della Val di Fassa, il grandissimo Francesco Pederiva di Moena! Da Padre Francesco, come lo chiamo io, visti i suoi modi gentilissimi, la sua calma e la sua devozione innaturali. Chiamai Francesco per raccontargli l’accaduto e lui, conoscendo quanti arrangioni girano nel nostro ambiente, non si stupì più di tanto, mi raccomandò soltanto di mandargli il calcio cannibalizzato e di stare tranquillo che ci avrebbe pensato lui. Francesco fu di parola. Tenne il legno meno di un mese e poi me lo rispedì. La spesa fu l’equivalente di un tozzo di pane, ma il risultato…. Lascio a Voi il giudizio, con la speranza che le foto allegate possano rendere giustizia al lavoro del grande, geniale Maestro, al quale va sempre tutta la mia gratitudine per aver rimediato con pazienza, infinita maestria e grande passione al lavoro fatto da … una gatta spelacchiata e frettolosa!