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UN TIRO….AZZARDATO!

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Se c’è una cosa a cui non rinuncerei per niente al mondo è il rito ormai decennale della chiusura della caccia di Selezione,dell’ultima uscita dell’anno nella splendida Tenuta Le Forane di Capalbio. Infatti, tradizione vuole che, per quell’evento, Giampiero Bernacchi il gestore inviti pochissimi amici (mai più di due o tre) per l’ennesima speranzosa uscita a daini e caprioli. L’intento ufficiale è sempre quello di cercare di completare i rigidi piani d’abbattimento, ma la verità è che desideriamo ritrovarci tra intimi amici per cacciare sì, ma anche per stare insieme e per godere della meravigliosa compagnia il giorno più triste dell’anno, quello della chiusura della caccia. Quel freddissimo pomeriggio di marzo eravamo in quattro, di cui due soli armati: io e Mauro. Poi c’era ovviamente Giampiero ed Alfonso, il mio portafortuna umano, la mia ombra,anche se è alto un metro e sessanta per una sessantina di chili di peso e settant’anni di pura passione venatica. Alfonso è da anni il mio assiduo compagno di caccia tutte quelle volte che c’è da fare un lungo, paziente, sano appostamento, così non perdemmo tempo a comporre le squadre perché erano già belle e fatte. Giampiero avrebbe accompagnato per la centesima volta Mauro al “Dicioccato”, mentre io ed Alfonso saremmo andati a tentare la sorte al “Campo del Dori”.

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Ci salutammo con il solito in bocca al lupo e ognuno partì carico d’entusiasmo. Raggiunta la zona prefissatatrovai subito una buona posizione da dove avrei avuto un’ottima visuale per tirare comodamente fino a 250 – 300 metri. Poi adagiai la mia Weatherby MK V Stainless Syntetic calibro 257 Magnum sul bipiede Harris, feci scorrere in canna una Ballistic Tip ricaricata da 115 grani e regolai il parallasse dello Swarovski AV 6 – 18 x 50 sulla tacca dei 200 metri. L’AV non è certo il non plus ultra per le cacce d’appostamento crepuscolari, ma decisamente eccezionale per tirare a tutte le distanze, specialmente in pianura e in montagna a tutta la grossa selvaggina europea. Guardai Alfonso che annuì soddisfatto, tra noi ormai non c’è più molto da dirci quando siamo sul terreno di caccia, avendo condiviso la stessa esperienza un’infinità di volte. Da quel momento in poi avremmo persino respirato in silenzio. Con occhio critico controllai la zona circostante per vedere se ci fosse qualcosa d’insolito, ma mi sembrò che tutto era come prima del nostro arrivo. Non ci rimase altro da fare che starcene immobili e pazienti in attesa del capriolo giusto o, perché no,anche di un bel daino. D’inverno il sole tramonta con una velocità incredibile. Ci ritrovammo nella semioscurità quasi senza accorgercene.

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In base alla mia esperienza sapevo bene che per avere delle buone probabilità di successo avremmo dovuto avvistare i selvatici finché ci fosse stata luce a sufficienza per poterli valutare bene. Specialmente con i caprioli in manto invernale e con diversi maschi ancora in velluto, la possibilità di fare un abbattimento sbagliato è sempre in agguato All’interno del bosco, e in particolare della macchia mediterranea, il silenzio non è mai totale, è sempre violato dai versi dei piccoli animali selvatici, come quelli striduli e chiassosi dei merli e delle ghiandaie, dai zirli dei tordi e dai canti dei fagiani che s’inalberano per trascorrere la notte. In lontananza abbaiò un capriolo, molto più a nord gli fece eco un altro, segno inequivocabile che i selvatici si stavano mettendo in movimento. Per quanto i cinghiali possano essere silenziosi e furtivi, un piccolo branco in movimento si fa sempre sentire, specialmente quando le scrofe hanno al seguito porcastri e “rossi” che giocano tra loro. Dei grugniti ed un inconfondibile troncare nella macchia ci annunciarono che degli irsuti stavano arrivando. Guardai Alfonso e notai che gli s’illuminarono gli occhi, i cinghiali da sempre sono la sua grande passione. Purtroppo noi stavamo aspettando altri invitati al rendez-vous, che purtroppo tardavano ad arrivare. Eravamo pronti ed attentissimi, ma al trascorrere di ogni minuto la visibilità si riduceva in maniera esponenziale. Comunque pensai che l’arrivo dei cinghiali avrebbe collaudato la bontà del nostro appostamento. Cinque cinghiali uscirono nel prato e mi sembrò di capire che fossero un paio di scrofe con tre giovani verri, più o meno uguali come dimensioni e peso, sui 50-60 kg. Per un attimo mi venne l’acquolina alla bocca, come a lupo Ezechiele quando guarda i tre porcellini, ma mi trattenni. Quei diavoli neri erano tabù per due motivi, primo perché la caccia al cinghiale era chiusa in quel periodo e secondo, molto più importante, perché Giampiero non ammette altra forma di caccia all’irsuto che non sia quella della braccata Maremmana. Intanto la sabbia scorreva velocissima nella clessidra e per quanto mi sforzassi gli occhi, e nonostante la bontà del mio Leica Geovid HD 8 x 42, alle 18,30 non ci fu neanche più la luce per ritrovare dove avevo lasciato il fodero Riserva della carabina. “Che Jella”, pensai. Anche Alfonso mi manifestò tutto il suo disappunto con una smorfia. Vabbè, pazienza, bisogna sempre prendere la vita come viene, in fin dei conti non sta scritto da nessuna parte che bisogna avere la fortuna di eseguire un abbattimento tutte le volte che si va a caccia. Mi rodeva soltanto rientrare a vuoto dopo aver fato una preziosa uscita in una delle più ricche e prestigiose riserve private della bassa Toscana com’è la Tenuta Le Forane di Capalbio. Chiamai Giampiero al cellulare avvertendolo che poteva venirci a prendere, perché ormai non ci si vedeva proprio più. Mi rispose di aspettarlo che dopo aver recuperato anche Mauro ce ne saremmo andati al Bar di Borgo Carige a bere qualcosa. Ritrovato il buon umore in previsione della ricca rifocillata, scaricai la Weatherby, ripiegai il bipiede e la misi nel fodero, poi autorizzai quel viziato di Alfonso ad accendersi una sigaretta. Dove eravamo c’era una vista mozzafiato sull’Argentario, tutto illuminato dalle luci e da una meravigliosa luna piena che stava pian piano salendo in cielo. Con il vento di tramontana mi sembrava di stare a guardare quelle notti arabe tanto comuni nei vecchi film di avventura. Appena m’accorsi che il mio compagno d’avventura aveva finito di sorbirsi la sua (a sentir lui indispensabile) giusta dose di nicotina, con un gesto del capo lo invitai ad andare. Ma prima di metter via anche il Leica, volli ricontrollare per l’ennesima volta la radura alla mia sinistra e questa volta mi sembrò d’intravedere, poco oltre il margine del bosco, una sagoma scura che fino a pochi istanti prima non c’era. Guardai l’ora, erano le 19,20! L’ombra lunga e indistinta del bosco si stagliava a circa duecento metri di distanza e l’animale non identificato doveva trovarsi allora circa centonovanta. Con altre condizioni di luce sarebbe stato un tiro abbastanza facile, ma non a notte fonda. Mi venne ugualmente una voglia incontrollabile di provare a traguardare quella sagoma con il cannocchiale della carabina. Il parallasse era già posizionato sul punto giusto, misi l’ingrandimento al minimo sul 6 x e poi cercai il reticolo che, ahimè, non trovai.

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Il TDS-4 è ottimo, ma ha i sui limiti se utilizzato di notte contro uno sfondo frastagliato scuro. In quel momento cosa avrei dato per aver sopra alla 257 il mio Kahles Helia CBX 3 – 12 x 56 con il reticolo digitale illuminato! Ma anche in quelle condizioni, grazie alla bontà delle lenti Swarovski, la sagoma dell’animale riuscivo a distinguerla nell’oculare, ma a malapena distinguevo i contorni esterni, quelli più marcati, del mio reticolo balistico. Decisi che nonostante il prurito al dito indice, non era il caso di tentare un tiro, non tanto per paura di sbagliare, quanto quella di ferire. “Che hai visto?” mi bisbigliò Alfonso, così vicino al mio orecchio da sentire il calore del suo alito: “C’è un animale laggiù, ai margini del bosco, ma non chiedermi cos’è, che non riesco a riconoscerlo. Sicuramente sarà un capriolo, ma potrebbe essere anche un daino e sinceramente non lo so”. Gli risposi. Poi mi sdraiai ancora dietro il ruvido calcio sintetico della Mark V e per un attimo mi sembrò di vederci leggermente meglio o sarà stata solo un’impressione. La tentazione di tirare era fortissima, anche perché era l’Ultimo giorno di caccia, quello della chiusura! Il selvatico poi, sembrava proprio invitarmi al tiro per com’era messo bene a “cartolina”. Al diavolo pensai, le cose facili le sanno fare tutti. Decisi di tentare. M’irrigidii, controllai il respiro, cercai di centrare la sagoma perfettamente all’interno dell’oculare, armai lo stecher e poi sparai. La vampata spettacolare della Weatherby 257 Magnum m’abbagliò, ma anche se non ci fosse stata non sarei riuscito a vedere se il colpo era andato a segno. In compenso riuscii però a distinguere molto bene il classico “schiaffo” della palla quando colpisce qualcosa di solido. Espulsi il bossolo sparato e lo misi in tasca. Poi, presi il telefono per chiamare Giampiero, ma lui mi anticipò: “A che hai tirato? Non dirmi a un cinghiale?”. “Macché” gli risposi. “Ho sparato a un animale, ma non so né cos’era né se l’ho preso.

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Dai, muoviti, che andiamo a vedere con i fari del fuoristrada. Se l’ho sbagliato ciccia, ma non vorrei averlo ferito”. L’amico non rispose, ma mentre metteva via il cellulare, mi sembrò di sentire un brontolio…… Giampiero è fatto così!Per paura di trovare sul posto qualcosa di spiacevole, mi trattenni dall’accendere la mia piccola MagLite e di andare a vedere se avrei avuto conferma al mio presentimento. Ci sarei andato invece col fuoristrada di Giampiero, che fortunatamente arrivò presto e, con una manovra degna di un campione di rally puntò dritto i fari verso dove io avevo tirato. Nel campo seminato di recente a grano, illuminato dai potenti fari alogeni del Toyota, spiccò subito nitida una piccola, ma inconfondibile silhouette. Anni e anni di esperienza, un’ottima attrezzatura e un grande calibro che non mi ha mai deluso, mi avevano regalato una ennesima, meravigliosa esperienza che avrei conservato gelosamente nel mio cuore. Raggiungemmo la spoglia e con stupore generale constatammo che era un giovane e robusto fusone di daino, sugli ottanta chili di peso, proprio quello che mancava nel piano di abbattimento. Avevo azzardato quel difficilissimo tiro perché potevo ancora prelevare capi in tutte le classi di età, ma il daino sud-adulto era forse quello più difficile da trovare. Quello giorno l’unico capo che abbattemmo fu solo il mio daino, perché Mauro, purtroppo, fu meno fortunato di me. Chissà, forse Diana o Sant’Umberto avevano deciso che non era ancora il suo momento!

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