Arci Caccia Umbria: Il Presidente Emanuele Bennati ripensare la gestione di cinghiale e stanziale per dare futuro alla caccia
- Scritto da Luca Gironi
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Si avvicina l’apertura della stagione venatoria, con un calendario che prevede la preapertura il 2 settembre, mentre per l’apertura generale bisognerà aspettare il 17 e per il cinghiale primo ottobre. Una stagione venatoria che si porta dietro problemi ormai diventati cronici: per il secondo anno grazie alla soppressione delle Provincie mancano i controlli sul territorio come deterrente al bracconaggio, ma anche la vigilanza come attività di prevenzione per far sì che tutti rispettino le regole, pur nella convinzione che la stragrande maggioranza dei cacciatori esercitano l’attività venatoria nel rispetto delle regole; controlli che vengono fatti a tutela anche dei cittadini e un’azione di prevenzione contro i furbetti sarebbe quanto mai necessaria. Ci presentiamo all’avvio tra mille difficoltà, a partire dalla gestione delle specie che creano conflitto con il mondo agricolo, in particolare il cinghiale che non è un problema non solo umbro; i problemi ci sono e sono seri dato che una specie oramai fuori controllo da troppo tempo sta mettendo a dura prova la tenuta del sistema della caccia in Italia.
I cinghiali Il problema del cinghiale non si risolve con interventi spot o solo contrastando l’emergenza del momento e facendo sì che l’emergenza diventi ordinaria: per affrontarlo, di questo ne siamo certi, occorre un piano gestionale con regole ben definite. Sono ormai anni che l’Arci Caccia Umbria chiede una separazione netta tra ciò che è caccia e ciò che deve essere gestione e prevenzione, due questioni ben distinte. Va regolamentata la caccia al cinghiale come attività ludico ricreativa, perché torni a essere gratificante per tutti, squadre e non solo, il tutto necessariamente attraverso una regolamentazione specifica per la gestione della specie che deve tenere conto anche di altri fattori che non possono solo essere gli abbattimenti; vanno individuate linee guida gestionali per tutto il territorio, non solo quello a caccia programmata, ma anche in tutte le aree protette, demaniali, comprese le aziende private.
Un disgraziato regolamento Se da una parte c’è l’esasperazione degli agricoltori dall’altra c’è anche l’esasperazione di quei cacciatori responsabili che si impegnano costantemente per contrastare il fenomeno cinghiale: sono migliaia i quelli che si adoperano per attuare contenimenti notturni, installazioni di recinzioni e così via in maniera del tutto volontaria; e purtroppo molto spesso tutto questo impegno è vanificato dal mancato raggiungimento del risultato. Il mondo agricolo e quello venatorio devono trovare la sintesi: da una parte si deve produrre e creare reddito e dall’altra occorre difendere una passione e diffondere la cultura di una corretta gestione e di una caccia moderna, «una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso». Un regolamento disgraziato come quello in vigore, fa ricadere sulle spalle delle squadre tutte le responsabilità gestionali, compreso il pagamento dei danni laddove non si raggiungano piani di abbattimento previsti per ogni distretto. Tutto ciò continua a creare problemi al mondo venatorio che se da una parte vuole collaborare dall’altra non è messo in condizione di poterlo fare; anche se occorre ricordare che la modifica del regolamento fu approvato per acclamazione delle stesse squadre, non tenendo conto dei risvolti che avrebbe avuto.
Il cinghiale come risorsa L’Arci Caccia da sempre si è opposta a questo regolamento perché erano evidenti le criticità che portava in seno, ma giustamente a suon di democrazia fu approvato. Nella caccia al cinghiale serve ritrovare un equilibrio fondamentale tra le squadre, gli agricoltori e i cacciatori, isolando tutti quei soggetti, cacciatori compresi, che guardano all’interesse proprio e non a quello generale. Stiamo portando avanti da molto tempo l’idea che il cinghiale può essere una risorsa e non soltanto un problema, se solo si fosse in grado di avviare un percorso di filiera per commercializzare le carni derivate dagli interventi di contenimento a protezione delle colture agricole. Per il futuro serve anche ricollocare socialmente la figura del cacciatore, all’interno di una società oramai distante anni luce, ma che lentamente si sta rendendo conto che le nostre città vengono invase quotidianamente da fauna selvatica di ogni tipo creando non pochi problemi di convivenza con l’uomo; tra gli esempi si possono citare i cinghiali nei parchi di Roma e, per restare nel territorio umbro, i quelli fotografati alla periferia di Terni e il capriolo nei pressi dell’ospedale di Foligno. Tutte situazioni anomale dovute alla continua espansione di queste specie, ma anche alla voracità con cui l’uomo continua a divorare terreno.
Ripristinare gli equilibri Perciò con i giusti strumenti e la dovuta preparazione, il cacciatore può contribuire al ripristino degli equilibri fondamentali per una serena convivenza con la fauna selvatica. Non parliamo solo di abbattimenti ma anche di corretta gestione dell’ambiente attraverso gli Atc e magari con la collaborazione di quegli ambientalisti di città che non sanno solo dire no a tutto. La fauna stanziale in lento declino ha bisogno di progetti concreti per il futuro: l’idea gestionale che fino a qualche anno fa era in grado di produrre biodiversità a vantaggio di tutti, non solo dei cacciatori oggi si sta esaurendo, perciò necessità di iniziare a valutare altre strategie. Le finalità della caccia non possono rimanere legate solo alla logica del carniere, ma devono trovare il giusto equilibrio tra gestione del territorio, della fauna e del prelievo, garantendo ricchezza in termini di biodiversità e facendo sì che le nostre campagne tornino ad essere ricche di vita. Le sfide per il futuro devono rilanciare una corretta gestione del territorio e della fauna provando e sperimentando, imparando dagli errori. Il prontacaccia o gli allevamenti sono cure palliative per il problema, il lancio di fagiano perpetrato da alcuni Atc il mese di agosto parla alla pancia dei cacciatori e non alla testa; si può essere più scellerati?
Un nuovo modello In particolare quest’anno con la siccità che si protrae ormai da mesi e le temperature ben al di sopra dei quaranta gradi dei primi giorni di agosto immettere piccoli fagiani di allevamento senza strutture di ambientamento ha significato condannarli a morte certa. Questa non è la gestione dell’Arci Caccia, questa è la gestione di chi maltratta i cacciatori e direttamente o indirettamente da ormai trent’anni governa gli Atc umbri. Certo per avviare un nuovo modello di gestione c’è bisogno anche della collaborazione e del coinvolgimento pieno e responsabile dei cacciatori, perciò chi ha ancora la passione per la caccia alla selvaggina stanziale si deve unire, per far sì che nel giro di pochi anni si torni ad avere un patrimonio faunistico importante. L’Arci Caccia è pronta ad ascoltare i cacciatori sul territorio e recepire le loro istanze, perché le rivoluzioni non si impongono dall’alto, ma partono dal basso. Attenzione perché l’incapacità di dare risposte nella gestione di ambiente e fauna, danni da cinghiale fuori controllo e animali che invadono le città stanno decretando il fallimento degli Ambiti territoriali di caccia. E per chi crede nella caccia sociale e sostenibile sono l’unico argine ad una deriva privatistica della caccia. Comunque, al di la dei problemi contingenti che necessitano di risposte immediate colgo l’occasione per augurare da parte mia e di tutto il consiglio regionale dell’Arci Umbria un in bocca al lupo per la prossima stagiona venatoria affinché che si svolga nel rispetto delle regole e con l’augurio che sia una stagione da incorniciare.